Prima della nostra libertà dobbiamo limitare la loro

 

da Il Giornale del 21 agosto 2017

Anziché  limitare la nostra libertà restringiamo quella di chi  fornisce ai terroristi islamisti le motivazioni  per ucciderci. Lo spunto lo offre  sul Corriere della Sera Angelo Panebianco  chiedendosi quale sia il “quantum” di libertà a cui  rinunciare per sconfiggere il terrorismo. La risposta  è semplice e parte da una formula in grado di limitare le loro libertà anziché le nostre. La discriminante  tra  lecita  espressione dell’Islam inteso come libertà religiosa e una predicazione  dell’odio da perseguire   arriva dagli stessi teorici dell’Islam  e passa attraverso il ruolo della sharia, la legge del Corano.

L’Islam integrabile è quello pronto a sottoporsi all’autorità dello Stato anche quando questa è difforme rispetto ai principi religiosi.  L’Islam intollerante, capace di  generare  mostri,   è quello che spinge  le  comunità islamica ad anteporre  la “sharia” alla legge dello Stato. Benché  tutti i teorici della tolleranza ad oltranza  si sforzino  di non vederlo questa  tendenza  è un fattore fisiologico, presente  in tutte le   comunità islamiche.  Ed è tutt’altro che marginale. Indagini e sondaggi rivelano che  una percentuale costante  –  oscillante tra 25 e il 30 per cento dei musulmani  – è  convinta  di non dover seguire le norme dello Stato, ma quelle del libro sacro.

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I dati statistici  raccolti in una tesi per il King’s College di Londra dal ricercatore italiano  Michele Groppi  rivelano  che  il  24% dei musulmani  nostrani  “sostiene la violenza in nome di Dio” e il 30% crede che “chi offenda l’Islam e i suoi principi debba essere punito”.

Un’inchiesta del   “Sunday Telegraph”  dimostra che il 40 per cento dei  giovani musulmani  inglesi  tra i 16 e i 24 anni  antepone la sharia alle leggi del Regno. Analogamente secondo una ricerca dell’Istituto Montaigne, almeno  un milione di musulmani francesi, il 28%del totale,  si dice pronto   a mobilitarsi  nel nome  della  “sharia”   prendendo posizione contro le  leggi dello Stato.  Il concetto di sharia è dunque  la “linea rossa”  che separa gli islamici  integrati nel nostro sistema di valori  e quelli decisi a rifiutarlo.

Per proteggere l’area sana dell’Islam da quell’humus potenzialmente violento ed eversivo vanno forniti  ai magistrati gli strumenti legislativi  necessari a colpire i predicatori che spingono parti  rilevanti  delle comunità islamica a  porsi al di sopra e al di  fuori del sistema normativo.

E i magistrati, analogamente a quanto fecero  negli anni del terrorismo il giudice Pietro Calogero e altri suoi colleghi, devono usar quelle leggi per far piazza pulita  dei  “cattivi maestri” che fomentano l’area grigia dell’eversione. Quest’opera di pulizia deve  partire dalle  moschee e dai centri culturali  per arrivare alle  carceri e alla Rete. Deve colpire,  insomma, tutte  le filiere attraverso cui si propaga non solo la propaganda dell’Isis, ma anche l’Islam politico della Fratellanza Musulmana  o quello salafita e wahabita.

Nelle moschee e centri culturali vanno espulsi o reclusi  i predicatori radicali. Nelle carceri vanno isolati e trasferiti  gli auto proclamati imam responsabili della radicalizzazione di altri detenuti. Il lavoro più importante e più complesso va fatto, però, sulla Rete. E non riguarda solo  i cattivi maestri dell’Islam radicale.

Armed policemen stand in a cordoned off area after a van ploughed into the crowd, injuring several persons on the Rambla in Barcelona on August 17, 2017. Police in Barcelona said they were dealing with a "terrorist attack" after a vehicle ploughed into a crowd of pedestrians on the city's famous Las Ramblas boulevard on August 17, 2017. Police were clearing the area after the incident, which has left a number of people injured. / AFP PHOTO / Josep LAGO (Photo credit should read JOSEP LAGO/AFP/Getty Images)

Qui i messaggi  dell’odio e la propaganda  trovano ospitalità e si propagano  in base ad un principio di mancato riconoscimento   della sovranità statale simile a quello sostenuto dai propugnatori della sharia.  I giganti della rete,  come Google, Youtube e Facebook, sostengono,  anche se per ragioni meramente economiche, di rappresentare  una sorta di universo estraneo   alle normative dei paesi in cui operano.

Ma  in base a questa giustificazione  continuano a considerare i  proventi pubblicitari generati dai clic sui messaggi dell’odio islamista più importanti del contenimento dello Stato Islamico e di altri gruppi terroristi. Il media  in questo caso è però  parte integrante del messaggio eversivo.  Dunque per i giganti  del web  restii ad accettare  le regole degli Stati sovrani  vanno previste le stesse pene previste per i cattivi maestri del terrore. Perché solo così difenderemo  le nostre libertà e le nostre vite.

Foto AFP e Getty Images

Illustrazione da Nuova Bussola Quotidiana

 

Gian MicalessinVedi tutti gli articoli

Nato a Trieste nel 1960, è uno dei più noti e apprezzati reporter di guerra italiani. Dal 1983 ha seguito sul campo decine di conflitti inclusi i più recenti in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Ucraina. Reporter e opinionista per Il Giornale e il sito Gli Occhi della Guerra, nella sua carriera ha collaborato con Corriere della Sera, Repubblica, Panorama, Libération, Der Spiegel, El Mundo, L'Express e Far Eastern Economic Review oltre che con le emittenti televisive CBS, NBC, Channel 4, TF1, France 2, NDR, TSI, RaiNews24, RaiUno, Rai 2, Canale 5 e LA7. Per il suo lavoro di reporter di guerra ha ricevuto il Premio Antonio Russo (2003), il Premio giornalistico Cesco Tomaselli (2007) e il Premio Ilaria Alpi (2011).

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