Il realismo con l’Egitto, una svolta necessaria

da Il Messaggero del 5 settembre 2017

Dopo gli accordi con le diverse autorità ed entità libiche che hanno portato a “congelare” i flussi migratori illegali, il governo italiano sembra voler ribadire una linea di politica estera basata sul pragmatismo rilanciando i rapporti con l’Egitto più di un anno e mezzo dopo la tragica uccisione di Giulio Regeni.

“E’ impossibile per Paesi dirimpettai non avere interlocuzione politico-diplomatica di alto livello” ha detto il ministro degli Esteri Angelino Alfano, in merito all’invio dell’ambasciatore italiano al Cairo.

Avere verità e giustizia “se non si hanno rapporti” con l’Egitto “è ancora più difficile” ha aggiunto in un diverso contesto il presidente del Senato, Pietro Grasso.

Pur riconoscendo che il caso Regeni “è una grave ferita per le nostre coscienze” per la quale “vanno trovati i responsabili” Alfano ha spiegato che l’ambasciatore Giampaolo Cantini assumerà l’incarico al Cairo il 14 settembre. L’Ambasciatore italiano era stato richiamato nell’aprile 2016 a causa della scarsa collaborazione egiziana sull’omicidio del giovane italiano.

Renzi-Al-Sisi

Una collaborazione che ora sembra ripresa mentre a Roma si attribuisce maggior peso al silenzio di Londra e dell’Università di Cambridge, che mandò Regeni in Egitto alle dipendenze di un’insegnante legata ai Fratelli Musulmani, movimento terroristico per la legge egiziana.

La disponibilità a fornire altri elementi sul caso sembra confermare che anche al Cairo c’è la consapevolezza della necessità di mantenere rapporti stretti con l’Italia anche in virtù dei temi sui quali i due Stati sono troppo interconnessi per non interfacciarsi.

Del resto l’omicidio Regeni ha interrotto una fase di perfetta intesa sotto tutti i profili tra Roma e il Cairo e diversi aspetti di quella tragica vicenda consentono di interpretarla come un chiaro tentativo di mettere i bastoni tra le ruote alle relazioni bilaterali.

Per questo non ripristinare le relazioni diplomatiche con l’Egitto avrebbe fatto solo gli interessi di quanti, in Europa come al di fuori dalla Ue, considerano l’Italia più un competitor che un partner e che hanno tratto profitto dalla crisi italo-egiziana.

Non si tratta solo di una questione di interscambio commerciale, anche se in assenza dell’ambasciatore l’export italiano in Egitto nel 2016 è arrivato vicino a 3,1 miliardi di euro, in crescita di quasi 200 milioni rispetto all’anno precedente, con 130 grandi aziende italiane presenti nel paese che partecipano anche a gare e commesse pubbliche.

La necessità di riprendere stretti legami non è neppure legata solo al mega giacimento di gas Zohr scoperto due anni or sono dall’ENI al largo di Alessandria che soddisferà per decenni il fabbisogno energetico egiziano e consentirà al Cairo anche di esportarne rilanciando così la sua economia.

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Italia ed Egitto hanno la necessità di lavorare strettamente su diversi dossier di interesse strategico, oltre che economico, riprendendo il dialogo sul futuro della Libia che si era instaurato tra l’allora premier Matteo Renzi e il presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Sviluppo più che mai necessario oggi che l’Italia è tornata protagonista in Libia a sostegno del governo di Fayez al-Sarraj con l’accordo navale a supporto della Guardia costiera libica e la base militare–sanitaria a Misurata.

L’Egitto invece resta il grande sponsor del maresciallo Khalifa Haftar il cui esercito controlla la Cirenaica ma anche ampie porzioni di Fezzan e Tripolitania.

Un’intesa tra i due leader libici, auspicata dalla comunità internazionale, difficilmente potrà concretizzarsi senza un accordo tra i loro sponsor internazionali a salvaguardia delle rispettive priorità ed interessi nazionali. Espressione che per l’Italia significa blocco dei flussi migratori, garanzie sul gasdotto Greenstream gestito dall’Eni attraverso il terminal di Melitha e rimozione del blocco alle aziende italiane in Cirenaica ordinato da Haftar.

Obiettivi per i quali l’Egitto può essere un partner formidabile o un avversario temibile così come senza il supporto italiano il Cairo avrà molte difficoltà a stabilizzare la nostra ex colonia.

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Anche sul fronte del controllo del Mediterraneo, della lotta ai traffici di esseri umani e al terrorismo islamico l’Egitto è un alleato indispensabile per l’Italia.

Costituisce la più grande potenza militare di Africa e Medio Oriente, ha un ruolo di primo piano nella Lega Araba e rappresenta il principale argine al radicalismo islamico in quella regione combattendo da anni una guerra contro la branca locale dell’Is che ha già provocato 2 mila morti pur permettendo al suo intelligence di raccogliere molte informazioni su cellule e foreign fighters, inclusi quelli provenienti dall’Europa.

Inoltre anche il Cairo ha interesse a impedire che l’IS torni a radicarsi il Libia, in particolare nelle aree desertiche tra il confine egiziano, Sebha e la frontiera algerina, ideali per gestire proficui traffici illeciti.

Una cooperazione nel settore della sicurezza tra le due sponde del Mediterraneo e tra Roma e Il Cairo è sempre più necessaria, specie ora che la disfatta dell’Isis in Iraq e Siria e la morte di quasi tutti suoi leader mediorientali sta spostando l’asse portante del Califfato in Nord Africa e Sahel. Alle porte di casa nostra.

@GianandreaGaian

Foto Infoophito, Ansa, Web e ENI

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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