Anche Baghdad proclama la vittoria sul Califfato
A tre anni e mezzo dalla proclamazione del Califfato nella moschea Nuri a Mosul, il primo ministro iracheno Haidar al-Abadi ha dichiarato il 10 dicembre la “vittoria e la fine della guerra” contro lo Stato islamico. Le forze governative, ha sottolineato il capo del governo, hanno ripreso “il totale controllo della frontiera con la Siria”, l’ultima parte di territorio iracheno che rimaneva in mano ai miliziani jihadisti.
Un alto ufficiale delle Unità per la mobilitazione popolare (PMU, coalizione di milizie irachene a maggioranza sciita), Abu Ali al Basri, ha annunciato l’assunzione del “pieno controllo” del confine iracheno-siriano aggiungendo che l’operazione è stata completata in coordinamento con l’Esercito iracheno, precisando che le aree sotto controllo sono state completamente sgomberate, mentre sono ancora in corso le operazioni di sminamento e bonifica dalle trappole esplosive. Al Basri ha sottolineato infine che le Pmu hanno “iniziato a rafforzare la linea di confine”, temendo possibili azioni da parte di gruppi armati dell’Is provenienti dal deserto.
I diversi corpi dell’esercito iracheno hanno sfilato l’11 dicembre a Baghdad per celebrare la vittoria militare La parata si è svolta sulla piazza del monumento al milite ignoto, nella Zona verde, settore ultra-protetto della capitale dove si trovano i principali ministeri e le ambasciate. All’inizio della sfilata, Abadi ha salutato nella tribuna le famiglie dei “martiri”, ovvero i membri delle forze armate caduti in combattimento contro i jihadisti.
“La nostra battaglia è stata contro un nemico che voleva distruggere la civiltà, ma abbiamo prevalso con la nostra unità e determinazione” ha affermato Abadi. Il Parlamento iracheno ha dichiarato nei giorni scorsi otto città (Mosul, Fallujah, Ramadi, Jalawla, Biji, Hawija, Tal Afar e Zuwiaya) aree disastrate perché hanno subito distruzioni superiori all’80 per cento, mentre tre milioni di persone fuggite dalle loro case rimangono ancora sfollate.
Il 9 dicembre l’esercito ha varato una vasta operazione appoggiata da elicotteri nella provincia di Diyala, a nord-est di Baghdad, per eliminare gruppi di jihadisti dell’Isis che starebbero cercando di riorganizzarsi dopo le sconfitte militari subite nel nord dell’Iraq e in Siria.
Il comandante delle operazioni governative, generale Mizher al Azzawi, ha precisato che le operazioni sono concentrate in un’area vicino alla città di Jalawla, circa 120 chilometri a nord-est della capitale. Fonti locali hanno segnalato recentemente la presenza di piccoli gruppi di miliziani dell’Isis, che si ritiene provengano da basi situate nella vicina catena montuosa dell’Himrin.
Gli Stati Uniti hanno espresso le loro “sincere congratulazioni” agli iracheni e Baghdad ha fatto apre che anche dopo la “vittoria” continuerà ad avere bisogno di consiglieri e istruttori militari stranieri per rafforzare il proprio esercito. “C’è ancora bisogno di consiglieri internazionali per addestrare e riqualificare tutti i comparti delle nostre forze armate”, ha affermato il portavoce del governo, Saad al-Hadithi, in una intervista al quotidiano Al Sabah al-Jadid.
L’Iraq rischia inoltre di rimanere terreno di scontro tra sciti e sunniti, tra arabi e curdi e tra le potenze regionali in competizione per l’influenza sulla regione. Un segnale allarmante è per esempio la visita compiuta nei giorni scorsi in Libano, senza il permesso del governo di Beirut, del capo di una potente milizia irachena sostenuta dall’Iran, che si è recato sul confine con Israele accompagnato da membri delle forze sciite Hezbollah. Una visita denunciata dal premier libanese Saad Hariri, vicino all’Arabia Saudita.
Anche l’Iran rivendica del resto una “quota maggioritaria” nella vittorio contro l’Isis. “Noi siamo seri nella lotta al terrorismo. Se l’Iran non avesse preso misure serie, oggi il cosiddetto Stato Islamico starebbe governando su Iraq e Siria e si troverebbe alle porte dell’Europa”. Lo ha detto il segretario del Supremo Consiglio di Sicurezza Nazionale, Ali Shamkhani, incontrando a Teheran il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson e definendo “infondate” le posizioni di alcuni paesi sulla politica regionale iraniana. Shamkhani ha accusato poi alcuni paesi europei e gli Usa di non rispettare i loro impegni sull’accordo nucleare, ed in particolare ha criticato i britannici per la vendita di armi a paesi come Arabia Saudita e Bahrein che “violano i diritti umani”. Johnson, da parte sua, ha posto l’accento sulla necessità di rimuovere gli ostacoli nelle relazioni finanziarie e bancarie bilaterali.
Il fronte siriano
Dall’altra parte del confine nei giorni scorsi erano stati i russi e l’esercito siriano ad annunciare la sconfitta dello Stato islamico. Almeno nei centri urbani, perché i jihadisti mantengono ancora il controllo di una lunga striscia desertica che va dalla regione a ovest di Palmira a quella ad est di Deir Ezzor che confina con l’Iraq ed è in parte occupata dalle milizie curdo-arabe delle Forze democratiche Siriane (FDS), sostenute dagli Usa in chiave anti-Isis ma anche per contenere l’avanzata delle truppe siriane e dei loro alleati sciti e russi.
Le FDS e l’esercito iracheno hanno intanto deciso di formare un centro di coordinamento congiunto per la sicurezza del confine siro-iracheno nella provincia di Deir Ezzor, secondo quando ha rivelato all’agenzia curda Rudaw una fonte vicina alle FDS.
Il 9 ottobre scorso, il leader delle Unità di Mobilitazione popolare irachene, Faleh al-Fayyad, aveva annunciato che “nel prossimo periodo l’Iraq collaborerà con le FDS per il controllo dei confini comuni”. Da settembre è in atto nella provincia di Deir Ezzor a una competizione tra le forze del regime e il suo alleato russo da un lato e la Coalizione internazionale che appoggia le FDS dall’altro per prendere il controllo delle aree occupate dai miliziani dell’Isis.
Il 7 dicembre gli Stati Uniti hanno fatto sapere che manterranno la propria presenza militare in Siria “finchè sarà necessario” come ha dichiarato un portavoce del Pentagono, Eric Bahon, secondo cui le forze statunitensi nel paese non hanno scadenze.
“Manterremo i nostri impegni per tutto il tempo necessario, per sostenere i nostri partner e impedire il ritorno di gruppi terroristici”, ha detto Bahon aggiungendo che un eventuale ritiro sarà basato sulla valutazione della situazione sul campo. “Al fine di assicurare una sconfitta completa dell’Isis, la Coalizione deve assicurarsi che il gruppo non ritorni e che non ripristini il suo controllo sulle aree che ha perso o cospiri per effettuare attacchi all’estero”.
Un altro portavoce del Pentagono Rob Manning ha reso noto che i militari statunitensi presenti sul territorio siriano è di circa 2mila, quattro volte più di quanto ammesso in precedenza. Il mese scorso 400 marines sono tornati negli Stati Uniti dopo aver combattuto contro l’Isis a Raqqa. A inizio novembre il generale dell’esercito James Jarrard aveva detto che le truppe americane in Siria erano quattromila ma il portavoce Eric Pahon lo aveva corretto, asserendo che erano appena 500.
Damasco e Mosca considerano illegale, sotto il profilo del diritto internazionale, la presenza USA in territorio siriano poichè non autorizzata dal governo legittimo siriano.
Mosca intanto ha dato il via al ritiro parziale delle sue forze dalla Siria. Il rientro dei jet russi dislocati in Siria è iniziato l’11 dicembre come è emerso nel corso della visita a sorpresa di Vladimir Putin nella base di Hmeimim.
Il ministero della Difesa ha precisato che saranno 25 i velivoli a tornare in patria insieme alle forze speciali. Secondo il generale Surovikin, alla testa delle forze schierate in Siria, le unità che resteranno saranno “capaci di compiere le loro missioni in modo efficiente” mentre, stando al senatore Bondarev, in Siria resteranno “bombardieri, caccia e sistemi di difesa aerea”.
Foto: Reuters, AFP, SANA, AP, Esercito Iracheno e Ministero Difesa Russo
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