F-35 per la Luftwaffe? Il “nein” di Berlino è una lezione per l’Italia

Il Ministero della Difesa tedesco ha reso noto che, come previsto da tempo, il velivolo Panavia Tornado verrà sostituito nei ranghi della Luftwaffe dall’Eurofighter Typhoon e non dal Lockheed Martin F-35 Lightning, come aveva auspicato all’inizio di novembre il capo di stato maggiore dell’aeronautica, il tenente generale Karl Muellner.

Parlando alla conferenza IQPC International Fighter a Berlino, il generale Muellner disse che l’F-35 permetterebbe alla Germania di raggiungere tre obiettivi primari per la sua sostituzione con il Tornado: soddisferebbe i requisiti militari della Luftwaffe, rafforzerebbe la cooperazione europea attraverso l’interoperabilità e contribuirebbe a bilanciare il surplus commerciale della Germania con gli Stati Uniti.

Sottolineando come il successore del Tornado dovrebbe avere capacità di combattere altri aerei, interdizione, soppressione delle difese  aeree (SEAD), supporto aereo ravvicinato (CAS), ricognizione tattica, guerra elettronica e missioni di deterrenza nucleare, Muellner aveva dichiarato che “la Luftwaffe considera la capacità dell’F-35 come il punto di riferimento … e penso di essermi espresso abbastanza chiaramente su quale sia il favorito della Luftwaffe”.

Una dichiarazione che ha avuto ampia eco sui media, certo superiore a quella con cui l’opzione del velivolo statunitense è stata decisamente respinta dal vice ministro della Difesa Ralf Brauksiepe.

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“La visione indicata del capo della forza aerea che l’F-35 Lightning II è un successore particolarmente adatto al Tornado non è la posizione del governo federale” che, come è noto da tempo, intende sostituire i Tornado con gli Eurofighter Typhoon tra il 2025 e il 2030 quando gli ultimi Tornado dovrebbero venire ritirati dal servizio.

La Germania punta quindi a incentrare i suoi reparti aerei da combattimento su un solo velivolo (come del resto fa anche la Francia con i Dassault Rafale) di produzione nazionale all’interno del consorzio Eurofighter (Germania, Italia, Spagna e Gran Bretagna).  Una scelta coerente con la necessità di concentrare gli stanziamenti su prodotti dell’industria nazionale, con i progetti di difesa europea e con il varo del programma franco-tedesco per lo sviluppo di un nuovo velivolo di Quinta generazione annunciato nel luglio scorso.

Anche alla luce di questi fatti appare sempre più paradossale la scelta italiana di dotarsi degli F-35 (gli unici davvero necessari sono gli F-35B per la Marina e destinati all’imbarco sulla portaerei Cavour che può imbarcare solo aerei a decollo corto e atterraggio verticale), i cui costi sono da tempo fuori controllo e che porteranno la nostra Aeronautica a schierare due macchine (Typhoon e Lightning II) estremamente costose anche in termini di gestione a fronte di bilanci della Difesa sempre più scarni.

Oltre a lasciare ancora a lungo l’Italia in posizione di sudditanza nei confronti degli USA, la cui politica è sempre più palesemente ostile all’Europa e dove il “buy american” impedisce la penetrazione negli USA di prodotti italiani ed europei della Difesa, l’acquisizione dell’F-35 rappresenta un suicidio industriale anche a fronte degli scarsi ritorni tecnologici, compensazioni e posti di lavoro determinati dal programma dell’aereo statunitense.

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Per sostenere l’industria, potenzialità di export del made in Italy e occupazione meglio sarebbe acquisire altre due dozzine di nuovi Typhoon per rimpiazzare i Tornado e almeno altrettanti M-346FA (versione da combattimento dell’addestratore M-346 Master – nella foto sotto) per sostituire gli AMX Acol promuovendo così sul mercato il caccia leggero di Leonardo.

Una scelta che certo comprometterebbe i 4 miliardi spesi negli ultimi 20 anni per il programma F-35, che potrebbero in parte venire recuperati cedendo ad altri acquirenti i pochi  F-35A già ordinati o consegnati e negoziando con gli Usa il mantenimento alla FACO di Cameri gli stabilimenti per la manutenzione degli F-35B della Marina e per gli F-35A di altri Paesi NATO e dell’Usaf dislocati in Europa.

Certo l’F-35 vanta capacità indubbiamente avanzate ma non è detto che all’Italia serva davvero un aereo semi-stealth da “first strike” (anche nucleare, con le bombe B-61-11 statunitensi basate a Ghedi) ) dal momento che, per scelta politica di Roma, neppure gli aerei da combattimento in servizio oggi vengono impiegati per azioni di attacco, ovviamente con l’esclusione dei conflitti in cui Washington ci ha “ordinato” di farlo (Kosovo, Libia e Afghanistan).

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I potenziali nemici che presumibilmente dovremo affrontare sono alla portata dei Typhoon (che infatti imbarcano già i missili da crociera MBDA Storm Shadow), a meno che non si voglia continuare a seguire la delirante politica anglo-americana di contrapposizione alla Russia che domina gli ambenti NATO.

Inoltre che senso ha blaterare tanto di difesa europea se poi, per giunta in tempi di “vacche magre”, si comprano aerei e tecnologie americane invece di svilupparne di proprie?

Tenuto conto anche delle scarse risorse finanziarie disponibili per la Difesa, una scelta all’insegna del “buy italian” è dunque quanto mai necessaria se davvero si vuole impedire il collasso o la svendita agli stranieri dell’industria nazionale, che con la rinuncia all’F-35 potrebbe disporre anche di risorse utili alla ricerca hi-tech per affiancare (in un ruolo non troppo subalterno) i franco-tedeschi nel programma per un nuovo cacciabombardiere europeo di Quinta generazione, accedendo anche ai fondi messi recentemente a disposizione dalla Ue per i programmi di difesa comune.

Un’occasione da non perdere per mantenere l’Italia nella ristretta cerchia dei produttori di aerei da combattimento.

@GianandreaGaian

Foto: IHS Markit / Gareth Jennings, Airbus, Eurofighter e Leonardo

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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