I “bombaroli” dell’Isis spina nel fianco dell’antiterrorismo

La polizia catalana ha confermato che con l’uccisione di Younes Abouyoub, l’autista del furgone che ha fatto strage sulla rambla, tutti i 12 componenti della cellula terroristica che ha colpito a Barcellona e avrebbe voluto colpire a Cambrils e Vic sono stati uccisi (6), catturati (4) o sono morti all’esplosione nell’appartamento di Alcanar (2).

Sembra invece mancare all’appello forse il personaggio più importante della cellula, anche se invece di considerarlo integrato nel gruppo terroristico è probabile fosse solo di “supporto esterno”. Si tratta del “bombarolo”, l’uomo in grado di produrre l’esplosivo artigianale TATP (nella foto sotto) che avrebbe dovuto far deflagrare fino a 120 bombole di gas che il gruppo terroristico catalano aveva immagazzinato.

Nella vicenda terroristica catalana ha fatto scalpore la giovane età dei terroristi, quasi tutti tra i 18 i 28 anni, in un’Europa ormai abituata a definire “ragazzi” anche gli ultra-trentenni. In un’ottica militare, come quella utilizzata dallo Stato Islamico che definisce “soldati” i terroristi, si tratta però dell’età giusta per “combattere”, come dovremmo ricordare anche noi italiani che nel 1917 richiamammo alle armi la classe 1899 per disporre di “carne fresca” dopo la disfatta di Caporetto e nella fase finale della Prima guerra mondiale.

Più dell’età “da soldato” contano però le qualifiche, cioè le capacità acquisite: nelle forze armate vi sono 23enni con capacità di combattimento e competenze tecniche specifiche già molto marcate e questo potrebbe valere anche per i terroristi, specie se ben addestrati e sottoposti a un lungo periodo di attività operativa sui campi di battaglia del jihad, in Siria, Iraq, Libia, Sinai.

Tra i terroristi della cellula catalana non risultano esserci esperti combattenti né, da quanto reso noto dalla polizia, vi sarebbero alcuni dei circa 40 foreign fighters già rientrati in Spagna su 200 che lasciarono il paese per combattere in Medio Oriente sotto le bandiere dell’Isis.

the-homemade-explosive-used-in-the-paris-attacks-is-a-chemical-nightmare.pngSe non ci sono dubbi circa la possibilità che carcere, web e imam salafiti (solo in Catalogna le moschee in mano a imam estremisti che predicano indisturbati lo stesso Islam di al-Qaeda e Stato Islamico sono almeno 50) possano radicalizzare giovani e farli diventare jihadisti, solo un buon addestramento alle tecniche e tattiche di guerriglia e sabotaggio e una robusta esperienza possono consentire di impiegare efficacemente armi e ordigni, di produrre esplosivi artigianali e preparare attentati dinamitardi vastanti.

Fanatismo e radicalizzazione possono garantire disponibilità al sacrificio, anche quello estremo, per la causa ma non la professionalità necessaria a portare a termine con successo il proprio incarico. Il fatto che due membri della cellula terroristica catalana siano rimasti uccisi nell’esplosione del covo di Alcanar non offre per ora garanzie né sulla loro identità né sul fatto che si trattasse dei “bombaroli” della cellula.

L’esplosione, forse avvenuta per l’incauto spostamento del TATP, esplosivo noto per la sua instabilità e per la predisposizione a esplodere se movimentato senza specifici accorgimenti, potrebbe dimostrare l’assenza di personale esperto e se davvero i due terroristi rimasti uccisi sono l’imam di Ripoll, Abdel Baki Essati e Youssef Aallaa, questo potrebbe forse significare, al di là del possibile errore umano, che nessuno dei due era in grado di produrre e gestire l’esplosivo.

attentato-rambla-carcellona-86157.660x368 Resta quindi il dubbio che la cellula sia stata sgominata ma uno o più esperti nel produrre e impiegare il TATP potrebbero essere ancora in libertà e lontani dalla Catalogna. La presenza di così tante bombole di gas indicava la volontà di colpire in tre luoghi diversi simultaneamente con una grande capacità deflagrante: un’azione complessa e ambiziosa che lascia immaginare una capacità tattica che stride con superficialità e dilettantismo dimostrati da molti componenti della cellula.

Messa da parte (finalmente) la retorica tranquilizzante e politically correct dei “lupi solitari” e degli “squilibrati”, gli inquirenti non solo spagnoli sembrano aver compreso che esiste una rete europea dell’Isis o che si richiama al Califfato, ben ramificata. Del resto non è difficile nascondere armi, uomini ed esplosivi in un’Europa ormai piena di “no-go-area” a controllo islamico, dove regna la sharia e la polizia non entra. Aree dove probabilmente verrà proclamato il prossimo jihad.

La polizia spagnola, sospetta che la cellula catalana abbia avuto il supporto del siriano Ahmad Alkhald il cui ruolo nell’attentato di Barcellona è stato anticipato dal quotidiano La Stampa.
L’uomo, che probabilmente ha combattuto in Siria, è giunto in Europa nel settembre 2015 come “rifugiato” dalla rotta balcanica (con buona pace di quanti continuano a sostenere che con i migranti non arrivano terroristi) e pare abbia addestrato ai primi di luglio alcuni membri della cellula catalana nell’uso dell’esplosivo.

untitled Alkhald è tato posto recentemente nella lista dei terroristi elaborata dal Dipartimento di Stato americano, è ricercato dalla polizia belga e francese (che ritiene sui nasconda in rifugi sicuri tra Marsiglia e Nizza) per il suo ruolo nel preparare gli esplosivi negli attentati allo Stade de France di Parigi del novembre 2015 e all’aeroporto di Bruxelles nel marzo 2016.

Da quanti emerge quindi, dietro alle cellule di fanatici spendibili sul fronte del jihad c’è uno zoccolo duro di professionisti del terrore, probabilmente veterani dei campi di battaglia in Iraq e Siria incaricati di addestrare i giovani jihadisti, produrre esplosivi, indicare gli obiettivi e come colpirli.

Uomini esperti e per questo non sacrificabili per l’organizzazione terroristica, che li preserva invece di “bruciarli” in azioni a fuoco anche eclatanti ma che finirebbero inevitabilmente con la morte o la cattura dei suoi componenti.
A ben guardare sono sempre più rari i casi in cui le cellule terroristiche che agiscono in Europa risultano composte da foreign fighters rientrati dalla guerra in Medio Oriente. Eppure dei circa 5/6 mila combattenti che secondo l’Europol sono partiti dall’Europa circa la metà sarebbero già rientrati e di questi solo pochissimi sono agli arresti.

18243252_small-1-990x616 Certo il loro rientro non è passato inosservato ed è facile immaginare che vengano tenuti sotto controllo ancor più dei cosiddetti “radicalizzati”, ma stupisce che di fronte a un rientro così massiccio in Europa (per giunta affrettato rispetto alle previsioni dei servizi di sicurezza a causa del tracollo militare dell’Isis in Siria e Iraq) i foreign fighters di ritorno non siano i protagonisti della recrudescenza degli attacchi terroristici.

Una possibile spiegazione è riposta nell’utilizzo della loro esperienza bellica come istruttori e consiglieri dei “soldati” impiegati per attaccare l’Europa. Lo Stato Islamico potrebbe così capitalizzare il valore dei suoi “veterani” impiegandoli come moltiplicatori di forze per scatenare il terrore in un’Europa che non si è ancora messa d’accordo su come fronteggiare la minaccia globale (demografica, sociale, politica e di sicurezza) rappresentata dall’Islam e persino su come definire i “combattenti stranieri” e come punire penalmente i veterani del jihad.

@GianandreaGaian

(con fonte Il Mattino del 22 agosto)

Foto: AP, Getty Imges e web

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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