Trump minaccia Teheran perché Mosca intenda

da Il Mattino del 14 ottobre 2017

Come aveva preannunciato già in campagna elettorale e poi confermato nella sua visita a Riad e più recentemente nel discorso tenuto alle Nazioni Unite, Donald Trump riapre il “fronte iraniano” chiuso dal suo predecessore dopo decenni di aspro confronto con la repubblica islamica siglando l’intesa multilaterale che ha bloccato lo sviluppo delle armi atomiche di Teheran.

Un accordo firmato a Vienna il 14 luglio 2015 dai ministri degli Esteri di Teheran, Pechino, Parigi, Berlino, Mosca, Londra, Washington e dall’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue ma che Trump ha sempre definito ”uno dei peggiori nella storia degli Stati Uniti”.

Posizione che ha allineato la Casa Bianca a Israele e Arabia Saudita, ufficialmente preoccupati dalla possibilità che l’Iran non rinunci davvero all’atomica ma probabilmente indispettiti soprattutto dalla fine dell’isolamento politico, economico e petrolifero internazionale di Teheran che l’accordo ha determinato.

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Trump non intende per ora uscire unilateralmente dall’accordo di Vienna ma si limita a “decertificarlo” lasciando ogni decisone al Congresso che ha due mesi per decidere se imporre nuove sanzioni.

Come avevano fonti dell’amministrazione, Trump ha chiesto al Congresso di adottare nuove sanzioni contro i vertici del Corpo delle guardie rivoluzionarie (i Pasdaran), e agli alleati di unirsi contro il programma missilistico di Teheran.

Una misura che ha il sapore della rappresaglia poiché i pasdaran detengono il controllo delle armi strategiche, inclusi i missili balistici, ma sono anche i protagonisti delle operazioni militari che in Siria stanno favorendo la vittoria delle forze governative contro l’Isis e altre formazioni islamiste ribelli sostenute da arabi e occidentali.

Difficile però trovare appigli o giustificazioni concrete all’iniziativa di Washington come dimostrano anche gli artifici lessicali a cui è dovuto ricorrere il segretario di stato Rex Tillerson per illustrare la “decertificazione”.

Con quel termine infatti si intende che Trump non certifica al Congresso, come deve fare ogni tre mesi, il rispetto o meno dell’accordo da parte di Teheran. “Diciamo che l’Iran rispetta i parametri tecnici” ha detto Tillerson ma non lo “spirito” dell’accordo.

Espressione usata venerdì anche dal presidente che ha però accusato espressamente l’Iran di “aver violato più volte l’accordo sul nucleare” anche se in due anni tutti gli osservatori internazionali hanno riconosciuto che Teheran li sta rispettando alla lettera sulla riduzione delle scorte di uranio e delle centrifughe così come su verifiche e ispezioni.

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Le pressioni della Casa Bianca e del Pentagono per indurre l’Iran a sospendere anche il programma di missili balistici avevano trovato qualche apertura dopo che i vertici iraniani avevano definito non negoziabile l’arsenale missilistico.

Tillerson ha reso noto di aver discusso con il suo collega iraniano Mohammad Javad Zarif la possibilità di un nuovo accordo sul programma balistico ma la “decertificazone” annunciata da Trump irrigidirà inevitabilmente la posizione iraniana.

Ieri il portavoce del ministero degli Esteri, Bahram Qassemi ha infatti ribadito che “la Repubblica islamica continuerà a sviluppare le sue capacità di difesa militare, tra cui il suo programma di missili balistici”.

Del resto rimane difficile spiegare perché i missili balistici iraniani costituiscano una minaccia per la comunità internazionale mentre quelli di costruzione cinese in dotazione all’Arabia Saudita (dotati di 3mila chilometri di raggio d’azione) non siano oggetto di nessuna richiesta di smantellamento.

Inevitabile quindi che le dichiarazioni di Trump abbiano alimentato reazioni muscolari in Iran che ha minacciato risposte con forza ad azioni contro le sue forze militari, inclusi i Pasdaran e annunciato esercitazioni navali congiunte con la flotta russa.

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Difficile anche legittimare le accuse all’Iran di essere “una dittatura e il maggior sponsor del terrorismo”.

Teheran sostiene le milizie scite libanesi Hezbollah e quelle di Hamas a Gaza che combattono Israele, ma sui campi di battaglia di Iraq e Siria le sue truppe hanno contribuito a sconfiggere l’Isis, al-Qaeda e le altre milizie sunnite jihadiste (cioè i terroristi che minacciano l’Europa e gli stessi Stati Uniti) ben di più della Coalizione a guida americana o delle monarchie sunnite “alleate” di Usa ed Europa che in realtà sponsorizzano le milizie jihadiste e che non sono certo più democratiche dell’Iran.

Russia e Cina hanno esortato gli Usa a preservare l’accordo sul nucleare iraniano per garantire la non proliferazione nucleare e la stabilità della regione. Un’ulteriore conferma del timore che l’iniziativa di Trump induca l’Iran ad abbandonare l’accordo riacutizzando le tensioni in Medio Oriente (già alle stelle per i molteplici focolai di crisi e di guerra) e lo scontro tra sciti e sunniti con il rischio di scatenare una corsa generalizzata al riarmo, incluso quello atomico.

Inoltre l’iniziativa di Trump, che ha avuto il plauso di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, potrebbe avere a che fare anche con il braccio di ferro globale con Vladimir Putin, con l’obiettivo di costringere Mosca a schierarsi marcatamente con l’alleato Iran per far naufragare quell’intesa recentemente consolidatasi tra Russia e Arabia Saudita non priva di una dimensione militare (caratterizzata da mega forniture russe alle forze armate di Riad) e che è stata accolta con molta preoccupazione a Washington.

Foto: AP, Getty Imges e IRNA

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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