Terrorismo: perché finora l’Italia non è stata colpita
da Il Mattino del 20 agosto 2017
Gli attacchi terroristici in Spagna e Finlandia, paesi finora risparmiati dalle aggressioni terroristiche targate Stato Islamico, contribuiscono all’allarme sui possibili attentati di matrice islamica in Italia. Preoccupazioni rafforzate ieri dalla notizia diffusa da SITE, l’organizzazione statunitense che monitora la propaganda, i proclami e le comunicazioni in rete dei gruppi jihadisti, che ha rilevato su un account di Telegram messaggi che indicano l’Italia come prossimo obiettivo di atti terroristici.
Anche se non è certo la prima volta che l’IS cita i leader politici italiani come nemici o l’Italia e Roma come bersagli da attaccare o obiettivi da conquistare, l’allarme appare giustificato. Se la Spagna è stata “punita” per la sua blanda partecipazione alla Coalizione anti-Isis guidata dagli USA e attiva da tre anni in Iraq e Siria, per la stessa ragione l’Italia dovrebbe essere ancora più esposta visto che in Iraq schieriamo 1.400 militari (il triplo degli spagnoli) e aerei e droni da combattimento che peraltro non svolgono azioni di bombardamento.
Da quando ha preso il via la nuova stagione di attentati islamici in Europa ci si è spesso interrogati sul perché l’Italia non sia stata ancora presa di mira dagli adepti del Califfato anche se evidentemente non c’è una sola risposta a questa domanda.
In realtà, prendendo in esame solo il periodo successivo alla proclamazione del Califfato a Mosul, nell’estate 2014, sono stati diversi gli obiettivi italiani presi di mira da cellule jihadiste i cui attacchi sono stati sventati, a partire dalla cellula arrestata dai servizi segreti marocchini che nell’autunno 2014 intendeva compiere attentati contro la metropolitana di Milano e le basiliche di Padova e Bologna (a San Petronio è conservato un affresco quattrocentesco di Giovanni da Modena che ritrae Maometto all’inferno e che aveva già attirato le attenzioni di al-Qaeda nel 2002). Più recentemente le forze di sicurezza italiane hanno sgominato cellule che avevano pianificato attacchi al ponte di Rialto a Venezia e in altre città.
Sarebbe inoltre ingiusto non ricordare che dall’attacco al museo del Bardo a Tunisi, il 18 marzo 2015, sono 29 i cittadini italiani uccisi in dieci attacchi jihaditi compiuti in Europa ma anche in Bangladesh, Libia e Burkina Faso.
L’Italia e gli italiani sono quindi un obiettivo per il terrorismo ma accanto agli ottimi risultati conseguiti dalle forze di sicurezza e intelligence vi sono probabilmente altri elementi che hanno consentito finora di limitare la minaccia.
A differenza di altri paesi europei in Italia non vi sono ancora numeri consistenti di immigrati islamici di seconda o terza generazione (bacino privilegiato del jihadismo), i foreign fighters sono 125 (contro 200 in Spagna, 800 in Germania e forse il doppio in Francia e Gran Bretagna) e di questi ne sono finora rientrati solo una mezza dozzina.
Benchè in fase processuale siano stati rimessi in libertà molti islamici sospettati di aver aderito a gruppi jihadisti, le espulsioni di radicalizzati sono oltre cento dall’anno scorso, inclusi alcuni imam salafiti. Molti jihadisti identificati non hanno la cittadinanza italiana, a differenza di altri paesi Ue, quindi possono essere espulsi.
Inoltre in Italia non ci sono ancora “cittadelle islamiche” come quelle presenti in Gran Bretagna, Belgio, Francia o Svezia, amministrate di fatto dalla sharia e divenute “no go area” fuori controllo in cui neppure la polizia entra.
I dati del Ministero degli Interni rivelano che rispetto al 2016 sono aumentati arresti, espulsioni e controlli antiterrorismo ma se pare innegabile che l’Italia condivida con l’Europa gli stessi problemi, è altrettanto evidente che da noi sono meno marcati o forse non ancora incancreniti, a tutto vantaggio della prevenzione.
Se in alcuni paesi europei il numero di sospetti terroristi e “radicalizzati“ islamici da tenere sotto controllo è troppo elevato per le risorse umane e tecnologiche delle forze di sicurezza, in Italia è ancora gestibile.
Alcuni hanno evidenziato negli ultimi due anni che l’Italia sarebbe stata risparmiata perché i jihadisti la utilizzano come retrovia logistica per chi deve fuggire o colpire in Nord Europa. Personaggi come Anis Amri o Salah Abdeslam sono transitati dall’Italia ma è difficile poter confermare questa tesi con dati oggettivi anche perché in tema di controlli e segnalazioni su sospetti terroristi le forze di sicurezza italiane si sono distinte per efficienza e collaborazione con i colleghi stranieri.
Infine non si possono escludere anche valutazioni strategiche dei vertici dello Stato Islamico e dalle sue ramificazioni in Europa che potrebbero aver influito nel decidere di non mettere anche l’Italia nel centro del mirino terroristico.
Attaccare Roma, culla della cristianità e capitale del cattolicesimo, potrebbe provocare una dura reazione del mondo cristiano che finora non ha osteggiato la crescente penetrazione islamica in Europa e ha osservato spesso con distacco o distrazione le tante persecuzioni a cui sono sottoposte comunità e minoranze in molti paesi musulmani.
Non dimentichiamo poi che sul fronte dell’immigrazione illegale l’Italia accoglie da quattro anni chiunque paghi i trafficanti per imbarcarsi sulle coste libiche. Flussi al momento “congelati” dall’iniziativa italo-libica, ma che dal 2013 hanno portato in Italia oltre 700 mila persone, in buona parte islamici, e che hanno fruttato miliardi alle organizzazioni criminali che tutti i servizi d’intelligence considerano finanziatori dell’IS e di al-Qaeda nel Maghreb Islamico.
Non è un caso che a Sabratha, la località costiera della Tripolitania da cui partivano fino a poche settimane or sono buona parte di barconi e gommoni, vi sia da anni una importante base dello Stato Islamico bombardata nel febbraio 2016 dai cacciabombardieri statunitensi.
Foto: AFP, Isis, Getty Images
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.