Trump riesuma l’Asse del Male di Bush

da Il Messaggero /Il Mattino del 20 settembre 2017 (titolo originale “Torna l’asse de Male ma non c’è una strategia”)

 

Sono davvero pochi gli elementi di novità emersi dall’’intervento di Donald Trump alle Nazioni Unite circa la sempre più grave escalation della crisi coreana.

Il presidente ha ammonito Kim Jong-un definendolo “rocket man in missione suicida” e ricordando che “gli Stati Uniti sono forti e pazienti” ma potrebbero ”distruggere interamente la Corea del Nord” se le sue aspirazioni nucleari non potranno essere risolte con misure diplomatiche.

“Spacconate” alle quali Trump ci ha abituato ormai da tempo ma che cozzano con una realtà ben diversa.

Se la Corea del Nord non avesse armi nucleari e missili balistici il suo regime avrebbe probabilmente già fatto la stessa fine di quello di Saddam Hussein o Muammar Gheddafi, anche se è certo che Pechino farebbe di tutto per evitare una riunificazione della Penisola Coreana che porterebbe gli “yankees” ai suoi confini orientali.

Quanto è emerso in seguito alle molteplici provocazioni di Pyongyang dimostra però il contrario di quanto affermato da Trump poiché le opzioni militari disponibili ai contendenti sono tutte catastrofiche.

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1 – Un attacco missilistico nordcoreano contro Guam, Seul o Tokyo comporterebbe una rappresaglia proporzionale e certo devastante se l’attacco venisse effettuato con armi di distruzione di massa. Il regime di Kim verrebbe annichilito in meno di 24 ore: per questo si tratta di un’opzione improbabile.

2- Un attacco preventivo statunitense teso a distruggere siti nucleari, industriali, centri di comando, depositi e rampe di missili come di ordigni atomici (stimati tra 13 e 30) e chimici (5mila tonnellate stimate), se anche avesse successo non potrebbe privare del tutto Pyongyang della capacità di lanciare i missili sopravvissuti o di colpire Seul con l’artiglieria schierata con munizioni chimiche in caverne lungo il confine del 38° parallelo.

3- Nessuno dei sistemi di difesa antimissile schierati da Usa, Corea del Sud e Giappone in mare (Aegis) e su basi terrestri (Thaad e Patriot) offre la garanzia di poter intercettare tutti i missili balistici nordcoreani (circa un migliaio tra vettori a breve, media e lunga gittata) che verrebbero presumibilmente lanciati a ondate proprio per saturare i sistemi di difesa.

Del resto la storia della deterrenza nucleare insegna che contro le potenze atomiche non si possono combattere guerre, se non a un prezzo che nessuno è disposto oggi a pagare.

Per questo il limite del discorso di Trump tenuto all’assemblea generale dell’ONU è rappresentato proprio dall’incapacità del leader della più grande potenza mondiale ad aprire nuove strade, inevitabilmente basate sul negoziato, per la soluzione di quella crisi.

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Eppure ogni test nordcoreano indebolisce il ruolo degli USA dimostrando la loro incapacità di proteggere i propri alleati regionali incoraggiando Seul e Tokyo a dotarsi di propri scudi antimissile e di deterrenti nucleari nazionali.

Non a caso da qualche settimana alle provocazioni di Kim fanno seguito precise azioni militari: certo si tratta di simulazioni come i bombardamenti di B-1 ed F-35, i lanci di bombe anti-bunker e di missili balistici sudcoreani, ma sono pur sempre risposte muscolari non solo affidate alla diplomazia.

Difficile credere che Kim voglia giungere alle estreme conseguenze anche perché il suo arsenale ha un valore difensivo, di deterrenza, a protezione del suo regime da attacchi esterni. L’identico scopo che avevano le armi nucleari tattiche statunitensi schierate a Seul fino al 1991 (ben prima che il Nord avesse la “bomba”) per prevenire con la deterrenza avventure militari da parte di Pyongyang o dei sovietici.

Non è un caso che i nordcoreani abbiano accelerato i programmi atomico e missilistico a partire dal 2002, dopo le operazioni statunitensi in Afghanistan e poi in Iraq che fecero seguito agli attentati dell’11/9 e all’inserimento del regime nordcoreano nel cosiddetto “Asse del Male”, coniato da George W. Bush e rispolverato ieri da Trump.

La riedizione di questa compagine di “Stati canaglia” allargata ai movimenti insurrezionali e terroristici rappresenta forse l’unico elemento di novità nel discorso all’Onu in cui Trump ha accomunato Corea del Nord, Venezuela, Iran, Siria, al-Qaeda, Hezbollah, Stato islamico e Talebani.

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Più che altro un elenco dei “cattivi” quello di Trump con il rinnovato “Asse del Male” che traccia da un lato parallelismi già noti ai tempi dell’Amministrazione Bush, come ad esempio la sinergia tra Pyongyang e Teheran nel settore missilistico che vede la gran parte delle armi balistiche iraniane derivare da Nodong e Taepodong nordcoreani.

Dall’altro le affermazioni di Trump circa i “nemici” sono contraddittorie. L’accusa di terrorismo all’Iran appare insostenibile, specie se viene dagli Usa, stretti alleati delle monarchie sunnite del Golfo che da sempre sostengono il jihadismo sunnita.

A salvare Baghdad dall’Isis nell’agosto 2014 furono tre reggimenti di pasdaran iraniani, non certo i marines.

Hezbollah è nemico di Israele e combatte in Siria al fianco di Assad contro al-Qaeda, Stato Islamico e altre milizie jihadiste armate coi dollari degli Usa e i petrodollari di sauditi ed emirati ed è curioso notare che i protagonisti principali del conflitto siriano risultano accomunati dalla Casa Bianca sotto la definizione di “Asse del Male”.

Trump sostiene di voler combattere il terrorismo sunnita ma pure i suoi più acerrimi nemici sciti e gli “stati canaglia”, la “dittatura socialista” del Venezuela e il regime comunista della Corea del Nord.  Allarga gli orizzonti bellici ma senza una strategia precisa e in nome di una dottrina confusa, se non ambigua, che sembra improntata all’improvvisazione o alla precisa volontà di destabilizzare quanto più possibile le aree più critiche del pianeta.

@GianandreaGaian

Foto AFP/Getty, US DoD e KCNA

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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