Incursori dell’Esercito: punti di vista su origini, radici e identità

di Luciano Piacentini e Claudio Masci*

Estremamente breve e travagliata è la vita di coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente, temono il futuro: giunti al momento estremo, tardi comprendono di essere stati occupati tanto tempo senza concludere nulla.

Seneca

 

Ritorniamo su un argomento che trattiamo su Analisi Difesa per la terza volta perché – probabilmente – non sempre siamo stati comprensibili e/o esaustivi. Infatti, ci siamo resi conto che la Storia, “maestra di vita” – … aiuta a comprendere il presente … a capire chi siamo … per costruire il futuro viene spesso interpretata sotto diversi punti di vista, sia per giustificare opinioni di parte sia per convalidare decisioni non completamente condivise.

La dialettica è la “linfa vitale” della democrazia, in seno alla quale è possibile esprimere liberamente le proprie opinioni, anche se non da tutti condivise, ma occorre fare attenzione a non stravolgere accadimenti storici e tradizioni che rappresentano l’armonia, la coesione e l’amalgama di un popolo.

Le forzature storiche spesso non si risolvono solo in innocui dibattiti e contrapposizioni di vedute, ma incidono anche sul patrimonio culturale e sui valori della popolazione, suscitando radicali confronti fra opposte correnti di pensiero che possono sfociare in manifestazioni di disprezzo, sdegno, odio o violenza fra le parti. Ed i primi sintomi di questo disagio culturale si avvertono quando sono esternati da rappresentati eletti dal popolo che devono rimanere super partes, anzi comporre politicamente questi dissensi, per rafforzare le Tradizioni, nel corso di cerimonie commemorative.

Le Tradizioni – dal latino “tradere” – sono l’equivalente di “consegna, trasmissione (trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie e testimonianze” (dizionario Treccani). L’intrinseco significato si può tradurre in: avanzare nel futuro, innovando senza dimenticare il passato, dal quale occorre estrapolare le “lesson learned” per ricavarne principi ed ammaestramenti utili a progettare il futuro. Riteniamo che questo sia il metodo più efficace per metabolizzare gli errori del passato ed adottare – ove possibile – appropriati correttivi, per accrescere e consolidare ogni professionalità nonché assumere serenamente le proprie responsabilità.

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In sintesi, le Tradizioni rappresentano valori univoci e condivisi da trasmettere ai posteri affinché le nuove generazioni ne traggano ammaestramenti per il futuro, stando attenti a che esse non contengano soluzioni di continuità o valori non universalmente condivisi. Diversamente si rischia – con illusorie o distorte motivazioni morali – di condizionare negativamente l’operato delle giovani generazioni.

In sostanza, siamo convinti che occorra rispettare la storia – perché compiuta con il sudore ed il sangue di tutti – indipendentemente dal credo politico o religioso.

I riferimenti al passato – senza nulla togliere al valore ed all’eroismo dei nostri avi ed alla gloriosa bandiera del 9° Col Moschin – non possono approdare ad un appropriato legame fra Forze Speciali ed Arditi, non solo emotivo ma anche tecnico-professionale, perché appartengono ad un contesto storico-politico nel quale non è possibile riannodare, secondo una cadenza cronologica, le peculiari tradizioni degli Incursori.

Questi legami furono recisi non solo dallo scioglimento dei Reparti d’Assalto, cosiddetti Arditi, ma anche da tre eventi storici ascrivibili a:

  1. cambiamenti di ordinamenti politici ed istituzionali con la promulgazione, il 27 dicembre 1947, della Costituzione della neonata Repubblica, che ha completamente modificato le Istituzioni italiane;
  2. ingresso dell’Italia nella NATO, nel 1949. Il Patto Nord Atlantico (NATO) fu una conseguenza delle tensioni createsi tra le potenze vincitrici – subito dopo il 1945 – che imponeva nuove concezioni strategiche ed operative. Il precedente equilibrio storico-strategico fu completamente stravolto dall’equilibrio bipolare basato sull’asimmetria. Infatti, le due superpotenze – USA e URSS – evitavano il confronto diretto scalando al supporto indiretto o mediato dei rispettivi “assistiti”, come avvenuto in Vietnam (1957-1973) e in Congo (1960-1965). Conflitti che imposero una profonda riflessione sulle forze tradizionali ritenute non in grado di contrastare, efficacemente, quelle rivoluzionarie;
  3. transizioni dall’era industriale a quella nucleare – e nel momento presente a quella dell’informazione – che hanno reciso qualsiasi cordone ombelicale con i miti del tempo andato. Difatti, quando si è palesata l’esigenza di dar vita a nuovi reparti d’élite, si è dovuto ricorrere alla costituzione – nel 1953 – della Compagnia Speciale presso la Scuola di Fanteria di Cesano di Roma, grazie alle intuizioni ed alle iniziative del Capitano Edoardo Acconci e del Tenente Franco Falcone.

Nel precedente articolo su questa rivista, abbiamo esposto il nostro punto di vista sulle origini delle Forze Speciali tenendo conto di capisaldi storici irrinunciabili – a prescindere dalle idee, dall’indiscusso valore e dall’eroismo di tutti coloro che hanno contribuito ad erigerli – accennando a preesistenti strutture vagamente somiglianti ad esse, ma con esse non identificabili in quanto:

  1. il termine “Forze Speciali” si rinviene storicamente solo dopo la seconda guerra mondiale. In precedenza, allo scoppio della prima guerra mondiale, è reperibile il termine di “militari arditi”, citato nella Circolare del Comando Supremo n. 15810 del 15 luglio 1916, avente quale Oggetto: Norme per la concessione del distintivo per “militari arditi”. E Circolari successive del Comando Supremo fanno esplicito riferimento ai Reparti d’Assalto e non alle Forze Speciali [Circolare Comando Supremo n. 6230 del 14 marzo 1917, da Comando Supremo (UAVS) a Comando di Armata e Zona Gorizia (fino a Comando di Brigata), Oggetto: Riparti d’Assalto, nonché Circolare Comando Supremo n. 111660 del 26 giugno 1917, da Comando Supremo a Comando di 1ª, 2ª, 3ª, 4ª, 6ª Armata, Oggetto: Riparti d’assalto].

Va inoltre aggiunto che, sulla spinta di tali Circolari, alcune precedenti sperimentazioni (Fiamme nere e Fiamme rosse) confluirono nella costituzione dei “Reparti d’Assalto” nell’estate del 1917, presso la 2^ Armata, ad opera del Generale Capello – Comandante dell’Armata – del Generale Grazioli e del Tenente Colonnello Bassi. Il 29 luglio 1917 i predetti Reparti d’Assalto ebbero il battesimo ufficiale alla presenza del Re – la data rimase a celebrare la nascita del Corpo – e la loro istituzione fu poi ufficializzata nel 1918 con apposita Circolare del Comando Supremo (Circolare n. 17000, del 26 giugno 1918, con Oggetto: “Arditi Reggimentali”).

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I compiti assegnati ai Reparti d’Assalto furono essenzialmente:

“Compiere piccole operazioni ardite intese ad assumere informazioni e catturare prigionieri, ad occupare o danneggiare elementi della sistemazione difensiva nemica, ad adempiere a speciali incarichi nelle azioni compiute da altre truppe, come costituire nelle ondate di testa i nuclei destinati all’assalto di punti ove si prevede maggior resistenza”.

 Dunque, i Reparti d’Assalto – riconducibili ad una specialità dell’Arma di Fanteria e non alle Forze Speciali – furono espressi dalla necessità di rottura dei fronti stabilizzati, con il fine di superare la staticità del campo di battaglia che, con il binomio “reticolati-mitragliatrice”, procurava gravissime perdite a qualunque azione offensiva. Gli assalti, per quanto audaci e coraggiosi fossero, non concedevano alcuna possibilità di incidere significativamente in profondità sul dispositivo nemico. Alcuni ardimentosi ufficiali sperimentarono che duro addestramento, temerarietà, coraggio ed equipaggiamento leggero (mitragliatrici leggere e bombe a mano) consentivano di sfondare in vari punti le trincee avversarie e proseguire in profondità per evitarne la riorganizzazione, favorendo l’assalto dei Reparti tradizionali.

Al termine del conflitto, però, queste caratteristiche non vennero riconosciute dal Ministro della Guerra, Gen. Alberico Giuseppe Albricci, che nel 1920 decretò lo scioglimento degli “Arditi Reggimentali”.  Fu lo stesso Generale Grazioli, loro comandante, che ne chiese lo scioglimento perché: “…Trattavasi di formazioni nate con la guerra e per la guerra, incapaci di adattarsi al clima di pace…… sarà estremamente difficile a chicchessia di contenerle, di evitare deplorevoli infrazioni disciplinari e forse reati, che offuscherebbero la loro stessa gloriosa fama andatasi formando con la guerra”.

 Appare anacronistico che un Comandante chieda lo scioglimento delle proprie truppe perché “ingovernabili”, ma occorre considerare che il clima politico dell’epoca non era molto sereno. Infatti, era iniziata l’avventura fascista e lo squadrismo. Quest’ultimo alimentato non solo da civili imbevuti di ideologie nazionaliste ma anche da ex combattenti e reduci della 1^ Guerra Mondiale, molti dei quali appartenenti ad unità prestigiose come quelle degli Arditi – i quali si erano costituiti, dopo lo scioglimento dei Reparti d’Assalto, in associazione combattentistica “Arditi d’Italia” – lasciati allo sbando e senza lavoro. Agli ex combattenti lo Stato non concedeva alcun riconoscimento particolare per il ruolo ricoperto in guerra, al momento del ritorno alla vita civile, provocando in essi disagi e malcontento.

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In merito all’eredità militare dei Reparti d’assalto, Giorgio Rochat (autore di “Gli Arditi della Grande Guerra. Origini, battaglie e miti”, Libreria Editrice Goriziana, ottobre 2009, Sesta Ristampa) così si esprime “…. La soppressione dei Reparti d’Assalto significò anche la dispersione delle esperienze e degli insegnamenti della loro breve, ma intensa vita bellica. Gli arditi erano stati maestri nell’assalto rapido e brutale, nei colpi di mano, nella lotta corpo a corpo; ma tutto ciò sembrava non interessare al pur vivace dibattito tecnico del dopoguerra, né agli stessi arditi, più preoccupati del riconoscimento dei loro meriti che della creazione di una tradizione e di una scuola capace di rinnovare i loro successi.

 Il dibattito tecnico del dopoguerra appare influenzato, anzi dominato dalle esperienze francesi, che privilegiavano la capacità di fuoco più che la rapidità offensiva; il coordinamento del tiro di artiglieria con il movimento degli attaccanti e la capacità della fanteria di affrontare i problemi offensivi con le armi in dotazione, sempre più numerose e variate …. Evidentemente l’assalto breve degli arditi non poteva risolvere il problema dello sfondamento in profondità, come dimostrava l’esperienza del 1918”.

Ma il principale elemento di rottura, con i Reparti d’Assalto, fu costituito dalla Federazione Nazionale Arditi d’Italia (F.N.A.I.) la quale – ritenuta vicina al fascismo – nel 1921 subì la scissione dell’ala sinistra e antifascista che si organizzò negli “Arditi del popolo”. La Federazione venne ritenuta fiancheggiatrice dello squadrismo che cercava di reprimere il dissenso al fascismo, mentre l’ala scissionista si schierò sul versante opposto per contrastare la suggestione dittatoriale;

  1. Il X Reggimento Arditi, nato nel 1942, non costituisce la continuità degli “Arditi Reggimentali” – tant’è che non ne riassunse la denominazione – anche perché durante i primi anni della seconda Guerra Mondiale andava affermandosi un nuovo concetto operativo. Infatti, il Regio Esercito si stava confrontando – soprattutto sul fronte nordafricano – con le unità di “Commando” inglesi, capaci di portare a compimento incursioni per centinaia di chilometri oltre le linee del fronte e azioni di sabotaggio. A tale riguardo, le missioni – pianificate meticolosamente – prevedevano, tra l’altro, la predisposizione di depositi occulti nelle aree di impiego (deserto ed oasi) mediante la collaborazione di elementi della popolazione locale grazie ad una efficace e peculiare attività di spionaggio (Intelligence), in particolare la Humint (Human Intelligence).

In tale quadro, lo Stato Maggiore del Regio Esercito (SMRE) – nel maggio 1942 – costituì il Gruppo Formazioni “A” formato da personale italo-arabo ed il I battaglione speciale arditi per l’infiltrazione in territorio nemico. Il 15 settembre dello stesso anno, l’unità – denominata “X reggimento Arditi” – fu posta al comando del Colonnello Renzo Gazzaniga.

Ma anche in questo caso non ci fu continuità storica né univocità di sentimenti né convergenza di visioni strategiche. Infatti, con la proclamazione dell’armistizio di Cassibile (8 settembre del 1943) – firmato dal governo Badoglio – anche il X reggimento Arditi, dopo un anno dalla costituzione, seguì la sorte di tanti altri Reparti italiani: alcuni si adeguarono alle clausole dell’armistizio, altri continuarono invece a combattere a fianco dell’ex alleato tedesco. Di fatto, lo stesso X reggimento Arditi si divise in due parti: una confluì nella Repubblica Sociale Italiana (cosiddetta Repubblica di Salò), l’altra fu inglobata nell’Esercito Cobelligerante Italiano e, in data 20 marzo 1944, fu denominata “IX Reparto d’assalto” (ritorna il nome di Reparti d’Assalto e non di Arditi). Con la fine del conflitto, l’Esercito Cobelligerante Italiano divenne Esercito Italiano (EI) ed il IX Reparto d’assalto fu sciolto in data 1º agosto 1946.

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Appare evidente come, anche nel 1944, la continuità storica si interrompe e quei valori – che la tradizione avrebbe dovuto amalgamare, conservare e trasferire – si frammentano in egoismi di parte. E le tradizioni – patrimonio di un popolo, corpus più o meno coerente di idee, valori e attività condivise da tutti – non furono condivise. Quando viene meno il fattore condivisione, le tradizioni medesime non costituiscono più quel “bene” da tramandare alle generazioni future ma tendono ad assumere la connotazione di strumenti finalizzati a far prevalere gli interessi di parte sugli interessi generali.

Va inoltre considerato che, subito dopo il secondo conflitto mondiale, si erano diffuse – sullo scenario internazionale – nuove forme di lotta: prime fra tutte la guerriglia, operativa in zone montane e boscose ed in aree urbane. Per l’avvento di tali scenari, in data 20 aprile 1953 venne costituita ex novo presso la Scuola di Fanteria in Cesano di Roma una “Compagnia speciale” – poi denominata Compagnia Sabotatori – seguita da successive evoluzioni ordinative fino al rango di battaglione. Quest’ultimo, con la ristrutturazione dell’Esercito – in data 1° ottobre 1975, cioè 22 anni e 6 mesi dopo l’istituzione della Compagnia Speciale – assunse la denominazione di 9° battaglione d’assalto paracadutisti “Col Moschin”. Nella circostanza, l’originario termine di sabotatore fu sostituito con quello di incursore, ma non di “Ardito”. Conseguentemente, vista la soluzione di continuità con le precedenti strutture, le origini degli incursori, si identificano con la istituzione della Compagnia Speciale e tali sono state consacrate, “certificate” e convalidate nel corso di un evento commemorativo con la deposizione, nell’aprile 2015, di una stele presso la Scuola di Fanteria di Cesano di Roma. Stele e Scuola di Fanteria rappresentano rispettivamente:

  1. testimonianza della storia di quasi 62 anni nel corso dei quali, purtroppo, sono caduti nell’adempimento del dovere numerosi sabotatori/incursori – esclusivamente appartenenti al Reparto – in operazioni ed in addestramento, commemorati annualmente in occasione del “Memorial Day”;
  2. sede ove la Compagnia Speciale è stata costituita in data 20 aprile 1953, sede e data peculiari ed “armoniche”, quindi “pilastri” più che appropriati e validi ove celebrare la festa di Corpo.

Lo Stato Maggiore dell’Esercito, dunque, non fece “rinascere” una Compagnia Arditi, ma istituì ex novo una Compagnia Speciale alla quale dettero vita i suddetti Capitano Edoardo Acconci (già nella Divisione Folgore con il grado di Sottotenente, pluridecorato e poliglotta) ed il Tenente Franco Falcone (4° Corso dell’Accademia Militare, 1947-1951). Questi ultimi due, i “soci fondatori”, hanno avviato e fatto progredire il reclutamento di Ufficiali, Sottufficiali e Paracadutisti – tutti non provenienti dagli Arditi – nonché l’elaborazione e la successiva programmazione dell’addestramento, senza affidarsi a trascorse esperienze dei Reparti d’Assalto.

Quanto appena delineato riteniamo costituisca l’espressione di una evidente e palese discontinuità con gli Arditi, iniziata e poi continuata con lo scioglimento degli “Arditi Reggimentali” e del IX Reparto d’Assalto – rispettivamente nel I e II conflitto mondiale – nonché successivamente portata avanti dallo Stato Maggiore dell’Esercito con l’istituzione della Compagnia Speciale. Quest’ultima “tagliata su misura” ed incentrata sull’innovativo concetto operativo di allora, probabilmente avallata dallo Stato Maggiore dell’Esercito, anche per sancire tacitamente la discontinuità storica con il passato.

Nel corso degli anni di Comando – 1952/1959 e 1963/1964, record di durata complessiva nell’incarico (7 anni, 8 mesi e 5 giorni) – il Comandante Edoardo Acconci lega il proprio nome ad una filosofia di impiego delle Forze Speciali, dove fa premio la competenza e la professionalità acquisita sul campo.

Contestualmente – e quale conseguenza del delineato scenario internazionale – ha avuto origine l’orientamento dello SME di concepire per la citata Compagnia Speciale “un impiego a livello strategico in ogni ambiente naturale ed operativo”, ponendola alle dirette dipendenze operative dall’Ufficio Operazioni dello stesso SME. E l’attuale Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) dipende direttamente dal Capo di Stato Maggiore della Difesa dal 2004 (anno della costituzione), analogamente a quanto è stato attuato il 26 giugno 1965 (Gazzetta Ufficiale) con COMSUBIN che fa “direttamente riferimento al Capo di Stato Maggiore della Marina Militare” (Mario Bussoni, “Incursori oltre la leggenda. Un secolo di storia delle Forze Speciali della Marina Militare italiana”, ottobre 2013, Mattioli 1885).

Per i su esposti motivi abbiamo reputato che le odierne Forze Speciali, inquadrate nel 9° rgt. d’ass. par. “Col Moschin, non potessero essere discendenti dagli Arditi, perché la riteniamo una forzatura storica anche se questi ultimi – nel loro breve ciclo di vita, come “Istituzioni” – seppero dar prova di abnegazione, indomito valore e fulgidi eroismi.

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Non si può sminuire in sede storica il loro ruolo, specie dopo la disfatta di Caporetto, ma i mutamenti socio-politico-istituzionali – che su di essi incisero – trasformarono i loro valori in strumenti di “lotta fra classi e corporazioni” ed in scontri ideologici che hanno tormentato la nostra giovane democrazia e che sembrano non essere ancora sopiti.

Come sottolineato nel nostro citato articolo, (https://www.analisidifesa.it/2016/04/forze-speciali-quale-futuro/), le evoluzioni socio-politiche e strategiche, maturate nella seconda guerra mondiale, resero evidente che sul campo di battaglia erano intervenute – e successivamente si erano diffuse – forme di conflittualità non convenzionali, per affrontare le quali gli “Arditi” dei Reparti d’assalto non erano né idonei né addestrati. Il loro appellativo e la definizione dei loro compiti indicavano di: attaccare – senza paura di morire – le forze nemiche, sprezzanti del pericolo e degli ostacoli che l’avversario impiegava per difendersi. Il coraggio, l’abnegazione e la temerarietà non erano più sufficienti per andare all’assalto. Occorrevano nuovi e peculiari requisiti per contrastare quelle “forme di guerriglia” – che i fascisti consideravano “vili” – tramite le quali gli “Arditi del popolo” e le formazioni di difesa proletaria riuscivano in alcuni casi a fronteggiare le azioni squadriste.

A tal riguardo, Paolo Mieli (“L’arma della memoria. Contro la reinvenzione del passato”, RCS S.p.A., Milano 2015) afferma (pag. 7): “L’onesto uso dell’arma della memoria è il più valido antidoto all’imbarbarimento. E lo è in ogni stagione politica, in ogni momento del dibattito culturale, in ogni epoca della storia. Un uso onesto che in quanto tale presuppone non ci si rivolga al passato in cerca di una legittimazione per le scelte di oggi. Anzi, semmai, per individuare in tempi lontani contraddizioni che ci aiutino a modificare o a mettere a registro quel che pensiamo adesso. Ben diverso (e diffuso, purtroppo) è il ricorso a forzature della memoria come arma per farci tornare i conti del presente. Un’arma usata con infinite modalità di manipolazione che producono danni quasi irreparabili alla coscienza storica generale, deformano il passato, intossicano il ricordo collettivo anche dei fatti più prossimi. E che, come tale, merita di essere combattuto”.

Quanto in precedenza, espresso, è riferito – in particolare – all’individuazione delle radici e delle connesse tradizioni, mentre in merito a compiti, metodologie ed addestramento non troviamo alcuna corrispondenza con i trascorsi degli “Arditi”. In realtà, l’”abbozzato ed inedito” addestramento iniziale della Compagnia Speciale, in seguito perfezionato – senza alcun supporto di Forze Speciali di Paesi alleati – ha poi subito un’evoluzione  (Vedi articoli Brigata forze Speciali e lezioni apprese e Forze speciali quale futuro).

Infatti, l’evoluzione addestrativa si sviluppò mediante l’elaborazione, nell’ambito del Reparto, di un manuale, la c.d. “libretta rossa”, riguardante la conduzione dei conflitti asimmetrici – naturale palestra degli Incursori – per il contrasto della minaccia non ortodossa. Minaccia non esistente agli inizi del ‘900 e delineatasi solo subito dopo la seconda Guerra Mondiale.

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La c.d. “libretta rossa” è un manuale operativo, frutto dell’impegno dell’allora Capitano sabotatore Valdimiro Rossi: inviato nel 1963 a Fort Bragg – negli USA – frequentò un corso di “guerriglia, controguerriglia e operazioni psicologiche” assimilando e meditando i concetti espressi nel Field Manual 31-16 Counterguerrilla Operation, condensato di precedenti dottrine. Rientrato in Italia, il suddetto Ufficiale rielaborò – e non copiò – gli elementi dottrinali appresi con la redazione della citata “libretta” adattandoli alla realtà nazionale, completamente diversa da quella statunitense. Tale “libretta” – componente rilevante e significativa per il peculiare addestramento del Reparto – è risultata prezioso riferimento e guida per il futuro impiego del Reparto stesso: anche se non “sanitizzata” dai vertici dello SME, quale dottrina d’impiego – la sola “in dotazione” al Reparto – la sua funzione si è palesata compiutamente svolta: è stata collaudata per 17/18 anni attraverso il “banco di prova” delle esercitazioni “Muflone” – della durata di circa un mese – svolte con cadenza annuale e “corredate”, ciascuna, con i relativi documenti ufficiali di esercitazione di volta in volta elaborati ed inviati anche allo SME e dallo stesso approvati nel contesto del “silenzio-assenso”.

In tale quadro, sembra opportuno porre in rilievo:

  1. la peculiare formazione degli allievi sabotatori/incursori presso l’allora 1^ Compagnia (Scuola) ed il loro successivo e costante “rodaggio”, sul campo, nel corso degli anni della “Muflone”, grazie al quale gli incursori, fin dalla prima missione fuori area sono stati in grado sia di affrontare i conflitti asimmetrici sia di acquisire – in particolare – il consenso della popolazione locale. Tali successi sono da attribuire anche agli Incursori anziani, “primi” di coppia nell’ambito dei Distaccamenti Operativi e contestualmente tutor degli incursori giovani (“secondi” di coppia), di fatto “forgiando” questi ultimi sul terreno con l’obiettivo di conferire loro l’”idoneità” quali “combat ready”. Era questa la specifica formazione addestrativa degli allievi incursori, poi perfezionata sul campo con la “Muflone” ed abbandonata agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso. Riattivata negli ultimi 2/3 anni, è stata ridotta sia in termini di durata – 10 giorni anziché un mese circa – sia in termini di attività;
  2. la difficoltà di realizzare, nell’ambito del COMFOSE (Comando Forze Speciali) l’unitarietà nell’addestramento e nello sviluppo dottrinale – fattori indispensabili per la formazione delle Forze Speciali – nella considerazione che l’iter formativo degli Acquisitori e dei Ranger non prevede il peculiare addestramento e la correlata dottrina di impiego, esclusivi per gli “allievi incursori” – finalizzata al contrasto della minaccia non ortodossa nonché al contro terrorismo;
  3. la costituzione, il costante “rodaggio”, il consolidamento, l’evoluzione, il “collaudo” e la certificazione, nel corso degli anni, della struttura di Comando e Controllo – dal 1973 identificata nella Base Operativa Sabotatori, poi Base Operativa Incursori, di recente denominata Task Force (seguita da due numeri arabi) – e rischierata già dalle prime missioni fuori area del Reparto;
  4. la sensibilità e la continua attenzione – entrambe necessariamente “evergreen” – rivolte alle comunicazioni: grazie alla passione, perseveranza, professionalità e continuità di due sabotatori/incursori (un Ufficiale ed un Sottufficiale) ed ai sabotatori/incursori dotati di una formazione ad hoc nell’ambito Reparto. Cioè “operatori radio fatti in casa” che, con l’alfabeto Morse ed il tasto, assicuravano i collegamenti a grande distanza – con apparati radio HF (High Frequency) – da e per la Base Operativa Incursori con i Distaccamenti Operativi sul terreno, in territorio nazionale ed all’estero. In tale contesto si è avviata e sviluppata nel tempo – iniziando da zero ed in successiva progressione – la costituzione dell’attuale Compagnia trasmissioni in organico al 9° reggimento “Col Moschin”. Oggi sembra che la cultura delle comunicazioni con apparati HF tenda ad essere accantonata – forse perché obsoleta – peraltro caratterizzata sia da una spesa contenuta in termini di apparati e di manutenzione sia, in particolare, da una spesa priva di rilevanza in termini di trasmissione e gestione della stessa. Al suo posto sembra venga privilegiata la moderna tecnologia, cioè le comunicazioni satellitari – indubbiamente più snelle, più semplici, più veloci e più costose (favorendo il budget delle relative industrie produttive) – dimenticando, però, che la minaccia non ortodossa si è trasformata in minaccia ibrida.  Tale minaccia mette in crisi, attraverso la cyberwarfare, tutte le tecnologie informatiche – specie le trasmissioni – si da rendere sordi, ciechi e muti Comandi e Reparti, in particolare quelli delle Forze Speciali che, in simili casi, possono disporre delle comunicazioni solo tramite apparati HF;Il primo impiego degli allora Sabotatori paracadutisti nel contrasto al terrorismo, avvenuto in Alto Adige, nel periodo 1966-1971 ed inquadrati – per l’esigenza – nel Reparto Speciale (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Alpini e Sabotatori paracadutisti). Dopo sei anni, nell’ottobre 1977, nella fase più critica degli “anni di piombo”, un’aliquota dell’allora 9° btg. “Col Moschin” confluì (anaim.it), unitamente ad altri tre reparti – un’aliquota del GOI (Gruppo Operativo Incursori) di COMSUBIN (Comando Subacquei Incursori, Marina Militare), GIS (Gruppo Intervento Speciale, Carabinieri) e NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza, Polizia di Stato) – nelle quattro UNIS (Unità di Intervento Speciali), a seguito di una direttiva emanata dal Ministro degli Interni Francesco Cossiga, per lo sviluppo e la sperimentazione di tecniche d’intervento in situazioni di crisi.
  1. la tendenza, emersa nel tempo, alla “rottamazione” degli Incursori anziani dalle compagnie operative, che equivale alla dispersione di un prezioso patrimonio di valori, esperienze e professionalità da tramandare alle giovani leve, onde inculcare loro un qualificato impegno ed arricchire la loro professionalità. Connubio sperimentato con successo anche in ambito aziendale dalla BMW.

Pertanto, in relazione al quadro operativo dei sopraggiunti nuovi scenari, le missioni, l’addestramento e l’equipaggiamento sono ben diversi da quelli degli Arditi. È quindi inequivocabile che tutto ciò che rende differenti gli Incursori del Reparto dagli Arditi della I e II Guerra Mondiale sono non solo le diverse tradizioni con le connesse diverse radici, ma anche l’istituzione di unità completamente nuove, diverse e non inquadrabili nei loro miti. A ciò vanno aggiunte le diverse esperienze e la bivalenza operativa delle nuove strutture: cioè personale caratterizzato da elevata formazione strettamente associata alla peculiare esperienza in azioni dirette, “mission informative”, contro guerriglia e contro terrorismo.

 In sostanza, la storia e la tradizione – che traggono origine dalla Compagnia Speciale/Compagnia Sabotatori e proseguono fino all’attuale 9° rgt. d’ass. par. “Col Moschin” – secondo il nostro punto di vista hanno costituito e costituiscono, senza soluzione di continuità, i simboli delle radici e dell’identità del Reparto. Simboli che sintetizzano il senso di orgogliosa appartenenza – patrimonio di ogni Incursore – a quello “spirito di Corpo” che anima tutte le Forze Armate.

Azzardando un’analogia, il Reparto potrebbe rappresentare la “Ferrari del nostro Esercito”. In linea di principio – e con i dovuti “distinguo” – Reparto e Ferrari sono in piena sintonia in termini di “tradizione, intuizione e innovazione”: espressioni dell’Italia dal secondo dopoguerra ad oggi ove un’azienda, la Ferrari – in un Paese povero e uscito a pezzi dalla 2^ Guerra Mondiale – è diventata la punta di diamante dell’industria nazionale, producendo macchine da corsa e Gran Turismo costosissime, ma in continua evoluzione. Risultati conseguiti privilegiando nel tempo, tra le priorità, la massima cura del personale – tutto altamente specializzato – unitamente alla meritocrazia.

Ed il brand più famoso del mondo che identifica le autovetture Ferrari – “il cavallino rampante” – è sempre lo stesso, immutato dall’origine.

In merito al Reparto, tale espressione era manifestata dagli Incursori, sull’uniforme, con il proprio brevetto (rappresentazione grafica di paracadute, ancora e aquila) – un’immagine che ha un significato ben preciso, che racconta una storia – sostituito dallo scorso anno con “… il nuovo distintivo di merito da Incursore” che non può costituire “definizione tecnica per il brevetto”. Inoltre, il citato brevetto (rappresentazione grafica di paracadute, ancora e aquila) – “declassato” a Distintivo di Reparto, ma senza la scritta di ”INCURSORE” e “corredo” dell’uniforme  – non attenua l’amarezza degli Incursori.

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Al riguardo, la correlata documentazione dello Stato Maggiore Difesa (Pubblicazione SMD-G-010, edizione 2002 – Regolamento per la disciplina delle uniformi) all’art.103 recita “I distintivi di merito indicano il possesso di particolari titoli conseguiti con la frequenza di determinati corsi o con la partecipazione a determinate attività”. In altre parole, il distintivo di merito indica il possesso di un titolo che certifica la frequenza di un corso, ma non ne attesta la professionalità, come avveniva per il brevetto. Ad esempio: il titolo di laurea in ingegneria certifica la frequenza ed il superamento dei previsti esami della relativa facoltà, ma solo l’esame di stato attesta la professionalità dell’Ingegnere che lo abilita all’esercizio della professione.

In conclusione, gli Incursori ritengono che tale distintivo – “gladio e fronde”, già conferito agli Arditi nella 1^ Guerra Mondiale – non appartenga alla loro storia ed alle loro tradizioni e non attesti altresì, nella sua essenza, le loro qualità professionali: in sintesi, in esso non si identificano né si riconoscono. “L’uguaglianza si oppone alla diseguaglianza, non alla differenza”.

Problemi che non hanno avuto e non hanno gli incursori del GOI (Gruppo Operativo Incursori) di COMSUBIN, “coetaneo” del Col Moschin e da sempre con lo stesso brevetto. E i suddetti problemi non li hanno avuti e non li hanno gli Incursori del 17° Stormo dell’A.M. e il GIS dei Carabinieri.

In definitiva, l’attuale situazione delineata non agevola l’impiego delle quattro Unità – 9° rgt. d’ass. par. “Col Moschin”, GOI (Gruppo Operativo Incursori) di COMSUBIN (Comando Subacquei Incursori), 17° Stormo Incursori dell’Aeronautica Militare e GIS (Gruppo Intervento Speciale, Carabinieri) – da parte del COFS, né facilita quanto auspicato dal Ministro della Difesa, Sen. Roberta Pinotti, nel Libro bianco della Difesa …. dobbiamo passare dalla “visione interforze” a una piena “realtà interforze”. Concetti applicabili integralmente nell’ambito delle varie Unità convenzionali delle Forze Armate, ma non estensibili sic e sempliciter alle Forze Speciali che hanno compiti ardui e speciali da assolvere, completamente differenti da quelli delle suddette Unità convenzionali delle Forze Armate.

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L’“integrazione” e l’“interoperabilità” possono tradursi in sviluppo dottrinale e procedurale, unitarietà di addestramento, approntamento, nonché nell’acquisizione dei materiali, ma tale unitarietà necessita di essere calibrata nelle rispettive peculiarità di ciascuna Forza Speciale. Ed è proprio per conseguire questa particolare jointness che è stato costituito il COFS.

In tale quadro – e con il ricorso agli aforismi di Papa Francesco, “la realtà si capisce meglio quando la si guarda dalla periferia” – emerge l’immagine di un Incursore senza un rapporto con la sua storia, senza un confronto con gli Incursori delle altre Forze Armate e, soprattutto, con una identità affievolita da situazioni di disagio e malcontento. La via di uscita da questo malessere sta nel ridefinire correttamente i canoni dell’identità, senza la quale le radici “si perdono per evaporazione” e si ha una visione errata del patrimonio culturale. In sintesi, il Reparto – sempre con ricorso a Papa Francesco – “…. sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamato a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro”.

Riteniamo di poter sostenere questo nostro punto di vista anche in base alla lettera – del Capo di SME pro tempore, in data 07 giugno 2012 – sull’”Identità militare”, disponibile cliccando qui:

di cui ci permettiamo di riportare alcuni passi:

  1. “…. l’identità militare, intesa quale tratto distintivo e specifico di uno status etico e giuridico diverso – e certamente più impegnativo – rispetto a quello degli altri cittadini …… Ritengo, allora, che, proprio in questo momento di particolare delicatezza – tanto per la complessità e l’indeterminatezza degli scenari d’impiego attuali e futuri, quanto, e soprattutto, per la radicale revisione a cui sarà sottoposto lo strumento militare nazionale a causa dei ben noti vincoli finanziari – valga la pena soffermarsi sulla dimensione etica, ribadendo con forza quegli aspetti che costituiscono i cardini della nostra identità di Soldati: la disciplina, l’integrità morale e lo spirito di Corpo. Il compito che la Nazione affida a coloro i quali hanno liberamente scelto di servirla in armi non ammette che ci possano essere carenze e mancanze sotto l’aspetto dell’integrità morale…..Il militare deve essere, ancor prima che uomo in armi appartenente all’Esercito, un cittadino partecipe e consapevole. In tal senso, la sua integrità morale si estrinseca, innanzi tutto, nell’osservare – e far osservare – le regole di convivenza civile nonché i dettati legislativi. Altresì, la sua moralità si esplicita quale parte fondante di una “deontologia professionale” che, oltre al pieno rispetto degli obblighi derivanti dal proprio status, impone un comportamento improntato ad una pluralità di principi e condizioni, tra i quali desidero rimarcare – senza pretese di essere esauriente – l’onestà intellettuale, la collaborazione scevra da personalismi, la trasparenza delle intenzioni e della condotta, la libertà da condizionamenti,….;
  2. Lo spirito di Corpo è quell’intimo legame, frutto dell’orgoglio di appartenenza, che costituisce un formidabile moltiplicatore di forza per l’Istituzione, poiché le consente di essere pienamente coesa al suo interno. Il senso d’appartenenza deve scaturire dalla fierezza di far parte di un dato reparto, di un’Unità, di una specialità, di un’Arma o Corpo, dell’Esercito nel suo complesso e, più in generale, dell’Istituzione militare….Esso deve essere coltivato costantemente attingendo a piene mani dalla storia dei nostri reparti e, più in generale, dell’intero Esercito, …..

In conclusione, questo elaborato costituisce una nostra convinzione che esprimiamo per un confronto dialettico, un dibattito di idee. Riteniamo di fornire un contributo affinché gli errori del passato siano trasformati in “lesson learned”, atteso che queste ultime sono finalizzate alla costruzione di un futuro migliore: sia in direzione dell’educazione dei giovani, sia volto a rafforzare le attuali Istituzioni democratiche, sia a definire gli interessi vitali nazionali attorno ai quali amalgamare il consenso e la condivisione da parte di tutti gli Italiani, perché ci …spaventano di più i nostri errori che i piani degli avversari (Tucidide).

 

*Claudio Masci – Ufficiale dei Carabinieri proveniente dall’Accademia Militare di Modena, dopo aver assunto il comando di una compagnia territoriale – impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali. Laureato in scienze politiche. Tra i suoi contributi L’intelligence tra conflitti e mediazione, Caucci Editore, Bari 2010 e The future of intelligence, 15 aprile 20122, Longitude, rivista mensile del MAE

Foto: Difesa.it, Danilo Amelotti, web, Alberto Scarpitta e Archivio Gaiani

Luciano PiacentiniVedi tutti gli articoli

Brevettato incursore, è stato Comandante di Unità Incursori nel grado di Tenente e Capitano. Assegnato allo Stato Maggiore dell'Esercito, ha in seguito comandato il 9. Battaglione d'Assalto Paracadutisti "Col Moschin" e successivamente ricoperto l'incarico di Capo di Stato Maggiore della Brigata Paracadutisti "Folgore". Ha prestato la sua opera negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico.

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