Raid aerei contro il boom della produzione di oppio afghano

Per la prima volta gli Stati Uniti hanno bombardato laboratori per la produzione di droga nella provincia di Helmand, nel sud dell’Afghanistan, roccaforte dei Talebani e area nota per la redditizia produzione di oppio.

Il generale John Nicholson, comandante delle truppe Usa e dell’operazione Resolute Support della Nato in Afghanistan, ha spiegato ieri che l’operazione congiunta con le forze afghane è scattata la notte di domenica e i raid continueranno. “La notte scorsa abbiamo effettuato raid nel nord dell’Helmand per colpire i Talebani dove fa più male”, ha detto Nicholson durante una conferenza stampa con il capo di Stato Maggiore delle forze afghane (Ansdf), generale Mohammad Sharif Yaftali.

Ai raid hanno partecipato bombardieri B-52 e caccia F-22 (nella fotio sotto). L’obiettivo della nuova strategia Usa, a 16 anni dall’inizio delle operazioni in Afghanistan, è colpire i canali di finanziamento dei Talebani.

“Nelle ultime 24 ore, le forze Usa e le forze afghane hanno effettuato operazioni congiunte per colpire sette laboratori dei Talebani e un centro di comando e controllo nel nord della provincia di Helmand – si legge in una nota della missione Resolute Support – Tre dei raid hanno colpito il distretto di Kajaki, quattro quello di Musa Qala e uno è stato effettuato nel distretto di Sangin”.

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“I Talebani sono diventati sempre più un’organizzazione criminale. Combattono per continuare a trarre profitto dalle loro attività criminali: il narcotraffico, attività estrattive illegali, sequestri e omicidi su commissione – ha detto Nicholson – Le nostre operazioni congiunte delle ultime 24 ore sono una dimostrazione della nostra volontà di sconfiggere i terroristi e chi li sostiene, soprattutto le reti del narcotraffico”.

“Questi raid annientano la capacità dei Talebani di finanziare le loro operazioni che portano all’uccisione di civili innocenti” gli ha fatto eco il generale Yaftali, che ha rinnovato l’appello ai Talebani a “deporre le armi” e partecipare al processo di riconciliazione.

“Se non si uniranno al tavolo dei negoziati per la pace – ha avvertito – le forze afghane li cattureranno o li uccideranno”. Una nota diffusa dalla presidenza afghana ha confermato che nell’operazione sono stati distrutti otto siti utilizzati dai Talebani. Immediata è arrivata la smentita di un portavoce del movimento, Qari Jusuf Ahmadi. “Non ci sono laboratori per la produzione di droghe nell’area. Vogliono solo nascondere il fatto che hanno bombardato i civili”, ha scritto su Twitter, stando a quanto riporta l’agenzia di stampa Dpa.

Con il prigressuvo tracollo delle forze di Kabul, che negli ultimi tre anni hanno perso il controllo di circa la metà del territorio nazionale, il successo dei successo dei talebani trova conferma nel nuovo boom nella produzione di oppio con un incremento quest’anno dell’87%.

Un dato considerato “profondamente allarmante” dal rapporto annuale preparato dall’Ufficio dell’Onu contro il traffico di droga e la criminalità organizzata (Undoc) presentato il 15 novembre a Kabul.

I rilevamenti hanno mostrato che dal livello stimato annuo del 2016 di 4.800 tonnellate, nel 2017 la produzione ha raggiunto circa 9.000 tonnellate. E questo, sottolinea l’Undoc, “potrebbe trasformarsi in un aumento delle sfide per l’Afghanistan”.

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Il Rapporto 2017, ha insistito l’organizzazione dell’Onu, “ha fatto risaltare un deludente rovescio rispetto ai risultati registrati 12 mesi prima mettendo in evidenza un trend profondamente allarmante nella coltivazione e produzione dell’oppio nel Paese”. Il Rapporto dell’Undoc ha anche confermato che l’area coltivata a papavero da oppio è cresciuta del 63%, passando da 201.000 (2016) a 328.000 ettari in 24 diverse provincie afgane: solo dieci provincie sono considerate libere dalla coltivazione.

La provincia meridionale dello Helmand è quella che ha fatto registrare l’aumento maggiore (+79%) e rappresenta da sola quasi la metà della produzione, seguita da Kandahar, Badghis, Faryab, Uruzgan e Nangarhar – tutte zone di attività della guerriglia talebana o delle milizie legate allo Stato Islamico (Isis).

Commentando questo scenario, il direttore esecutivo dell’agenzia Onu, Yuri Fedotov, ha sottolineato che “sia per l’Afghanistan, sia per il mondo intero, ci si sta muovendo verso un territorio inesplorato con nuovi massimi produttivi di oppio che cancellano quelli precedenti del 2014”.

Le 9.000 tonnellate del 2017, ha aggiunto, “rappresentano una produzione perfino in eccesso rispetto alla domanda globale di droghe derivate dall’oppio”.

Gli sforzi economici dei Paesi donatori effettuati nell’ultimo decennio per incentivare gli agricoltori a passare ad altre coltivazioni ad elevato rendimento economico non hanno dato grandi risultati; inoltre, sono aumentati notevolmente anche i livelli di dipendenza della popolazione dalla droga.

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Il rapporto infine attribuisce l’espansione della coltivazione dell’oppio al ridotto sostegno della comunità internazionale alle economie rurali, mentre i progressi nella tecnica agricola possono invece aver giocato un ruolo nel promuovere la coltivazione anche in aree desertiche ritenute in precedenza sfavorevoli e ad aumentare la resa dei raccolti.

Non nascondendo pessimismo e delusione, Fedotov ha infine detto che “i successi ottenuti nella governance e nella trasparenza in Afghanistan e nei Paesi vicini, si troveranno a dover sostenere, a causa di questo trend, la sfida di più instabilità e insicurezza, e di maggiori finanziamenti a disposizione dei gruppi terroristici”.

Anche il prezzo dell’oppio è aumentato del 55% e il valore totale della droga prodotta nelle zone controllate dalle milizie talebane ha raggiunto gli 1,45 miliardi di dollari, che hanno contribuito a finanziare la guerriglia.

Foto: US DoD, Reuters, Isaf e Emirato Afghanistan

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