Calcio, guerra e diplomazia
Non sono appassionato di calcio. Ma la sconfitta dell’Italia contro la Svezia e la conseguente esclusione dai mondiali in Russia mi addolora e mi preoccupa.
Il dolore è dovuto alla constatazione di quanto sia caduta in basso la nostra verve combattiva, anche nello sport del quale con supponenza ci ritenevamo “titolari di cattedra” incontrastati ed indiscussi e che, con una modestia che non ci fa onore, consideriamo la massima espressione delle nostre virtù nazionali, dopo che ci hanno convinto a rinunciare a quelle praticate dai nostri nonni e bisnonni esattamente cent’anni fa sul Carso, e poi in Russia ed in Africa.
Eppure, gli sport, con particolare riferimento a quelli di squadra, sono proprio la riproposizione in chiave incruenta della guerra. Senza sangue, quindi, ma sempre di guerra si tratta, nella quale è la violenza a regolare i conti con l’avversario: violenza regolamentata, moderata, normata, ma certamente non roba per signorine.
Si corre, ci si spintona, si sgomita, senza paura di portarsi a casa qualche glorioso sopracciglio spaccato, un mesto incisivo traballante o qualche triste occhio pesto. E così la intendono i tifosi che, anche senza scomodare l’Haka neozelandese, coi loro cori, i loro tamburi e le loro bandiere non avrebbero sfigurato in uno scontro medioevale tra opposte orde di barbari.
Come può convivere una tale realtà con un contesto generale nel quale quella che una volta si definiva “corte spietata” ad una ragazza corre ora sul filo del rasoio della “violenza di genere”, crimine assoluto che non ammette discussioni nè pentimenti: dannazione per sempre!
E’ probabilmente anche per questo che i nostri giocatori, con la scusa di appartenere ad una scuola italiana fatta di fini tattiche e di furbizie (era questa la scuola italiana?) si atteggiano normalmente ad attori più che a guerrieri, coi capelli imbrillantinati e scolpiti da hairdresser alla moda, tatuati fino alle orecchie nelle quali sfavillano graziosi orecchini.
Quando segnano anziché esultare con un urlaccio liberatorio e uno sberleffo all’avversario abbattuto fanno il cuoricino con le mani, l’areoplanino, il trenino, il ciuccio e la ninnananna, o ballano la Salsa con mossette studiate e magari provate a casa o coi compagni.
Nelle nostre squadre sociali, tra una convocazione in Nazionale e l’altra, vengono lasciati a coltivare la loro autostima in seconda schiera, mentre in prima linea ci sono virili giocatori importati dal sud America, dall’Africa o dall’Europa dell’Est a tirare e prendere mazzate. Stessa cosa nel basket, dove qualsiasi giocatore americano, di colore possibilmente, in attesa di un ingaggio nell’NBA può mantenersi in forma nelle nostre squadre dove gli allenatori devono parlare in inglese per farsi capire da tutti.
Anche lì, non c’è fenomeno che tenga: in Nazionale si perde. La crisi coinvolge anche lo sport per eccellenza, l’Atletica Leggera, dove non vinciamo più da anni e dopo i Berruti, Pamich e poi Mennea, Arese, Azzaro, Ottoz, Simeoni, Crosa di quarant’anni fa non resta più niente, se non qualche fenomeno isolato che, copiando e superando i divi del calcio, si sente in diritto di presentarsi in pedana con mezza faccia rasata e mezza no. Ve l’immaginate alla premiazione mentre canta così conciato l’inno di Mameli in Mondovisione? Roba da brividi!
Nelle nostre scuole, intanto, vengono cresciute generazioni di giovincelli che durante l’intervallo alle Elementari non possono giocare a pallone nel cortile, neppure calciando un tappino di Coca Cola, per evitare il rischio di cadute che così male possono fare alle delicate epidermidi delle ginocchia.
In questo caso, non c’è più il maestro e la maestra di una volta che tutto controllava, e se del caso curava ed incerottava, ma il “team delle insegnanti” tremebonde, pronte a stroncare ogni tentativo di infantile entusiasmo rimandando alle occhialute indagini degli psicologi i bimbi “iperattivi” (cioè quelli che preferiscono il gioco allo studio delle tabelline: i “normali” insomma); alle superiori, sotto l’occhio vigile di professori laureati in Scienze Motorie e terrorizzati dall’antinfortunistica, durante l’ora di Educazione Fisica frotte di liceali annoiati fanno i test a risposta multipla in palestre fatiscenti, spesso senza neppure la necessità di mettersi in tuta ginnica.
Quanto a salire la fune, la pertica, a saltare la cavallina, scalare il quadro svedese (appunto!!!!), fare una capriola o il salto mortale con la pedana elastica, meglio evitare: troppo pericoloso! All’uscita da scuola, i ragazzini e le ragazzine sotto i 14 anni non possono tornarsene a casa da soli ma devono essere riconsegnati nelle mani dei genitori, ai sensi di una legge che sembra fatta apposta per prolungare all’infinito l’età dell’irresponsabilità e della passività nella quale puoi essere solo vittima e non protagonista del mondo che ti circonda.
Guai poi se si lasciassero andare ad uno di quei riti di passaggio che erano gli spintonamenti e le quasi innocue liti scolastiche di mezzo secolo fa: come minimo scatta l’allarme obbligatorio contro il bullismo, con insegnanti inquisiti e genitori intervistati da “La Vita in diretta”, indagando e speculando sulle sopraffazioni familiari origine di tanta violenza repressa. Insomma, mentre crescono nelle nostre scuole generazioni di futuri passivi applauditori di virilità importate dall’estero perché non più tollerabili nella nostra società decaduta, gender fluid e gay friendly, si riducono sempre più le possibilità di crescere una gioventù atletica, energica e grintosa, capace non solo di popolare Nazionali “cazzute” ma anche di scegliersi autonomamente il proprio destino, senza cedere alla tentazione di fughe all’estero tra le braccia di chi saprà meglio valorizzare e proteggere (e sfruttare) la loro creatività.
Non solo Calcio, quindi: si tratta di altro. Molto altro. Intanto, cercheranno di consolarci con i fasti della Nazionale femminile, ammessa al contrario di quella maschile ai Mondiali, sbandierandoli quale dimostrazione della superiorità del sesso ex-debole rispetto a quello ex-forte, senza però riuscire a farci dimenticare che sarà contro ragazze che si batteranno le nostre bravissime atlete e non contro i nerboruti campioni coi quali avremmo voluto incrociare i polpacci, tra rulli di tamburi e urla belluine.
Ma oltre al dolore, l’esclusione della nostra Nazionale dal Mondale dovrebbe indurre qualche preoccupazione.
Prima di tutto, il Mondiale rappresenta uno dei pochi momenti nei quali si può fare sfoggio di orgoglio nazionale senza essere ipocritamente tacciati di pulsioni sovraniste e fascistoidi: e questo sarebbe stato salutare per le nostre giovani generazioni militaresenti, disabituate e disincentivate dal riconoscersi in valori e simboli nazionali comuni, molto più alti della maglia della squadra di casa propria.
E a questo proposito, non c’è dubbio che l’Inno di Mameli cantato a squarciagola nel primo centenario della Vittoria della Prima Guerra Mondiale non ci sarebbe stato malaccio, anche se soltanto per spronare i nostri calciatori a correre e tirare più forte. Abbiamo certamente bisogno di tornare ad avere stima di noi stessi e la partecipazione ad una competizione mondiale nella quale i nostri colori fossero stati esibiti in Mondovisione con orgoglio ed accompagnati da affermazioni sportive importanti ci avrebbe fatto bene.
Ci avrebbe forse fatto dimenticare per qualche ora la leggenda bugiarda della nostra criminalità congenita con la quale veniamo sistematicamente scoraggiati dall’affrontare con orgogliosa indipendenza le sfide del mondo che ci circonda e avrebbe rimosso, seppur parzialmente e temporaneamente, il senso di paradossale inferiorità che coltiviamo nei confronti degli altri, mantra alla base delle fortune di frotte di politici nostrani.
Ma una preoccupazione ulteriore, riferita al presente e all’immediato futuro, è dovuta al venir meno di quella diplomazia del pallone che sempre il Calcio ha esercitato, praticamente in tutte le epoche della nostra storia degli ultimi ottanta o novant’anni. Non vedremo, insomma, il nostro Presidente del Consiglio o della Repubblica stringere mani ai propri omologhi stranieri, mischiando facezie pallonare a più prosaiche questioni politiche riferite alla situazione attuale.
E per un paese immerso in quel “mare di guai” che è diventato il Mare Nostrum e costretto, contro i propri interessi, a sostenere obtorto collo sanzioni economiche nei confronti della Russia che ospiterà i Campionati, sarebbe stata un’ottima occasione per rafforzare legami per noi vitali con un fondamentale paese europeo.
Sarebbe stata un’occasione per parlare con interlocutori essenziali per gli equilibri della nostra regione e non solo, sbilanciati da scelte scellerate di nostri più affezionati alleati, senza l’intermediazione di Istituzioni sovranazionali che dei nostri interessi hanno ripetutamente dimostrato di impiparsene.
Insomma, abbiamo perso un’occasione per esibirci alla pari in un contesto di grandissima visibilità internazionale nel quale non sono gli Spread e i punti di PIL oggetto del contendere, ma gli attributi e l’energia che riescono a esprimere 11 atleti di eccellenza assoluta, le cui magliette erano esibite con orgoglio da molti ragazzini in buona parte del nostro spicchio di mondo; cambierà qualcosa al riguardo, temo.
Infine, abbiamo perso un’occasione per batterci alla pari, con cavalleria, amicizia e assenza di spocchia contro rappresentanti di un mondo che sbaglieremmo a considerare meno blasonato del nostro e che invece è estremamente vitale, al punto di farci paura. Un mondo che in silenzio si è saputo ricavare uno spazio ai Mondiali, nei quali sarà abbondantemente rappresentato, e che dimostra grande capacità di generare grandi quantità di giovani energici e determinati, orgogliosi di rappresentare la propria Patria; la stessa che qualcuno da noi vorrebbe ribattezzare “Matria”, senza scherzare.
Ma forse, a pensarci bene, visti i rapporti tutt’altro che distesi tra le due principali potenze mondiali che anche in occasione delle ultime Olimpiadi hanno avuto conseguenze spiacevolissime nello sport con le accuse di “doping di Stato” alla Russia, abbiamo anche evitato la rogna e l’umiliazione di accodarci disciplinatamente ad un boicottaggio del Campionato all’ultimo momento contro il cattivo obbligatorio, come già avvenuto nel passato per scelte ed interessi altrui. C’è da aspettarsi anche questo, purtroppo, e non sarebbe la prima volta. Quindi, forse non tutto il male viene per nuocere.
Marco BertoliniVedi tutti gli articoli
Generale di corpo d'armata, attualmente Presidente dell'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia, è stato alla testa del Comando Operativo di Vertice Interforze e in precedenza del Comando Interforze per le Operazioni delle Forze Speciali, della Brigata Paracadutisti Folgore e del 9° reggimento incursori Col Moschin. Ha ricoperto numerosi incarichi in molti teatri operativi tra i quali Libano, Somalia, Balcani e Afghanistan.