Le lezioni apprese dai recenti incidenti alle unità della Us Navy
Negli ultimi mesi la US Navy ha sofferto ben 4 sinistri marittimi con il coinvolgimento di caccia classe Arley Burke che hanno colliso, quasi incredibilmente, con navi mercantili; le relative inchieste ‘’formali’’ condotte in modo approfondito e altrettanto rapido, sui due più recenti eventi, hanno concluso che erano ‘’evitabili’’.
Le relazioni contenute nel dossier della Commissione di Inchiesta, rese subito pubbliche, fotografano i vari eventi, la dinamica, il comportamento umano, le cause, il tutto corredato da considerazioni e conseguenti provvedimenti idonei a correggere i difetti e gli errori riscontrati, e puntuali raccomandazioni o disposizioni per il futuro, affinché non si abbiano a ripetere.
Questo a beneficio della sicurezza marittima, non solo per le navi statunitensi, ma con un valore esteso ed estendibile a tutte le flotte in genere. Conseguenze di errori umani e di alcune negligenze, imputabili ad equipaggi poco attenti e preparati, ma dovute, in buona misura, anche ad errori di condotta della navigazione basilare: da lì l’affermazione del loro Capo di Stato Maggiore che li ha dichiarati ‘’senza spiegazioni e pertanto evitabili’’.
Le dinamiche, i comportamenti e le cause dei sinistri
Viene evidenziata fin dall’inizio la mancata valutazione di cinematiche pericolose e la catena di errori compiuti, ma anche il valore ed il sacrificio degli equipaggi nel tentativo di salvare la vita dei loro colleghi, intrappolati nei loro alloggi, dopo l’impatto con i mercantili.
Nei due incidenti sono morti 17 marinai che stavano dormendo nelle loro cuccette, ignari: 7 hanno perso la vita in giugno sull’ USS Fitzgerald, come conseguenza della collisione con una portacontainer nelle vicinanze del Giappone, mentre l’altro sinistro ha riguardato il caccia USS John Mc Cain, avvenuto ad agosto con una petroliera nei pressi di Singapore, in cui hanno perso la vita 10 marinai.
Nel caso del Fitzgerald, la Marina è giunta alla determinazione che lo stesso comandante ha errato nelle azioni tattiche, denotando sottovalutazione di una situazione critica, e che l’equipaggio era impreparato a fronteggiare un simile incidente per scarso addestramento alle manovre dalla plancia, ma anche per la superficiale preparazione dimostrata nell’applicare le norme basilari della navigazione.
Per quanto riguarda il McCain, gli investigatori concludono che la collisione è derivata dalla perdita della situazione tattico-cinematica mentre si verificavano errori nel governo, sia nel timone che nella propulsione, in presenza di forte traffico in transito. A fronte delle discrasie emerse è stata imposta una completa rivisitazione delle disposizioni e regolamenti della Settima Flotta, a cui appartengono entrambe quelle unità, con specifica attenzione per gli aspetti operativi, per l’addestramento e le qualifiche del personale, ed infine per la manutenzione dei sistemi imbarcati.
Lo stesso senatore John McCain (foto a lato), Presidente della Commissione Difesa del Senato, al cui nonno era stata intitolata la nave, ha peraltro puntato il dito contro i tagli al Budget Difesa dal 2013 in poi, con la cosiddetta “sequestration”’ (termine intraducibile in italiano, ma che significa tagli graduali sull’Esercizio del Bilancio della Difesa, cioè meno addestramento e meno manutenzione ordinaria dei sistemi di bordo) come uno dei motivi primari che hanno portato alla morte dei marinai imbarcati sui due caccia.
“Li abbiamo privati dei fondi necessari per addestrarsi e manutenere gli apparati; stiamo mettendo in pericolo la vita di questi uomini perché non diamo loro un addestramento sufficiente, la giusta manutenzione per il loro approntamento” ha dichiarato il Senatore, ex veterano della Marina- “e questo rappresenta il fallimento della nostra governance”.
Un’assunzione di responsabilità politica e umana di alto profilo. I ritorni da questi due sinistri, così come gli altri due occorsi sempre nel Pacifico Occidentale, sono importanti e significativi. Ancor prima della conclusione dell’inchiesta, dallo scorso settembre, la Navy ha emanato urgenti disposizioni all’argomento, nei confronti di tutte le Navi delle diverse Flotte.
In anteprima, vista la cesura sul piano della sicurezza, sono state impartite precise direttive circa il sovra-lavoro e perfino lo stress riscontrato fra gli equipaggi coinvolti nell’incidente, con il preciso ordine di evitarne gli eccessi, stabilendo che i vari comandi devono consentire ‘’un maggiore riposo e cicli adeguati di sonno, senza mai eccedere le 100 ore settimanali di lavoro per ogni singolo marinaio’’.
Inoltre è stato subito disposto che le navi in transito negli Stretti o in acque pericolose debbano comunicare a tutti gli altri bastimenti la loro posizione con una determinata frequenza e, quei comandi che rilevano carenze di base sul piano marinaresco, dovranno prevedere opportuni richiami addestrativi, e permanere in porto fino a quando quei problemi non siano risolti: ciò nelle more della formalizzazione della stessa inchiesta.
La dinamica e le cause ‘’concorsuali’’ che hanno portato alle 2 collisioni sono, quindi, sicuramente differenti, ma in comune presentano l’errore umano.
Nel caso dello USS McCain, la situazione iniziò a degradarsi intorno alle 5 del mattino del 21 agosto, mentre l’unità stava ingaggiando lo stretto di Malacca, uno dei passaggi ristretti più trafficati al mondo, in condimeteo abbastanza normali: notte illune, cielo nuvoloso, stato del mare 3-4. In plancia erano presenti sia il comandante che il secondo; una presenza abbastanza irrituale, ma appropriata, considerato l’alto volume di traffico mercantile in quelle acque ristrette. Il comandante rilevava che il timoniere aveva difficoltà a governare la nave e, contestualmente, i sistemi di comando delle turbine di propulsione, remotizzati, in plancia; ciò considerato ordinava di separare i due compiti con un marinaio addetto al solo timone e un altro a gestire il comando delle TAG, turbine di propulsione, da un’altra consolle.
Il cambio contemporaneo di quei differenti task e delle consolle ha generato confusione in entrambi gli operatori; tant’è che il timoniere, dopo alcuni istanti, dichiarava di non riuscire più a governare e stare in rotta, mentre l’unità iniziava ad accostare a sinistra.
Il comandante, resosi conto di quella situazione, ordinava di ridurre i giri e quindi la velocità, ma il neofita addetto alla propulsione riduceva la potenza di una TAG, lasciando l’altra alla stessa andatura: tale errore o incomprensione, della durata di solo qualche minuto, provocava una ulteriore accostata a sinistra del caccia, aggravando la situazione, finendo sul percorso piuttosto ravvicinato dell’Alnic MC, un grosso mercantile di circa 200 metri.
L’equipaggio, nel frattempo, era riuscito a recuperare gli assetti corretti del timone e della propulsione, ma era troppo tardi; senza che fossero attivate comunicazioni fra queste due unità, né il fischio o sirene per l’avviso di pericolo, il mercantile urtava con la prora il lato sinistro del McCain, aprendo una falla, uno squarcio di 9-10 metri che interessava gran parte dell’opera viva, sotto la linea di galleggiamento.
L’urto violento (video) provocava un drastico ed inatteso spostamento della gente sul ponte della nave, ed è stato avvertito nei locali dormitori dei marinai come una vera e propria esplosione, causando la morte di 10 marinai che, ignari, riposavano nei loro alloggi: le navi restavano incagliate per alcuni minuti prima di liberarsi, mentre il McCain provvedeva a chiudere le porte stagne di quei locali, già completamente allagati per controllare la falla ed evitare di mettere a rischio la galleggiabilità dell’intero bastimento.
La storia dello USS Fitzgerald è stata molto diversa: a meno di un giorno dalla partenza dal suo porto di sede abituale di Yokosaka, in Giappone, la nave era in vista di costa verso l’una del mattino, di quel 17 giugno, quando, dopo che il comandante aveva lasciato la plancia per andare a riposare nel suo camerino, l’ufficiale di guardia in plancia non si era reso conto della notevole vicinanza di un mercantile, il Crystal.
Poco prima della collisione altre due navi mercantili si sono avvicinate troppo al Fitzgerald ma l’ufficiale in plancia non ha mai modificato la sua rotta, scambiando anche erroneamente il Crystal per una di quelle navi già incontrate, pensando che fosse in allontanamento.
Nel tempo necessario per realizzare l’errore cinematico e di valutazione, si è consumata la tragedia: il Crystal impattava sul Fitzgerald all’una e mezzo e dozzine di marinai venivano svegliati in modo traumatico da un’onda d’acqua che ha subito invaso quei locali-dormitori.
Di 35 marinai che alloggiavano nei locali colpiti 28 sono riusciti a sopravvivere attraverso una scaletta di fortuna, aiutandosi reciprocamente, mentre 7 non ce l’hanno fatta. Il rapporto attribuisce la collisione alla mancata manovra dell’Unità per disimpegnarsi dall’avvicinamento del mercantile, all’errore nel non valutare il pericolo, e all’assenza di qualsiasi comunicazione con il Crystal.
I provvedimenti della US Navy
Tenuto conto della gravità delle mancanze riscontrate, sono stati emanati ordini immediati a tutta la Marina: ‘’più riposo e non eccedere le 100 ore settimanali di lavoro per i marinai; tutte le navi che transitano in acque ristrette dovranno segnalare la posizione e comunicarla alle navi nelle vicinanze; le unità che rilevano deficienze nelle capacità basilari marinaresche dovranno restare in porto fino a quando quei problemi non siano risolti’’.
Bisognava riportare l’addestramento della gente e l’effettuazione delle manutenzioni dei mezzi, a livelli adeguati per operare con efficienza, efficacia ed in sicurezza. Occorreva che i comandanti costringessero i loro marinai a ri-usare il compasso, le squadrette e carte nautiche, come ai vecchi tempi, per carteggiare e poter indicare con precisione la propria posizione e quali i contatti vicini che costituivano pericolo.
E’ stata anche ridotta l’autonomia discrezionale del capitano nel decidere quali limiti e criteri da seguire quando lui non si trova in plancia: si deve tornare, in due parole, alle vecchie, ma sacrosante regole essenziali per una navigazione sicura.
Una delle cause principali è, quindi, il superlavoro, il super-impegno in attività stressanti degli equipaggi e l’usura dei mezzi, entrambi ridotti – uomini e navi – negli ultimi anni secondo una ‘’consueta trasformazione’’ ma che stanno compiendo gli stessi compiti – se non di più – di una decina d’anni fa, lasciando quindi poco spazio e fondi per l’addestramento del personale e la manutenzione dei sistemi di bordo.
Anche questi ultimi, seppure in misura diversa, hanno subito una rivoluzione copernicana, ovvero obamiana, con scadimento dell’efficienza etica e tecnica.
Chi è andato per mare sa bene che la navigazione – specialmente di notte ed in acque ristrette – comporta pericoli di vario genere tanto più oggi in considerazione del fatto che molte navi mercantili hanno personale ridotto all’osso e si affidano quasi ciecamente a sistemi automatici di navigazione, alla disponibilità di radar ed altri gadget elettronici fra cui l’AIS – Automatic Identification System – che serve a diffondere informazioni sulla propria posizione, rotta e velocità, di per sé assai utile.
Le navi mercantili ne sono dotate, almeno quelle di un certo tonnellaggio, ma sulle navi militari, dove oggi è regolarmente presente, spesso l’AIS viene spento per non svelare la propria posizione e non diffondere informazioni sulla propria unità: anche questa policy di ‘’equilibrio’’ fra la safety e la security, è destinata a cambiare in esito a diverse disposizioni al riguardo.
Sono altresì state rivisitate le procedure normali e di emergenza per l’ufficiale di guardia in plancia, ampliando il Closed Path Approach (CPA), cioè la distanza minima con cui si interseca la rotta di altre navi, prescrivendo di tracciare ‘’normalmente’’, significa con un team di precisione che rileva con continuità la propria e le altrui posizioni relative, i bersagli che hanno un CPA sotto le 5000 yard (4.850 metri), al fine di evitare avvicinamenti pericolosi o confusioni tattiche.
Anche i ritmi di bordo dovranno cambiare: le nuove regole, oltre a limitare l’impiego sotto le 100 ore settimanali per chiunque, hanno preso sul serio l’aspetto dei ritmi ‘’circadiani’’ del riposo umano, pervenendo alla conclusione di modificare anche gli stessi turni di guardia, in modo che si facciano cicli di ‘’3 ore on duty e 9 ore off’’.
Conclusioni, lesson learned e raccomandazioni
La sicurezza marittima impone una rigorosa e impietosa disamina dei fatti occorsi, delle cause e concause che hanno portato a quei sinistri, allo scopo non tanto di colpevolizzare eventuali comportamenti ma di estrarre delle considerazioni e delle lezioni da travasare a tutti, onde evitare il ripetersi di simili disastri.
La prima lezione appresa è che il troppo impegno e sacrificio insito nel navigare non può far annichilire per troppa stanchezza psico-fisica o per una stramba confidenza nelle proprie possibilità, la priorità nel mantenimento di un adeguato livello addestrativo per i compiti svolti e nella manutenzione degli apparati di bordo, pena l’insorgere di situazioni pericolose per la stessa sicurezza della nave e personale, anche a prescindere dalla importante funzione ‘’combat’’ che quelle unità svolgono.
Il rispetto del limite massimo lavorativo delle 100 ore settimanali e l’applicazione dei ‘’cicli circadiani’’ con impegni nei turni di guardia, alternati a congrui periodi di riposo (cicli di 3 on, e di 9 off) diverrà subito operativa per tutti i marinai, a similitudine di quanto già esiste, in particolare, per gli equipaggi di volo. Misure assai opportune per limitare gli errori umani a causa di distrazioni o negligenze dovute ad eccessiva stanchezza.
La seconda lezione appresa è legata alla mentalità delle attuali generazioni ed alla fiducia quasi esclusiva nei sistemi elettronici ed alla spinta automazione che però, talvolta, vanno in avaria e tradiscono, creando panico se non si dispone di back-up più rustici.
Il radar, l’AIS, ed altri strumenti moderni sono sistemi essenziali per il navigante, ma non possono sostituire il punto nave fatto col compasso e le squadrette, che devono restare un ‘’must’’ quando si naviga in acque ristrette e quindi rischiose. Non è professionale affidarsi solo alle scatole elettroniche, né tanto meno spegnere l’AIS, soprattutto quando la safety e l’anticollisione diventano primarie su tutto il resto.
In sostanza, quando si naviga in acque ristrette o in acque infide e poco conosciute, bisogna tornare all’antico e navigare col supporto dei ‘’Team di precisione’’, carteggiando con continui rilevamenti e facendo il punto nave senza soluzione di continuità.
La terza, in qualche misura collegata alle precedenti, riguarda la preparazione e la verifica delle capacità basiche dei singoli, della loro efficacia di lavorare in ‘’team’’ e del loro livello addestrativo, che non può mai scendere sotto determinati standard, pena la mala-gestione di un bastimento con rischi inaccettabili sia in condizioni di avarie ai sistemi di bordo, e perfino nella normalità.
Se a ciò si aggiungono le mancate manutenzioni, ovvero i collaudi scaduti di alcuni apparati vitali perché non si è avuto il tempo, ovvero le occasioni per farli, allora il comandante si accolla una grave responsabilità, in quanto il livello di rischio sale notevolmente.
Da quell’inchiesta emerge che circa il 40% delle navi della Settima Flotta abbia entrambe quelle carenze, professionali e/o manutentive, o di mancati rinnovi ai collaudi.
Forse navigare troppo come fa da tempo la US Navy (particolarmente nel Pacifico occidentale per le crisi in atto (quella Nord coreana, in specie), con rischieramenti del 70% per mare, è deteriore sia sul piano psico-fisico degli equipaggi che per rispettare ‘’i minimi’’ per l’addestramento e le manutenzioni.
Ma anche navigare poco, come capita nella nostra Marina, per mancanza di soldi, può portare a serie conseguenze sul piano della sicurezza. Né possiamo accontentarci del solito adagio per cui svolgendo missioni operative nel real world, ‘’ci si addestra, mentre si opera”.
Senza nulla togliere a quella parziale verità, dobbiamo ammettere che un conto è addestrarsi con esercitazioni e periodi dedicati, altro è essere coinvolti in missioni reali che non lasciano alcun margine e spazio per la verifica e l’incremento del livello addestrativo dell’equipaggio.
Se poi, si naviga poco, è evidente che certe capacità di andar per mare si perdono: la nave rischia di diventare una appendice della banchina e i marinai dei terricoli, demotivati e privi di una benché minima professionalità e della motivazione stessa di andar per mare.
La quarta, anch’essa correlata alle precedenti, riguarda la professionalità degli Ufficiali di guardia in plancia. E’ chiaro che chi svolge la guardia in plancia deve avere una notevole esperienza nella navigazione e nel settore dell’anticollisione, ed essere in possesso delle diverse certificazioni che lo abilitano a tale compito, di giorno e soprattutto di notte.
E’ altrettanto pacifico che lui non può avvicinarsi a meno di 2-3 miglia da un qualunque bersaglio, in quanto basta un minimo errore o anche una modesta avaria propria o delle altre navi limitrofe, per creare situazioni confuse, scabrose e quasi sempre irreversibili. Da lì, la necessità di avvalersi di quei ‘’team di precisione’’ quando la situazione lo consiglia, negli stretti o nell’avvicinamento ad ostruzioni o porti, ma anche la inderogabilità di tenersi sempre in franchia di altre navi con una distanza minima di 5000 yard, attivando senza remore di sorta una navigazione di precisione con l’antico, ma sempre valido, uso del compasso, squadrette …e delle vedette.
L’ultimo aspetto, ma non per questo meno importante, su cui riflettere, riguarda le risorse assegnate per l’addestramento degli equipaggi e l’effettuazione dei collaudi e delle manutenzioni, cioè i costi ed il Budget assegnato per l’Esercizio: vale a dire per il quotidiano funzionamento in sicurezza di quei bastimenti. Giustamente il senatore Mc Cain ha puntato il dito sulla carenza di fondi a beneficio della Navy proprio in tali delicati settori, aggravati dalla cosiddetta ’’sequestration’’ voluta da Obama per risparmiare nel budget Difesa, (da devolvere ad un più politicamente pagante welfare) prevedendo tagli proprio sull’Esercizio (training e maintenance), con i risultati pericolosi in trattazione, ma che dimostrano l’incompetenza e la superficialità di quel Comandante in Capo nei riguardi dei problemi reali esistenti nelle proprie Forza Armate: fra le misure immediate, ora sono stati assegnati alla Navy circa mezzo miliardo di dollari per tentare di riparare quei ‘’gap’’ riscontrati nei recenti sinistri.
Nel corso dell’inchiesta, pur se gli scopi non fossero quelli di ‘’cercare il colpevole ad ogni costo’’, sono emerse responsabilità specifiche e carenza di leadership, sanzionate pesantemente: il comandante della Settima Flotta è stato rimosso, il comandante della Squadra del Pacifico ha chiesto di dimettersi, anticipando il pensionamento, i comandanti delle due unità navali sono stati destituiti dal comando insieme ai loro secondi, oltre a numerosi altri ufficiali imbarcati.
Molti hanno pagato per decisioni errate e comunque per tutta una serie di carenze tenute sottotraccia ma il politico che non ha provveduto a tutelarli dando loro le risorse necessarie ne è uscito indenne.
Pertanto sarebbe sacrosanto, anche da parte della nostra Difesa e dei vertice, valorizzare quelle lezioni apprese facendo mente locale sui correttivi professionali proposti e per quanto attiene alla classe politica in particolare della Difesa, tenerne debito conto nell’imminente trasformazione conseguente al Libro Bianco.
Voler pervicacemente sostenere che si possono fare le stesse cose, addirittura con maggiore efficienza ed efficacia, con meno uomini e soprattutto meno soldi (nella fattispecie alla voce Esercizio) è un controsenso tanto illogico quanto pericoloso.
Non si possono fare ‘’le nozze con i fichi secchi, per risparmiare, sulla pelle del personale’’. I mal di pancia possono venire alla lunga, con nefaste conseguenze… sperando che non li abbia a soffrire anche la nostra Marina.
Foto: Bloomberg, Reuters, NBC, CNN e AP
Giuseppe LertoraVedi tutti gli articoli
Ammiraglio di Squadra, ha ricoperto la carica di Comandante in Capo della Squadra Navale e, per quasi 2 anni, quella di Comandante della Forza Marittima Europea in UNIFIL durante la crisi libanese. Precedentemente è stato Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo Alto Tirreno e “Senior National Representative” Italiano presso USCENTCOM per le Operazioni Enduring Freedom ed Iraqi Freedom. Comandante dell'Accademia Navale per un triennio, in precedenza ha svolto l’incarico di Capo Reparto Aeromobili. Ha comandato fra l’altro la Fregata Maestrale ed il Caccia Mimbelli.