Trump cerca il “casus belli” con l’Iran?

La Casa Bianca è in pressing sull’intelligence americana perché produca prove a sostegno della violazione dell’accordo sul nucleare del 2015 da parte di Teheran. E’ quanto rivela il quotidiano britannico The Guardian che cita analisti ed ex funzionari dell’amministrazione, che a loro volta invitano a resistere alla pressione dei vertici.

Un’eventuale denuncia dell’accordo, scrive il giornale, potrebbe portare a una nuova corsa al nucleare, peraltro già innescata dalle tensioni tra Washington e Pyongyang.

“So di alcuni membri dell’intelligence che si sentono sotto pressione”, racconta Ned Price, ex analista della Cia ed ex portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale. “C’è la sensazione di “aver già visto questo film’ di un deja vu”, prosegue Price, riferendosi a quanto accaduto con la guerra in Iraq nel 2003 e con le false prove sulla presenza di armi di distruzione di massa.

Il presidente americano Donald Trump ha fatto sapere che prevede di dichiarare l’Iran non conforme all’accordo a metà ottobre, quando dovrà firmare la certificazione trimestrale di conformità dell’accordo nucleare. David Cohen, ex vice direttore della Cia, ha definito “sconcertante” il fatto che Trump sia già giunto a tale conclusione senza che l’intelligence abbia fornito alcuna prova al riguardo.

Washington ha del resto fino a ieri ammesso che Teheran ha rispettato gli impegni assunti firmando l‘accordo sul nucleare.

“Dietro le quinte c’è una grande macchina che sta gonfiando rapporti, aggiornamenti e controlli per l’amministrazione e il Congresso – spiega Richard Nephew, uno dei negoziatori per la Casa Bianca dell’accordo, ora alla Scuola di relazioni internazionali della Columbia University.

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Ci sono funzionari di intelligence e analisti in parecchie agenzie che passano il giorno a spulciare ogni singolo report su ciò che accade in Iran per cercare di trovare delle prove di non conformità.      I servizi segreti hanno imparato bene la lezione dell’Iraq” – ha proseguito Nephew.

“Sono quasi certo che gli analisti che conosco si dimetteranno e che lo diranno ad alta voce prima di permettere che le loro parole siano distorte e trasformate in modo simile a quanto accaduto in Iraq”.

Per Robert Malley, negoziatore americano dell’accordo sul nucleare, sarà dura per Trump ignorare le riserve dell’intelligence americana e dei Paesi alleati sulla presunta violazione dell’accordo.      Un altro modo per attaccare l’accordo perseguito dall’amministrazione Trump è attraverso le ispezioni dei siti militari iraniani.

“Si tratta di un meccanismo molto dettagliato – spiega Malley – ci sono persone ai margini dell’amministrazione che stanno spingendo sul dossier iraniano, sostenendo che dovrebbero chiedere un’ispezione in tutti i siti sensibili per nessun motivo in particolare, allo scopo di testare siti sensibili per nessun motivo in particolare, allo scopo di testare i limiti dell’accordo”.

Ad alimentare i sospetti, secondo l’ambasciatrice americana all’Onu Nikky Haley, è la vecchia prassi iraniana di utilizzare dei siti militari per coprire il programma di sviluppo nucleare. L’amministrazione americana sta esercitando pressione anche sull’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) perché richieda ispezioni più invasive nei siti militari in Iran. L’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite si è recata in visita alla sede dell’Aiea a Vienna per fare pressioni in questo senso.

Secondo Haley (nella foto sotto) gli ispettori dell’agenzia dell’Onu sono “dei professionisti, dei veri esperti nel loro campo. Detto questo – ha proseguito – per quanto competente sia l’Aiea, lo può essere solo relativamente a ciò che le è consentito di vedere. L’Iran ha pubblicamente dichiarato che non permetterà l’accesso ai siti militari, ma l’accordo non fa distinzioni tra siti militari e non militari. Ci sono anche numerosi siti non dichiarati che non sono stati ancora ispezionati”.

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E se all’epoca di Bush i servizi segreti erano profondamente divisi sulle presunte armi di distruzione di massa possedute dall’Iraq, in questo caso c’è un consenso generale dell’intelligence statunitense e straniera, del dipartimento di Stato americano, dell’Aeia e dei cinque Paesi firmatari dell’accordo, inclusa l’Ue, rispetto alla mancanza di prove relativa ad una presunta violazione dell’intesa da parte dell’Iran.

Ipotesi respinta da Laura Rockwood, direttrice esecutiva al Centro di Vienna per il disarmo e la non proliferazione ed ex consigliera all’Aiea nel dipartimento incaricato di effettuare le ispezioni, secondo cui gli Stati Uniti o altri Stati firmatari dell’accordo dovrebbero fornire delle solide prove prima di poter richiedere un’ispezione.

A questo punto l’intesa potrebbe procedere senza la partecipazione di Washington, con Teheran e gli altri Paesi firmatari chiamati a decidere se mantenere in vita l’accordo senza gli Stati Uniti, una decisione che potrebbe approfondire la crepa apertasi tra l’Europa e l’amministrazione Trump, con Londra nel mezzo. Cohen preconizza una spaccatura sulla questione: “Di fatto Washington non sarà sostenuta dal resto della comunità internazionale, né dai suoi alleati in Europa, certamente non dai russi né dai cinesi nel tentativo di ristabilire una vera pressione sugli iraniani”.

(con fonte AdnKronos/Aki)

Foto AP, CNN e web

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