Corea: perchè un’intesa preoccupa soprattutto gli alleati di Seul

Da Il Mattino dell’8 gennaio 2018

I colloqui tra le due Coree che riprendono dopo oltre due anni nel villaggio di confine Panmunjeon vedono i diversi protagonisti di quell’area strategica nutrire aspettative diverse. L’aver convinto il Nord ad accettare la ripresa del dialogo e a partecipare alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang rappresenta una grande vittoria politica e diplomatica per il presidente sud-coreano Moon Jae-in, che ha già incassato la riapertura delle linee di comunicazione dirette con Pyongyang.

Le delegazioni inviate ai colloqui  (nella foto sotto l’arrivo di quella nordcoreana) sono di alto livello con i rispettivi ministri per la Riunificazione, dello Sport e i dirigenti dei comitati olimpici a conferma di come i Giochi di Pyeongchang costituiscano per entrambi una buona carta da giocare. Per Seul rappresentano l’opportunità di riavviare il dialogo col Nord e allentare la tensione dopo un 2017 contraddistinto da una trentina di test missilistici e nucleari. Pyongyang punta a cogliere l’opportunità mediatica olimpica per mostrarsi al mondo per una volta senza armi nucleari e missili balistici.

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Il capo della delegazione di Pyongyang, Ri Son Gwon, è noto per essere un negoziatore duro e intransigente e del resto, se i Giochi olimpici rappresentano la vetrina di questi negoziati, il fulcro sarà  incentrato sui temi della sicurezza.

Aspetto in cui Seul ha già creato un clima disteso annunciando lo stop alle esercitazioni previste con gli Stati Uniti almeno fino alla fine delle olimpiadi, il 25 febbraio.

L’obiettivo dei colloqui è quindi di corto respiro, limitato a consentire la partecipazione del Nord ai giochi olimpici in un clima disteso ma punta però a creare le basi per rafforzare le aperture e giungere a un vero negoziato su vasta scala.

Moon Jae-in ha più volte sottolineato come Seul voglia ottenere un impegno formale e verificabile alla denuclearizzazione da Pyongyang, condizione che i nordcoreani difficilmente potrebbero accettare, offrendo invece più probabilmente un congelamento del programma atomico che non pregiudichi però lo status di potenza nucleare.

Nei colloqui (foto d’apertura e sotto) entreranno probabilmente le esercitazioni congiunte effettuate con cadenza regolare dalle forze Usa che nel Sud schierano 28 mila militari con 150 aerei ed elicotteri e centinaia di mezzi corazzati ma Seul e Pyongyang dovranno in ogni caso tenere conto delle esigenze dei loro potenti vicini, sponsor e alleati.

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Cina, Usa e Giappone hanno espresso soddisfazione per la ripresa del dialogo inter-coreano ma ognuno di loro teme di pagare il prezzo della distensione nella Penisola Coreana.

La presenza militare statunitense in Corea del Sud costituisce una garanzia contro un’invasione dal Nord come quella del 1950 ma quelle forze, così come quelle basate in Giappone, costituiscono anche una punta di lancia a due passi dai confini cinesi.

Se il potenziamento atomico e missilistico nordcoreano, impossibile da attuare senza il tacito via libera di Pechino, ha messo in luce le difficoltà dell’America a proteggere i suoi alleati regionali da attacchi nucleari, un negoziato che riduca la tensione tra le due Coree non potrà non prevedere qualche contropartita anche per i cinesi. Tanto per cominciare il ritiro dalla Corea del Sud del sistema di difesa contro i missili balistici Thaad, il cui radar permette agli Usa di esplorare in profondità lo spazio aereo cinese.

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La Cina del resto potrebbe offrire ampie garanzie militari ed economiche a Pyongyang se un’intesa con Seul potesse assicurare il ritiro o quanto meno la riduzione delle forze militari statunitensi in Corea del Sud.

A differenza dei due Stati coreani, che nei negoziati si giocano le prospettive per le generazioni future, per Washington e Pechino la Penisola Coreana è solo uno dei teatri di confronto che si aggiunge agli arcipelaghi contesi del Mar Cinese Meridionale e Orientale, alla questione di Taiwan e ai rapporti commerciali tra le due potenze.

L’ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley, non ha nascosto scetticismo verso i colloqui di Panmunjeon affermando che “non c’è alcuna svolta, potrebbe esserci un momento in cui parlare con la Corea del Nord ma molte cose devono accadere prima che ciò avvenga. Devono smettere di fare test, devono essere d’accordo a parlare della messa al bando delle loro armi nucleari”.

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Una freddezza ben rappresentata dal consigliere per la Sicurezza Nazionale, H.R. McMaster, che in un’intervista ha detto che “chiunque veda come rassicuranti le aperture di Kim ha bevuto troppo champagne durante le feste”.

Scettico anche il Giappone, dove il ministro della Difesa, Itsunori Onodera, ha sentenziato che “la Corea del Nord passa attraverso fasi di apparente dialogo e provocazione ma continua nel suo sviluppo nucleare e missilistico”. Lapidario il commento del premier nipponico Shinzo Abe, per il quale i colloqui inter-coreani “saranno inutili se non porteranno il regime di Pyongyang ad annunciare lo stop del proprio programma missilistico e nucleare”.

Se da un lato è anacronistico attendersi una “resa” di Pyongyang, dall’altro sembra che una possibile intesa tra le due Coree preoccupi soprattutto gli alleati di Seul.

@GianandreaGaian

 

Foto: Governo Sud Coreano, Reuters e AAP

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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