Scacco al Califfato in Siria: l’offensiva di Assad a Deir Ezzor
La rottura dell’assedio dell’Isis alla città siriana di Deir Ezzor da parte delle forze governative di Assad e dei loro alleati russi e sciiti, che siano questi iraniani delle Guardie Rivoluzionarie o militi libanesi di Hezbollah, è stata la novità militare più significativa delle ultime settimane nella lotta contro il Califfato, ed è stata anche coronata dalla parallela uccisione, in quello stesso scacchiere, di importanti capi del califfato da parte dell’aviazione russa.
Recandosi il 13 settembre in visita a Damasco, quindi, il ministro della Difesa russo Serghei Shoigu aveva più di una ragione per festeggiare insieme al presidente siriano Bashar El Assad, portandogli di persona le felicitazioni del presidente russo Vladimir Putin.
Comandi decapitati
L’8 settembre 2017, appena tre giorni dopo l’annuncio della vittoria nella lunga battaglia aeroterrestre, il Ministero della Difesa russo ha confermato che un’incursione di cacciabombardieri Sukhoi proprio vicino a Deir Ezzor ha centrato un bunker che ospitava un posto di comando dell’Isis, uccidendo circa 40 miliziani, fra i quali quattro pezzi grossi di cui l’esponente di maggior spicco era il “ministro della Guerra” del Califfato, quel Gulmurod Khalimov, originario del Tagikistan, che i russi conoscono bene e che in passato, quando era ancora un ufficiale tagiko, era stato perfino addestrato dalle forze speciali americane.
Il raid è scattato il 5 settembre quando da informazioni di intelligence, confermate dalla ricognizione, è stata accertata la presenza nel quartier generale Isis, realizzato in un bunker sotterraneo, degli “alti papaveri”. Dalla consueta base di Hmeimm, vicino Latakia, da due anni ormai “tana” dei falchi inviati dal presidente russo Putin ad aiutare il collega siriano Assad, sono decollati due Sukhoi Su-34, scortati da Su-35, armati con bombe perforanti a detonazione sotterranea che hanno centrato il bersaglio. Oltre a Khalimov (nella foto sotto), fra gli altri comandanti del Califfato disintegrati dagli ordigni russi, si segnalava anche il cosiddetto “sceriffo di Deir Ezzor”, ovvero Abu Muhammad Al Shimali, specializzato nel finanziamento e addestramento di nuove reclute.
L’uccisione di Khalimov e compagni è stata un po’ una “ciliegina sulla torta” a decorazione di una vittoria di ampio respiro. E anche se piccole parti della città e dei sobborghi sono ancora in mano ai jihadisti attorno a metà settembre di questo 2017, questi sono rimasti in pochi, ormai divenuti da assedianti ad assediati, in un vero ribaltamento di ruoli. Con Deir Ezzor aperta al libero afflusso di forze regolari grazie alle strade sotto controllo governativo, e soprattutto all’autostrada passante da Homs e Palmira.
Proprio in questa area, la citata arteria di comunicazione si immette infatti nella valle del fiume Eufrate, la quale si ritrova ormai quasi del tutto interdetta, o perlomeno in grandissima parte interdetta, all’Isis, che vede sempre più sfilacciati i collegamenti fra le sue due roccaforti maggiori, la siriana e la irachena.
Raqqa stessa, già pressata dalle Unità di Difesa Popolare (YPG) curde unite a milizie tribali sunnite nelle Forze Democratiche Siriane (SDF), ne risulta tagliata fuori, mentre i miliziani Isis in Iraq, a loro volta, dopo aver già ingoiato il rospo della perdita di Mosul si trovano ora a poter contare sempre meno sul retroterra siriano alle loro spalle.
In parole povere, il significato strategico della conquista di Deir Ezzor è che Assad e i suoi alleati possono liberamente far affluire le loro forze fin sull’Eufrate, proiettandosi definitivamente fuori dalle loro più sicure roccaforti della Siria Occidentale e incuneandosi in quella Orientale
Base di partenza
La vittoria dell’armata di Damasco a Deir Er Zor è stata considerate una delle più importanti, e in più conseguita in un arco di tempo relativamente breve, circa tre settimane tra fine agosto e metà settembre, ultime sacche di resistenza a parte.
Si può a ben ragione parlare di “velocità”, specie se la si confronta con l’analoga operazione condotta in Iraq a Mosul, sebbene sia anche da soppesare l’assai maggiore estensione della città irachena e il fatto che, a oggi, Deir Ezzor non sia stata completamente liberata e secondo alcune fonti ci vorranno forse alcune settimane per “bonificarla”.
La premessa fondamentale per questa vittoria è stata la conquista di As Sukhnah, trampolino strategico dell’operazione perché punto obbligato di transito lungo l’autostrada da Palmira a Deir Ezzor.
Il 2 agosto 2017 le forze siriane provenienti da Palmira erano a soli 700 metri da Sukhnah e l’indomani avevano già preso il 20% della città e il 5 agosto l’intero centro abitato era ormai sgomberato dalle forze dell’Isis. Si offriva in tal modo una base avanzata da cui muovere in un secondo tempo per attaccare Deir Ezzor raccogliendovi truppe e rifornimenti per il balzo finale. Questa città opportunamente posizionata lungo la grande strada ha fatto da efficace base di partenza. Nel frattempo altre truppe avanzavano da Sud, attraverso il deserto, ed erano a 40 km da Deir fin dal 31 luglio.
Nella città di Deir Ezzor fin dal 2014 una guarnigione siriana era circondata dai jihadisti, il centro era controllato dai soldati della 137a Brigata Meccanizzata, ultimo resto abbastanza integro della provata 17a Divisione della Riserva guidata da un generale proveniente dalla Guardia Repubblicana, Mohammad Khaddour. La 17a Divisione era un reparto di 8.500 uomini che ha subito molte perdite fin dal 2012, agli albori della guerra civile, ed è stato molto sparpagliato sul territorio ma la sua 137a Brigata ne è risultata una unità di coriacei veterani.
Altro caposaldo importante per impegnare su due fronti l’Isis si rivelava l’aeroporto, sul lato meridionale della città, tenuto dalle Guardie Repubblicane di una famosa unità di elite, la 104a Brigata Aviotrasportata del generale Issam Zahreddine (a destra nella foto d’apertura), i cui mille uomini erano stati rinforzati dal gennaio 2017 con ulteriori 500 soldati sbarcati da elicotteri provenienti dalla base siriana di Qamishli.
Il controllo dell’aeroporto ha permesso se non altro di mantenere contatti sporadici con l’esterno, con atterraggi di elicotteri e velivoli da trasporto, anche i russi Ilyushin Il-76, seppure più spesso si sia utilizzato il lancio con paracadute (oltre 300 le consegne di rifornimenti per via aerea dall’inizio dell’anno)
.Le unità assediate hanno tentato più volte di spezzare l’accerchiamento, non riuscendoci talvolta per il rotto della cuffia. Per ironia della sorte, le truppe siriane a Deir sono state perfino ostacolate dalla coalizione a guida americana, che il 17 settembre 2016 condusse contro di loro un disastroso attacco presentato come “un errore”.
Quel giorno sulla zona delle alture di Tharda, poco a Sud dell’aeroporto si era avventata una squadriglia mista composta, pare, da due aerei d’assalto corazzati A-10 americani, due caccia F-16 danesi, due caccia F-18 australiani e un drone britannico Reaper, più altri velivoli da sorveglianza radar.
Dovevano, in teoria, attaccare l’Isis, ma finirono col bombardare postazioni e veicoli degli avamposti siriani, uccidendo fino a 106 soldati e ferendone 110. Curiosamente, poco dopo l’attacco aereo a guida americana, duramente criticato dai governi siriano e russo, l’Isis attaccava la prima linea degli assediati guadagnando posizioni. Senza fare tutta la cronaca del lungo assedio, gioverà tener presente che il 21 febbraio 2017 la 104a Brigata era giunta quasi a rompere l’accerchiamento dell’aeroporto, mancandole solo un chilometro e mezzo, prima di essere contenuta dall’Isis.
Prima che partisse l’offensiva della tarda estate, comunque, l’Iran ha dato una mano ad ammorbidire le difese dei jihadisti, già attaccate dall’aviazione russo-siriana, con un inusuale lancio di missili balistici a medio raggio dal territorio metropolitano persiano. Il 18 giugno 2017, infatti, sei missili Shahab hanno colpito gli acquartieramenti dei terroristi causando gravi danni.
Mentre l’esercito siriano si preparava a muovere da Sukhnah, il 12 agosto elementi paracadutisti siriani prendevano posizione 20 chilometri alle spalle dell’Isis ad al-Hadar, sul limitare fra le province di Raqqa e di Homs, per ostacolare i collegamenti nemici e soprattutto l’afflusso di rinforzi. L’inizio vero e proprio dell’offensiva finale si pone al 27 agosto 2017, quando l’esercito siriano ha iniziato ad avanzare lungo la strada Sukhnah-Deir Ezzor preceduto da quella sorta di “spazzaneve” costituito dagli attacchi aerei russi coi Sukhoi Su-34 e Su-35.
Anche l’aviazione siriana, con i più attempati Su-22, ha dato il suo contributo, specialmente distruggendo una postazione di comando dell’Isis ad a-Rashdiyah, sobborgo della città. Da subito l’aviazione russa ha assicurato un impegno fra 60 e 70 missioni quotidiane. L’avanzata da As Sukhnah, quella principale ha visto protagonista anzitutto quel valido apripista che si è dimostrata essere la formazione di elite delle “Forze Tigre”, unità a livello reggimento composta da circa mille effettivi.
Al suo fianco la 18a Divisione corazzata del generale Wajih Mahmud, una divisione in sé piccola come effettivi, circa 7000 uomini, ma ben articolata tatticamente su tre brigate corazzate montati su carri da battaglia T-72, più una brigata meccanizzata di fanteria d’appoggio ai carri e un reggimento di artiglieria pure d’appoggio ai cingolati.
Manovra a tenaglia
Già il 28 agosto le avanguardie siriane erano a 66 km dalla città assediata, il giorno 29 le forze assediate della 137a Brigata hanno dal canto loro attaccato le postazioni Isis nella parte occidentale della città, nell’area denominata “Panorama”, per dare una mano ai loro soccorritori.
Dalla strada di Sunkhnah, le Forze Tigre erano a 50 km da Deir entro il 30 agosto. Sono poi avanzate aprendo la via alla 18a Divisione attraverso il monte Bishri e prendendo le colline di Al Abd, Nazerat, Nairaman, e Admah, arrivando il 2 settembre a 25 km da Deir e a soli 16 km dal villaggio di Al Shula, presso l’accesso sudoccidentale alla città.
Nel frattempo, anche la 137a Brigata avanzava ancora dalle sue posizioni circondate, attirando la reazione dell’Isis che si trovava così esso stesso fra due fuochi. Le difficoltà sono state molte, anche perché l’Isis aveva minato le principali vie di comunicazione, per esempio il ponte fra Kabajeb e Al Shula, fatto saltare con una potente carica esplosiva.
Ciò nonostante, il 3 settembre le Forze Tigre raggiungevano proprio Al Shula, dopo aver preparato il terreno all’installazione di postazioni d’artiglieria e di mitragliatrici pesanti su alture dominanti attorno alla città. Il giorno 4 mancavano ormai solo 3 km al centro della città. Il culmine si è avuto il 5 settembre, quando l’assedio è stato dichiarato rotto dopo che le linee dell’Isis sono state sfondate lungo un tratto largo ben 3 chilometri. Il primo contatto fra assediati e soccorritori, si è avuto alle ore 14.00, sancendo definitivamente la fine dell’assedio. E l’immediata unione delle rispettive forze ha permesso di raddoppiare il territorio liberato entro la sera stessa.
Per ottenere questo grande successo le truppe siriane, soprattutto la 137a Brigata Meccanizzata, hanno compiuto false manovre per ingannare i terroristi e far loro credere che intendevano sferrare un attacco in punti differenti, convergendo invece sul vero fronte solo all’ultimo momento.
I soldati siriani si sono trovati di fronte una resistenza feroce attuata con almeno 50 autobombe, mentre altri 28 veicoli kamikaze apprestati dai jihadisti non hanno potuto essere impiegati perché distrutti in anticipo dai caccia russi. L’avanzata siriana proveniva da Sud, risalendo la rive del fiume Eufrate, ma un altro gruppo attaccava anche muovendo dalla vicina città di As Sukhnah.
Nelle ultime due settimane l’aviazione russa ha enormemente ammorbidito il “boccone” per le brigate di Assad con incursioni giornaliere, anche con ordigni capaci di distruggere i bunker sotterranei.
Il risultato più eclatante in due settimane è l’uccisione di almeno 1.200 combattenti dell’Isis, più la distruzione di 83 veicoli corazzati e 200 altri veicoli, tra automobili e camion. Senza contare l’annientamento di numerose opere fortificatorie realizzate dai jihadisti, come casematte, postazioni d’artiglieria e tunnel di collegamento.
Un notevole ruolo l’ha avuto anche la Marina Russa. Infatti, tanto per tenere in esercitazione i “muscoli-cruise” che i russi hanno scelto di distribuire non solo sulle navi di un certo rilievo, ma anche su molte unità di medio e piccolo tonnellaggio, al martellamento di Deir Ezzor ha partecipato anche la fregata Admiral Essen, parte della Flotta del Mar Nero, ma attualmente dislocata nel Mediterraneo Orientale, da dove ha lanciato alcuni missili da crociera Kalibr piovuti su caserme e centri logistici.
Più in generale, la vittoria a Deir Ezzor sembra essere stata un esempio, come spesso se ne sono visti nella storia militare, di contro-assedio che alla fine ha stretto in una morsa chi in origine sembrava avvantaggiato nel circondare. Lo si vide con Leningrado fra il 1941 e il 1944, quando l’apertura della “strada della vita” sul lago Ladoga ghiacciato d’inverno consentì ai sovietici di rifornire, pur tra mille difficoltà e solo nella stagione fredda, la città, finchè i tedeschi non furono costretti a ritirarsi.
Molti secoli prima, ad Alesia, nel 52 avanti Cristo, andò diversamente poiché gli assedianti romani, con valide fortificazioni campali, ovvero la famosa doppia palizzata architettata da Giulio Cesare, seppero tener testa ai galli della città, guidati dal noto condottiero celtico Vercingetorige, e agli altri galli che venivano da fuori per liberarli. Ma in quel caso, da un lato l’esercito romano era incomparabilmente superiore per organizzazione e disciplina, dall’altro alla città assediata mancava qualsiasi tipo di rifornimento, perlomeno in misura apprezzabile. E pur tuttavia Cesare vinse comunque a fatica.
Nella Deir EzZor del 2017, invece, la presenza costante e capillare dell’aviazione, sia ad ala fissa che ad ala rotante, ha permesso di assicurare agli assediati una certa quota di armi, munizioni, viveri, medicine e perfino rinforzi in uomini. Il caposaldo è rimasto quindi abbastanza tenace, potendo attendere il momento propizio, cioè il controllo dell’autostrada proveniente da Palmira e As Sukhnah.
Si lotta ancora
Peraltro negli stessi giorni in cui si spezzava l’assedio a Deir, veniva liberata la città, parimenti strategica, di Akerbat, importante per tenere aperte le comunicazioni fra la regione di Homs e quella di Hama. La stretta sulla guarnigione Isis di Akerbat è iniziata il 2 settembre e gli ultimi avversari sono stati sgominati il 7 settembre. Decisiva è stata l’aviazione russa, che ad Akerbat ha condotto 329 attacchi distruggendo 27 veicoli corazzati e 48 fuoristrada equipaggiati con cannoncini o lanciamissili sul pianale, oltre a uccidere circa 1000 jihadisti.
l generale russo Sergei Rudskoi, dello Stato Maggiore russo in Siria, ha spiegato che “i terroristi avevano concentrato grandi riserve di armi, munizioni, cibo e materiale medico in questa area preparandosi a un lungo assedio. Ma dopo che si sono creati tre gruppi circondati, i terroristi si sono ritrovati divisi e vengono sconfitti e separati fra loro”.
Questo perché, con l’appoggio aereo, l’esercito siriano e in particolare la 4a Divisione corazzata, ha bloccato le strade che collegavano le piazzaforti locali dell’Isis, tagliando i collegamenti fra loro. L’avanzata in Akerbat è stata tormentata da continui attacchi con autobombe, fino a 4 o 5 giornaliere, oltre al sacrificio di un numero di kamikaze con cintura esplosiva che andava da 15 a 25 al giorno. Inoltre le strade della città erano disseminate di mine.
Nel frattempo, secondo Rudskoi, la mediazione russa ha consentito di accordarsi con parte delle milizie di opposizione non jihadista, consentendo la riapertura della nevralgica strada fra Homs e Hama.
A conferma ulteriore che una chiave del conflitto siriano è mantenere le proprie comunicazioni, tagliandole all’avversario. Anche perché le strade sono più importanti per le forze armate siriane, che contano più dei jihadisti su armi pesanti, veicoli e mezzi meccanici.
Man mano che Assad riafferma la padronanza sulle strade principali del paese e i loro snodi, l’esercito di Damasco, che già conta su appoggio aereo nazionale e russo, ridiventa sempre più in grado di trasferire nelle aree più lontane del paese la sua superiorità convenzionale, di fronte a cui iniziano a non bastare fanterie anche fanatiche, come quelle del Califfato, pur dotate di armi, talvolta anche pesanti, come carri e autoblindo talvolta di preda bellica, talvolta artigianali.
La rottura dell’assedio alla città, pur ufficialmente collocata al 5 settembre, sta avendo ancora strascichio. Le truppe siriane sotto assedio nella zona dell’aeroporto di Deir Ezzor sono state raggiunte dai governativi il 9 settembre. Attualmente si continua a combattere ad alcuni chilometri attorno alla città, dove resta allarmante anche la situazione delle mine.
Tanto che l’11 settembre fonti del Ministero della Difesa di Mosca annunciavano che almeno 40 esperti sminatori dell’esercito russo erano già partiti per la base di Hmeimm, da dove poi raggiungeranno Deir Ezzor con tanto di apparecchiature speciali e anche cani addestrati alla ricerca di ordigni occultati.
L’impegno degli sminatori russi sarà importante per riportare alla normalità la città siriana poiché nell’avanzata l’esercito di Assad ha constatato come l’Isis abbia seminato numerose trappole. Del resto era prevedibile che le forze jihadiste facessero ampio ricorso a mine o sistemi affini, che consentono di risparmiare i propri uomini.
Nel frattempo le truppe della Guardia Repubblicana e delle Forze Tigre hanno intrapreso, sempre a partire dall’11 settembre, un’operazione di setacciamento del territorio a Nord dell’aeroporto della città, dove ancora molti jihadisti si nascondono in fortilizi e bunker. Il 12 settembre nuclei dell’Isis rispondevano ancora con colpi di mortaio e con tre autobombe guidate da kamikaze.
Il 13 settembre l’esercito siriano ha raggiunto in città la sponda occidentale del fiume Eufrate. “L’esercito sta cercando di circondare l’Isis da tre lati, controlando parti della sponda ovest del fiume Eufrate”, ha detto la fonte all’agenzia di stampa France Presse.
Foto: AFP, AP, SANA e Twitter
Mirko MolteniVedi tutti gli articoli
Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.