Le potenziali conseguenze strategiche dell’indipendenza catalana

Barcellona ha dichiarato l’indipendenza. Madrid ha applicato l’articolo 155 della Costituzione, commissariando di fatto (almeno provvisoriamente) la Regione e ha sciolto il parlamento “ribelle”. Lo scontro continua. I commenti si incentrano spesso su aspetti legali (la non legalità del referendum), sugli errori politici commessi a iosa da entrambe le parti, sul fatto che la maggioranza numerica dei Catalani non si sia espressa nel referendum (vietato) per l’indipendenza (mi chiedo, chissà un referendum in Trentino nel 1915 che risultati avrebbe fornito?), eccetera.

In effetti discussioni formali, spesso fatte con un occhio più alla politica interna che a quella internazionale. Non so quanti Catalani vogliano veramente staccarsi da Madrid, non saprei immaginare quale sarà lo sviluppo futuro di una vicenda che ci sembra strana in Europa Occidentale oggi (anche per le caratteristiche dell’intervento della Guardia Civil nei giorni del referendum “illegale”). Né ritengo sia di alcun interesse (per noi “esterni”) sapere chi abbia violato quali leggi.

Di fatto è innegabile che qualcosa si sia rotto. Come “vicini di casa” ci conviene pertanto incominciare a considerare le implicazioni nel caso di un “divorzio” abbastanza battagliero tra Barcellona e Madrid, perché nel lancio di piatti e stoviglie potremmo farci male anche noi.

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Non si può non notare come l’atteggiamento internazionale nei confronti delle istanze autonomiste/separatiste in diverse parti del mondo risponda ad interessi geopolitici ed economici e non certo a pulsioni ideali (che siano “l’autodeterminazione dei popoli” o anche una discutibile “stabilità internazionale”).

Gli stessi governi che hanno benedetto l’indipendenza di Slovenia e Croazia e che hanno riconosciuto il diritto della provincia del Kosovo a diventare indipendente, non riconoscono certo il diritto della comunità serba che vive a nord del fiume Ibar di staccarsi dal Kosovo o della Repubblica Srpska di Bosnia di ritornare a far parte della Serbia, né il diritto di autodeterminazione delle popolazioni russofone in Ucraina, o  quello delle popolazioni Curde.

Real-politik certo! Allora in un’ottica di real-politik, diamo un’occhiata all’ipotesi “Catalogna Indipendente”, esclusivamente da un punto di vista della sicurezza.

Intanto si tratterebbe di una nazione priva di forze armate. Se la componente terrestre potrebbe essere ricostruita sulla base delle infrastrutture militari presenti in Catalogna e con i militari catalani che saranno fedeli a Barcellona anziché a Madrid (non tutti sicuramente).

Per quanto Barcellona possa realisticamente nazionalizzare porti ed aeroporti, è ovvio che naviglio militare e velivoli militari sarebbero riportati interamente in Spagna.Una nazione “nuova” che avrà bisogno di costituire un proprio apparato di difesa e sicurezza e che dovrà farlo al di fuori delle due organizzazioni che in Europa potrebbero assisterla in questo compito. Ovvero NATO e UE.

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La NATO avrebbe sicuramente interesse a mantenere nel suo ambito la nuova “Catalogna”  per evitare di avere un “vuoto” sulla sponda settentrionale del mediterraneo, “vuoto” che qualcun altro potrebbe riempire. Peraltro la NATO, più ancora che l’UE, è un’alleanza tra Governi, non tra popoli. Qualsiasi assistenza NATO alla “neo-nata repubblica” verrebbe bloccata dal veto in primis della Spagna e poi delle altre nazioni che hanno problemi con minoranze etniche e religiose riottose (Gran Bretagna, Turchia, Belgio, solo per citarne alcune). Ciò, ovviamente, non precluderebbe un ruolo di assistenza alla Catalogna da parte di singoli paesi membri dell’Alleanza.

Ovviamente questo provocherebbe una fortissima tensione interna all’Alleanza tra tali nazioni e la Spagna, che si tradurrebbe in un grave handicap per l’efficienza della NATO. Peraltro, il fatto non sarebbe nuovo. Da sempre la NATO è ostaggio dei ricatti reciproci tra Grecia e Turchia e con Erdogan la situazione è ulteriormente peggiorata.

Anche l’UE è un’Unione di Stati sovrani, ma a differenza della NATO ha anche organismi che dovrebbero rappresentare i Popoli (ad esempio il Parlamento Europeo). È ovvio che le dichiarazioni ufficiali oggi siano tutte a favore di Madrid. Ma per l’UE una Catalogna fuori dall’Euro, al di fuori delle regole economiche dell’Unione, potenzialmente in crisi economica, non sarebbe un grave elemento di instabilità?

Comunque anche l’UE non potrà verosimilmente occuparsi della costruzione di apparati di difesa e sicurezza catalani per il veto di Madrid.

Certo singoli paesi membri di NATO e/o UE potrebbero assolvere in maniera più o meno esplicita tale ruolo, ovviamente accettandone le conseguenze in termini di rapporti diplomatici con la Spagna.

Temo (anzi sono certo) che in mancanza di una difficile assistenza da parte di un paese NATO/UE, il vuoto sarebbe ben presto riempito. Putin avrebbe grandissimo vantaggi ad offrire il proprio aiuto spassionato e generoso a Barcellona.

In primis, un interesse ideologico, in quanto potrebbe sicuramente tracciare il parallelismo tra popolo catalano e i russofoni in Ucraina e nelle repubbliche Baltiche o con i serbi di Bosnia e Kosovo. L’uomo del Cremlino si imporrebbe come il difensore dell’autodeterminazione delle minoranze etniche, linguistiche o confessionali “oppresse” di fronte all’Europa “degli stati centralisti e delle banche”.

Si affermerebbe ulteriormente il credito politico internazionale del “novello zar” già privo di controparti credibili (si pensi a Trump) e già vero trionfatore della guerra siriana.

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L’assistenza tecnico-militare russa a Barcellona, sicuramente discreta, comporterebbe comunque per la prima volta una presenza russa sulla sponda settentrionale del Mediterraneo. Se ciò si mette in sistema con l’ormai persistente presenza navale russa sulle coste siriane e con la sempre maggiore influenza russa in Egitto e soprattutto in Libia (di cui abbiamo parlato su Analisi Difesa) vediamo che l’influenza di Mosca in quello che fu il “Mare Nostrum” si espanderebbe in maniera importante.

Non si tratterebbe forse di una presenza visibile. Potrebbe assumere ad esempio la forma di fornitura di elicotteri e velivoli, di sistemi d’arma difensivi (ad esempi sistemi di difesa aerea), di naviglio militare di piccolo cabotaggio e, soprattutto, del relativo supporto logistico.

Ciò nonostante sarebbe particolarmente preoccupante per la NATO, che ha assunto una postura sempre più marcatamente anti russa su spinta dei paesi dell’Est Europa e degli USA, ma sarebbe anche elemento di preoccupazione per i paesi limitrofi: Spagna, Francia e anche Italia.

Un problema particolarmente delicato potrebbe essere la gestione e la sicurezza dello spazio aereo. Se una futura ipotetica repubblica catalana dovesse garantire tale funzione in proprio (o, ancora peggio, se lo facesse con il supporto russo) si aprirebbe un buco potenzialmente pericoloso nel sistema di difesa aerea dell’Alleanza.

Ad oggi, ogni previsione tecnica è ovviamente prematura. Peraltro, forse non è prematuro incominciare a valutare quali possano essere le implicazioni di secondo e terzo grado di un atteggiamento troppo chiuso nei confronti di una potenziale repubblica secessionista catalana. Nessuna considerazione di tipo idealistico. Solo realpolitik!

Foto AFP e AP

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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