Il Califfo e l’esercito dei soldati dilettanti

da Il Mattino del 12 dicembre 2017

Akaye Ullah, l’ex tassista bengalese di New York divenuto terrorista “fai date” che ha cercato di farsi esplodere nella metropolitana sotto il capolinea dei bus alla Port Authority di New York, sembra rispondere perfettamente all’indentikit del terrorista non professionista che colpisce nel nome dello Stato Islamico.

Gli uomini di fede islamica che in tutto il mondo hanno risposto all’appello lanciato tre anni or sono da Mohamed a-Adnani, capo della propaganda dell’Isis ucciso l’anno scorso da un raid statunitense, mostrano infatti le capacità e i limiti dell’ondata terroristica targata Califfato.

Da un lato a seminare il terrore colpendo gli infedeli nelle loro terre con coltelli, autoveicoli, veleni o esplosivi artigianali (come esortava a fare al-Adnani) può essere chiunque, anche la persona più inaspettata radicalizzatasi forse all’insaputa persino di amici e parenti. Un aspetto che accentua la percezione di vulnerabilità della nostra società e delle infrastrutture che utilizziamo quotidianamente, dai mezzi di trasporto ai luoghi affollati per eventi sportivi o spettacoli.

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Dall’altro il terrorista “fai da te” ha dei grossi limiti, a volte psicologici (il fanatismo non sempre è sufficiente a sopportare lo stress e la tensione determinate dall’uccidere, per la prima volta, altre persone inclusi dinne e bambini) più spesso tecnici e operativi.

Un errore nel manipolare l’esplosivo fatto in casa TATP ha decimato la cellula dell’Isis di Barcellona privandola dei mezzi con cui provocare una strage (esplosivo e bombole di gas) così come ieri il maldestro Ullah ha finito per bruciare sé stesso ferendo leggermente quattro persone invece di provocare una strage.

I “soldati” del Califfato (come li chiama la propaganda dello Stato Islamico), come tutte le reclute inesperte compiono molti errori anche se viene naturale chiedersi come mai le azioni terroristiche vengono affidate a questi “dilettanti” nel momento in cui si fa un gran parlare del rientro in occidente di migliaia di foreign fighters.

Veterani dell’Isis esperti di guerra e sabotaggio evidentemente giudicati finora “non sacrificabili” in azioni terroristiche su vasta scala. Forse perchè si intende impiegarli come istruttori o confezionatori di ordigni.

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Ullah, da sette anni negli Stati Uniti, avrebbe realizzato un ordigno artigianale, fissato in vita come una cintura esplosiva con velcro e cerniere, nell’officina dove lavora come elettricista ma avrebbe compiuto qualche errore nel preparare l’innesco dell’esplosivo.

Benché pare non avesse precedenti né negli Usa né in Bangladesh (dove era stato l’ultima volta in settembre) Ullah sembra aver aderito al proclama di al-Adnani che invocava il massacri degli infedeli giustificando così l’attacco a civili inermi (i cosiddetti “soft targets”) nel nome della vendetta per le vittime civili provocate dai bombardamenti aerei della Coalizione.

“Hanno bombardato il mio Paese e io volevo fare danni qui” avrebbe detto ma non risulta ci siano stati bombardamenti in Bangladesh, terra non certo nuova al jihadismo dove il 1° luglio dell’anno scorso vennero sequestrati, torturati e giustiziati da terroristi islamici 24 persone tra cui 9 cittadini italiani.

Pochi i dettagli finora resi noti ma se l’attentato conferma che gli Stati Uniti sono di nuovo un “obiettivo primario” per il terrorismo islamico pare improbabile legare l’attenta fallito ieri a New York ai recenti fatti del medio Oriente: la confitta definitiva del Califfato in Iraq e Siria e l’iniziativa di Trump di trasferire a Gerusalemme l’ambasciata statunitense a Tel Aviv.

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Nel primo caso è facile ricordare che lo Stato Islamico ha colpito in tutto l’Occidente anche quando le sue milizie erano all’offensiva e conquistavano città e territori in MO: il terrorismo è quindi il mezzo con cui colpiscono l’Occidente in una guerra che vede l’Isis privo di bombardieri e missili da crociera a lungo raggio.

Quanto alla questione di Gerusalemme, secondo fonti citate dalla CNN lo stesso Ullah avrebbe detto di aver agito per vendetta contro le azioni di Israele nella Striscia di Gaza.

Notizia certo da appurare ma si tratterebbe di una motivazione originale per un terrorista che colpisce in Occidente richiamandosi allo Stato Islamico.

Certo non si può escludere che l’iniziativa di Trump su Gerusalemme possa in futuro costituire un ottimo alibi, o un ulteriore movente di comodo per un terrorismo jihadista che non ha finora avuto bisogno di cavalcare le tensioni israelo-palestinesi per trovare un collante nella lotta agli “infedeli”.

Foto AP e WENY News

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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