Le ambigue operazioni americane sul fronte siriano

da Il Mattino del 9 settembre 2017 (titolo originale “Siria, il duro colpo di Assad e Putin alla trincea Isis”).

Anche se in Occidente se ne parla pochissimo, la guerra contro lo Stato Islamico in Medio Oriente ha registrato in questi gironi una significativa vittoria nel settore strategico di Deir Ezzor, nella Siria orientale, dove le truppe di Damasco appoggiate da aerei e forze speciali di Mosca hanno sfondato le linee nemiche ricongiungendosi con le guarnigioni assediate dai jihadisti da oltre due anni.

Una vittoria da consolidare perché i miliziani hanno ancora la capacità di contrattaccare e controllano molti quartieri della città abitati da circa 10 mila civili. Ciò nonostante il governo di Bashar Assad ha ripreso i pozzi di petrolio della regione che per tre anni hanno contribuito a sostenere finanziariamente il Califfato e, sul piano militare, si trova nelle condizioni ottimali per liberare la città, riconquistare l’intera area di confine con l’Iraq e lanciare l’offensiva per liberare gli ultimi possedimenti dell’IS.

La rapida avanzata delle truppe di Damasco ha visto le forze speciali statunitensi intervenire nelle ultime due settimane con operazioni di evacuazione che sollevano non poche perplessità.

Consiglieri militari occidentali con curdi a Mosul

L’Osservatorio siriano per i diritti umani, (Ondus, ong con sede a Londra vicina ai ribelli “moderati” anti Assad che dispone di una vasta rete di osservatori in tutta la Siria) ha rivelato che gli americani hanno effettuato operazioni lampo con forze speciali tese a recuperare spie e collaboratori infiltrati nei ranghi dell’IS.

L’Ondus e fonti locali citate dal quotidiano panarabo al-Hayat hanno riferito che dal 20 agosto elicotteri della Coalizione hanno prelevato presunti miliziani jihadisti, molti dei quali di nazionalità europea, cioè “foreign fighters”. Le missioni si sono svolte nei distretti di Tibni e Bulayl, nei pressi di Deir Ezzor.

Fonti militari e diplomatiche anonime citate da Sputnik, testata russa di Stato, accusano gli Stati Uniti di aver evacuato da quella zona per via aerea oltre 20 comandanti dello Stato Islamico con le loro famiglie.

Il comando della Coalizione ha negato definendo false le rivelazioni delle fonti citate da Sputnik, che potrebbero facilmente essere russe, le quali hanno rivelato dettagli interessanti. La notte del 26 agosto un elicottero americano avrebbe evacuato due comandanti dell’IS di origine europea, insieme a membri delle loro famiglie, da un’area a nord ovest di Deir Ezzor mentre altri 20 comandanti e miliziani del Califfato sarebbero stati recuperati in un’area a sud est della città e trasferiti nel nord della Siria.

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Le rivelazioni di Sputnik sembrano quini combaciare con quelle dell’Ondus e delle fonti siriane citate da al-Hayat.

Resta da chiarire il ruolo delle persone poste in salvo dagli statunitensi: spie e informatori oppure leader militari dell’IS utili per continuare a combattere le forze di Damasco e i loro alleati russi, iraniani ed Hezbollah libanesi?

Entrambe le opzioni risultano credibili pur con qualche necessaria riflessione. Più che logico che gli Stati Uniti evacuino spie e informatori infiltrati nei ranghi dell’IS per impedire che vengano uccisi o catturati da russi e siriani che potrebbero così ottenere importanti informazioni sulla rete d’intelligence americana nel paese.

Un numero così elevato di uomini del Califfato messi in salvo dalle forze speciali e soprattutto le loro qualifiche di comandanti militari suscita inevitabilmente sospetti circa la natura delle informazioni che gli uomini dell’IS fornivano agli statunitensi. Il dubbio è che invece di tradire la causa jihadista gli informatori fornissero dati sulle forze russe, siriane e iraniane schierate in quel settore.

L’evacuazione mirava forse anche a evitare che i comandanti dell’IS “amici” degli USA venissero uccisi dai raid aerei russi come quello reso noto ieri che a Deir Ezzor ha ucciso 40 miliziani tra i quali 4 leader e Gulmurod Khalimov, ex colonnello tagiko considerato il ”ministro della Guerra” del Califfato.

US forces Syria YPG HQ Reuters

D’altra parte gli americani non sono quasi mai interventi nella battaglia di Deir Ezzor se non quando, esattamente un anno or sono, 37 attacchi aerei uccisero un centinaio di militari siriani ferendone almeno altrettanti, proprio mentre i miliziani jihadisti cercavano di sfondare le linee governative che difendevano l’aeroporto, infrastruttura vitale per rifornire la guarnigione assediata.

“Un errore”, si giustificò il comando della Coalizione, ma a Damasco quel raid suonò come la conferma del sostegno statunitense anche allo Stato Islamico, oltre che alle altre milizie che hanno combattuto dal 2011 il regime di Assad.

Un confronto combattuto anche sul fronte mediatico: non è forse un caso che la vittoria di Assad e Putin a Deir Ezzor sia stata “oscurata” dall’ennesimo rapporto della Commissione d’inchiesta dell’Onu che accusa Damasco (che ha sempre negato) di aver usato il gas nervino sarin il 4 aprile scorso a Khan Sheikhoun, dove morirono 87 persone.

Non è casuale neppure che nelle ultime settimane Usa e Gran Bretagna abbiano chiuso i programmi di addestramento e armamento dei ribelli siriani cosiddetti “moderati”, ormai vani dopo le vittorie militari di Damasco e dopo che molti combattenti erano confluiti nelle poco “moderate” milizie Salafite, del Califfato e dei qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra.

Del resto negli ultimi mesi caccia e droni americani hanno attaccato più volte le truppe di Assad vicino ai confini giordani e a sud di Raqqa, per proteggere le forze ribelli sostenute dagli Usa e impedire ai governativi di riconquistare la capitale dello Stato Islamico altre aree strategiche del territorio siriano.

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A rafforzare i dubbi circa le ambiguità americane, Mosca e Damasco denunciarono il “corridoio” lasciato aperto nell’autunno scorso a nord di Mosul per consentire alle milizie del Califfato di lasciare la città irachena investita dall’offensiva delle forze di Baghdad e raggiungere proprio la regione siriana di Deir Ezzor. “Corridoio” poi chiuso dalle milizie scite irachene filo-iraniane.

Washington sembra quindi considerare il conflitto siriano sempre meno un fronte della pur blanda guerra condotta negli ultimi tre anni a Usa e Coalizione contro lo Stato Islamico e sempre di più un fronte del confronto ormai globale con la Russia e contro l’asse scita guidato dall’Iran.

Un asse che, una volta spazzato via il Califfato, avrà un’ampia continuità territoriale che comprenderà Iran, Iraq e Siria fino al Libano meridionale in mano a Hezbollah. Un incubo strategico per Israele (che anche nei giorni scorsi ha colpito installazioni militari in Siria) ma considerato una grave minaccia anche dalle monarchie sunnite del Golfo e dall’Amministrazione Trump.

@GianandreaGaian

Foto: forze speciali USA in Siria e Iraq (AFP, AP e web)

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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