Gangs e No go zones: la sfida islamica alla Svezia
In moltissimi degli studi in materia di bande criminali, il fenomeno della gangs producing viene associato, con gli arrivi di grandi numeri di immigrati quindi ai picchi dei fenomeni migratori che troviamo definiti in altre ricerche come ‘crisi dei rifugiati’ ma di cui non muta la sostanza.
E’ il fenomeno che in Europa si sta vivendo da molti anni. In tal senso fu dagli Stati Uniti che si ebbe il primo lavoro davvero ultra-pioneristico sulle gang, datato 1927, dove vennero dettagliatamente descritte le bande giovanili di Chicago formate da immigrati polacchi di seconda generazione.
Autore di questa notissima ricerca fu Frederic Trasher, il suo colossale lavoro sulle gang di Chicago fu di indirizzo e orientamento per gli innumerevoli successivi studi in materia. Tornando alle nostre latitudini la problematica diffusione delle gang islamiche è oggetto di studi e ricerche sul campo condotte dal Eurogang Program of Research, un network di oltre 100 ricercatori sia europei che statunitensi.
Questo network di ricerca fin dal 2005 si è dedicato allo studio dei gruppi di giovani e giovanissimi, nella maggioranza immigrati, coinvolti e partecipi in oltre 50 gang attive in moltissime città dell’Unione Europea. Ed in merito un primo lavoro pioneristico era già stato fatto addirittura nel 2001.
Queste gang, originate dall’immigrazione soprattutto da paesi di religione islamica, si sono diffuse in molte nazioni europee, tra cui Olanda, Belgio, Germania, Francia (per le note ragioni storiche), Gran Bretagna, Danimarca ed in tutta la Scandinavia. In particolare il fenomeno delle gang islamiche ha attecchito fortemente nel paradiso del welfare, cioè in Svezia, tanto che nel giugno scorso, il capo della polizia si è sentito in dovere di fare pubblicamente un annuncio choc sull’esistenza di ben 61 no-go-area nelle città svedesi, in un tentativo di mettere sotto la lente di ingrandimento dei media, dei cittadini e dei politici svedesi questo gravissimo problema. Un colpo durissimo al ‘mito’ del multiculturalismo svedese.
Da quanto emerge dalle analisi di Eurogang Program of Research sono le seconde generazioni di immigrati islamici e anche non islamici che alimentano le gang. Per esempio i marocchini in Olanda, i turchi e i palestinesi in Germania, in Spagna troviamo le gangs dei Latin Kings ad imitazione di quelle presenti negli Stati Uniti, in Norvegia i Crips e i Bloods a Trondheim altra copia delle storiche gang Los Angeles mentre a Oslo vi sono fin dagli anni Ottanta le gang formate dai giovani e giovanissimi pakistani.
Sulle gang islamiche in Olanda vi sono molti lavori (van Gemert e Fleisher 2005) che ci danno un quadro dettagliato, dal punto di vista sociologico e antropologico, sulle gang di una città importante come Amsterdam.
Le gang di Amsterdam sono segmentate dal punto di vista etnico-religioso, modalità che ritroviamo nelle gang in altri paesi: nella maggioranza sono a prevalenza di giovani marocchini, le bande di Windmill Square rientrano nei canoni della marginalizzazione, famiglie numerose, basso reddito, vedono il sistematico abbandono dell’obbligo scolastico, già moltissimi con precedenti di infrazione alla legge, altro elemento sempre ricorrente in tutte le gang.
Una situazione molto complessa da gestire per le forze dell’ordine e che ha radici lontane, ricordiamoci infatti di due noti omicidi: il politico Pim Fortuyn ucciso nel 2002 e Theo van Gogh ucciso nel 2004, il regista del film Submission, omicidi che alla luce della fortissima recrudescenza del terrorismo islamico assumono una luce di lampante avvertimento, purtroppo rimasto inascoltato.
Nella capitale della Norvegia sono diffuse le (storiche) gang di pakistani che secondo le analisi condotte sul campo hanno un vissuto totalmente diverso: non rientrando nei canoni classici della marginalizzazione, difatti secondo gli studi in merito (Lien 2005): “le gang di pakistani provengono da famiglie con buoni livelli di reddito, molto unite e strettamente legate alla propria comunità etnica di riferimento […], tuttavia questi giovani da un lato vogliono apparire conformi alla loro religione e dall’altro seguono i costumi occidentali […], quindi si trovano sul confine di una doppia auto-esclusione: ai margini della società ed ai margini della loro comunità.”
In Gran Bretagna già dal 2007 le presenza delle gang venne definita dal allora capo della Metropolitan Police Service come: ”la più grave minaccia per il Regno Unito dopo quella del terrorismo […], le cui radici vanno trovate nei processi avviati dall’economia e cultura della globalizzazione”. Gang anche miste etnicamente sono presenti in Spagna, un paese notoriamente a netta prevalenza di immigrazione latino-americana.
Per esempio a Barcellona le gangs/bandas dei Latin Kings sono state censite dai Mossos (polizia catalana) ed i numeri sono i seguenti: esistono almeno 20 sigle, 2000 membri che rappresentano un po’ meno del 5% dei latini presenti nella grande città catalana. Le bandas o pandillas sono note con i nomi di Latin Kings, Nietas, Black Panthers, Vatos Locos, Maras Salvatrucha, formate in prevalenza da caraibici e andini, tra cui molti ecudoriani tuttavia nelle bandas vi sono pure dei marocchini, persone della Guinea Equatoriale e russi, tutti però in posizione subalterna rispetto alle gerarchie interne di gang; gli appartenenti per la più parte sono di sesso maschile ma con presenza femminile robusta.
In Finlandia è tale la diffusione dei reati commessi da minorenni che si è sollevato un dibattito sulla possibile riduzione dell’età per comminare le condanne, scendere dai 15 anni attuali ai 13/12 anni. Un cenno va fatto alla Polonia che mostra un trend del tutto opposto: i reati commessi nel 2004 erano stati quasi un 1,5 milioni ma si sono quasi dimezzati (!) dopo dieci anni: i reati commessi nel 2014 assommavano a solo 873mila.
Come mezzi di contrasto sono stati introdotti nuovi reati ed istituite delle speciali corti che sentenziano nel giro di 24 ore. Tuttavia occorre dire che l’incidenza maggiore nella forte riduzione del numero di reati commessi è dovuta alla nota rigidissima politica migratoria di Varsavia.
E’ da evidenziare il tentativo di tamponare e distogliere l’attenzione del pubblico ricorrendo gli utilizzi linguistici del famigerato politically correct: cosicchè in Francia le no-go-area nelle banlieues, sono diventate le ZUS (zones urbaines sensibles). In pratica viene ‘ordinato’ a tutti e a tutti i livelli, di tenere un basso profilo comunicativo sui fatti che accadono sistematicamente nelle banlieues. Un basso profilo fortemente criticato come quando vennero bruciate oltre mille autovetture nel corso del Capodanno 2016/17 e si cercò di pubblicizzare la notizia il meno possibile. In Svezia sta accadendo lo stesso, difatti nel corso del 2017 si sta operando per ribattezzare le no-go-area con un lessico come “aree vulnerabili” (vulnerables areas), termini che si suppone trasmettano meno ansia/pericolo, un tentativo di mascherare una volta di più la realtà dei fatti, anziché affrontare i problemi che si hanno di fronte.
Il fenomeno delle gang islamiche nella Scandinavia del generoso welfare
Il gruppo di studio ISRD (International Self-Report Delinquency) che segue da anni le vicende delle gangs in suolo europeo, ha rilasciato da poco tempo un report sulla Scandinavia, coordinato da Janna Kivivuori, il responsabile ricerca criminologica del Finnish National Research Institute of Legal Policy. Il gruppo di lavoro allestito dal Scandinavian Research Council for Criminology – National Research Institute of Legal Policy, si è dedicato ad analizzare sulle attività criminali attive fin dagli anni Sessanta nelle principali città scandinave, producendo un report di 125 pagine fitte di dati e analisi, laddove emerge, anche se volutamente ‘poco’ approfondito, il dato anche sui reati connessi alla presenza di immigrati in particolare nelle due capitali Stoccolma e Oslo, reati commessi in gran parte da giovanissimi nella fascia di età 13-16 anni.
Altri testi di ricerca hanno analizzato molto in dettaglio la situazione critica di versi paesi europei tra cui la Svezia, che notoriamente eroga un generoso welfare anche agli immigrati.
Tra questi: Europe’s Angry Muslims: The Revolt of The Second Generation (di Robert Leiken) e Street Gangs, Migration and Ethnicity (a cura di Frank van Gemert, Dana Peterson, Inger-Lise Lien).
In entrambi i succitati lavori si analizzano i meccanismi insiti nelle gang islamiche e su tutte emerge che l’antico concetto di “asabiyyah” viene riletto nelle dinamiche delle gang come il collante della fortissima coesione, della solidarietà e lealtà verso il gruppo. Il concetto di “asabiyyah” (traducibile in “spirito di solidarietà”) in origine risale al famoso storico musulmano Ibn Khaldūn a fondamento della sua interpretazione dell’incivilimento umano, in base allo studio delle esperienze della società araba beduina e dei regni arabi e berberi dell’Africa settentrionale.
E’ quindi un fattore di enorme peso in questo tipo specifico di dinamiche sociali che ritroviamo in altre situazioni geografiche/culturali più vicine a noi; come si capisce è un fattore che innesca una solida cortina di omertà, fornisce fiancheggiatori, ostacola la strada agli interventi delle forze di polizia e alle indagini dei magistrati.
In particolare la Svezia si trova da anni con un gravissimo problema di governo e gestione delle tre più grandi aree urbanizzate, cioè Stoccolma, Gothenburg e Malmö, problema connesso con la crescita delle no-go-area a causa della diffusione delle gang di giovani e giovanissimi immigrati di religione islamica.
L’annuncio choc di Dan Eliasson I(nella foto sotto), il capo della polizia nazionale svedese, in cui hareso noto che ”il numero delle no-go-area ha raggiunto un livello molto critico, sono salite da 55 a 61 in soli dodici mesi e rappresentano un attacco alla nostra società“, costituisce l’esempio di un’esternazione coraggiosa e senza contorti giri di parole, rilanciata dai media anche se per un breve lasso di tempo.
Ma cosa sono le no-go-area? Interi quartieri/sobborghi dominati dalle gang, in cui non mettono piede né la polizia, né altre strutture istituzionali come i vigili del fuoco, i vigili urbani, le ambulanze. Le dichiarazioni del numero uno della polizia svedese sono state una vera ‘bomba’ per la classe politica, per la società civile e per i media della Svezia, sollevando il velo da una situazione davvero critica, similmente a quanto fatto dal procuratore capo di Catania, Zuccaro, a suo tempo sugli sbarchi a getto continuo di migranti sulle nostre coste.
In precedenza altri allarmi erano stati lanciati stavolta dal responsabile della Polizia di Frontiera, Patrik Engström che a più riprese ha parlato del problema gravissimo di oltre 12mila immigrati di cui si sono perse le tracce (!) nel territorio svedese. L’aumento delle no-go-area è scandita, quasi settimana per settimana, da uno stillicidio di attentati incendiari contro le forze dell’ordine. Nel solo mese di ottobre scorso vi sono stati 4 attentati in due settimane, con una dinamica oramai ben nota agli inquirenti svedesi.
Le “Fallujah” di Svezia
Delle no-go-area forse la più nota è Rikenby, il vasto sobborgo nel nord di Stoccolma con prevalenza di immigrati, una delle zone più pericolose della capitale. A Rikenby e nelle altre no-go-area poliziotti, paramedici, vigili del fuoco vengono fatti oggetto di sassaiolo e di lanci di bottiglie incendiarie. La conferma ulteriore, se ve ne fosse ancora bisogno, è giunta da una fonte autorevole quale Lise Tamm, responsabile nazionale dell’unità anti-crimine.
Nello scorso dicembre in un’intervista alla Radio Nazionale Svedese, ha denunciato ”la situazione drammatica che vive il sobborgo di Rikenby, nel quale la polizia, quando deve entrarvi, si presenta in assetto ‘di guerra’ per proteggere, innanzi tutto, la propria incolumità.”
Rikenby era già salito alla ribalta delle cronache per le violente rivolte del 2010 e del 2013. Anzi potremmo dire che tutto è partito da Rikenby per quanto concerne i paesi scandinavi.
E’ nel giugno 2010 che qui viene segnalata la prima violenta azione orchestrata dai giovani immigrati di religione islamica in Svezia, allorquando oltre un centinaio di giovani e giovanissimi distrussero con pietre e molotov la stazione di polizia del quartiere e una scuola. E con uno schema che si ripete a tutt’oggi, furono fatti oggetto di lanci di pietre e bottiglie incendiarie i vigili del fuoco accorsi a spegnere i tanti incendi appiccati nel corso degli incidenti.
Oltre a Stoccolma il fenomeno delle gang islamiche è molto critico in altre due grandi città svedesi: Gothenburg e Malmö. All’interno del testo Street Gangs, Migration and Ethnicity vi è un saggio di Micael Bjork che ha studiato a fondo il fenomeno delle gang diffuse a Gothenburg, la seconda in grandezza città svedese.
Il lavoro pubblicato si fonda una massa enorme di dati: i rapporti di polizia, decine e decine di interviste ed uscite sul campo assieme alle pattuglie per un totale di ben 400 ore di lavoro nel periodo 2004/2006. Bjork analizza i rapporti tra crimine organizzato ed il reclutamento dei nuovi ‘soldati’ sia tra le gang di giovanissimi immigrati musulmani sia tra gli stessi adulti.
Un quadro che abbraccia le attività illegali e criminali ad ampio spettro, da cui si traggono elementi molto importanti per l’analisi del fenomeno in discorso. Si evidenzia soprattutto che qui Bjork ritrova quanto già evidenziato, in precedenza, da van Gemert nel suo lavoro sulle gang dei giovani marocchini di Amsterdam, difatti appare chiaro che nella comunità di immigrati di Gothenburg: “la difesa della gruppo/gang è più importante del fatto di denunciare alle autorità competenti eventi criminosi di cui si è venuti a conoscenza”.
Un comportamento teso a ”evitare qualsiasi ferita all’onore, i reati commessi non vanno pertanto resi pubblici. La polizia ha raccolto nel tempo moltissimi riscontri sul fatto che parenti, fratelli e cugini fiancheggino le gang marocchine e algerine. […] Gli consentono per esempio di conservare nelle loro case la refurtiva (lettori dvd, televisori, orologi di marca, ecc.).” “[…] Inoltre si hanno prove che le merci rubate vengono successivamente rivendute a prezzi di favore a membri della loro comunità”.
Oslo e le gang pakistane
La vicina Norvegia vive anch’essa problemi, via via crescenti, nella capitale Oslo, laddove già il 23% degli abitanti sono immigrati, con una fortissima presenza di pakistani. Il focus delle forze di polizia fin dagli anni Ottanta (!) si è rivolto a due gang composte da circa 50 membri ognuna, di esclusiva etnia pakistana, che sono a tutt’oggi al centro dei disordini che da tempo segnano quartieri della capitale come Furuset, Homlia, Stovner sono le zone dove le due gang ‘A’ e ‘B’ commettono furti, rapine, atti vandalici, risse. Le due gang si sono spesso scontrate violentemente conquistando sovente le prime pagine dei giornali e dei media svedesi.
La gang B si è formata negli anni Novanta ad imitazione della rivale più vecchia, la gang A molto attiva ad Oslo fin dagli anni Ottanta formata da una quarantina di persone tra cui anche molti giovanissimi. Invece la ‘B’ aveva una età media leggermente superiore: il più giovane dei fratelli Rasool (il nucleo fondatore della gang B) aveva 19 anni e il più grande 30 anni, si erano specializzati nel settore criminale fino ad arrivare alla gestione di un lucroso traffico di droga.
Nel 2007 venne attuata l’Operazione Nemesis contro la gang B, meglio nota come la gang dei Rasool. Un’operazione di successo, portata a modello nei corsi di polizia in Scandinavia, che risale tuttavia a molti anni fa, con esito positivo fu dovuto anche alla collaborazione con la polizia brasiliana. Una davvero inconsueta collaborazione oltre-Atlantico tra due nazioni che certo non hanno molti punti di contatto tra loro. All’epoca la gang ‘B’, formata dai sei fratelli Rasool su smantellata; i Rasool avevano investito ingenti somme di provenienza illecita nelle zone turistiche del Natal, la fascinosa capitale dello Stato del Rio Grande do Norte acquistando soprattutto appartamenti nelle zone più di moda, auto di lusso, yacht costosissimi, ecc.
La gang dei Rasool aveva radunato un buon numero di affiliati sia ad Oslo sia in Brasile e le forze di polizia, imitando le tattiche italiane del “segui il denaro”, hanno scoperchiato questo piccolo impero dei Rasool. La gravità sempre maggiore di questi fenomeni è confermata dal ‘salto’ che questa progressiva escalation criminale fa compiere. Infatti un membro di queste gang pakistane è entrato nel campo del terrorismo, è il caso emblematico di Arfan Bhatti.
Nel 2006 è stato accusato di voler compiere un attentato ai danni dell’ambasciata statunitense ed israeliana, poi di aver esploso dei colpi contro una sinagoga di Oslo, condannato per quest’ultimo attentato è stato in prigione per tre anni. Sempre nel 2006 fu accusato di aver sparato contro l’abitazione della giornalista Nina Johnsrud del quotidiano Dagsavisen. Le indagini dell’anti-terrorismo hanno poi dimostrato che fin dal 2002 una frazione della gang si era radicalizzata, fu in quel periodo Arfan Bhatti aveva iniziato a scrivere “Io vivo per l’Islam e odio i valori norvegesi”.
Nel 2012 Bhatti è entrato a far parte del gruppo salafita radicale i Profeti dell’Umma, rientrato in Pakistan è stato imprigionato nel biennio 2013-14 per aver avuto contatti con i talebani pakistani. Tuttavia dal 2015 ha rimesso piede in Norvegia (!) dove si è distinto per ripetute denunce di violenza familiare che gli hanno fatto trascorrere dei brevi periodi in prigione.
Una Oslo che è stata in passato testimone dei violenti incidenti ai tempi del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza tra la fine 2008 e inizio 2009. La mano leggerissima usata dalla polizia norvegese all’epoca e successivamente in occasioni minori è tutt’ora oggetto di polemiche perché viene connessa con il crescente sviluppo del fenomeno delle gang di giovani islamici e nell’incistazione di cellule jihadiste che trovano così facili rifugi e molti fiancheggiatori che li possono aiutare.
Oslo ha le sue no-go-area come il sobborgo di Stovner, nel quale nel giugno scorso ci sono state oltre tre settimane di caos, generate dalle gang di immigrati: auto e cassonetti incendiati, lanci di pietre contro le forze di polizia, le ambulanze e i vigili del fuoco. La polizia ufficialmente, nella persona di John Roger Lund, responsabile della polizia di Stovner nega che questo distretto sia una copia della Rinkeby svedese: “la polizia non fugge quando le gang ci aggrediscono, ma è il contrario” ha tenuto a ribadire, nonostante che nei mesi tra gennaio e marzo ci siano stati oltre venti casi di incendi dolosi e molti episodi di aggressioni contro le pattuglie.
Intervistato dal Aftenposten, Lund ha dichiarato che dietro tutti questi incidenti: “ci sono solo piccoli gruppi di giovanissimi tra i 14 e i 17 anni, non sono membri di qualche gang pur se molti dei sospettati sono già noti alla polizia”.
Gli ultimi sviluppi
Il recentissimo annuncio del presidente statunitense Trump sul trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme, riconoscendola di fatto come capitale dello stato d’Israele, ha fatto venire ancor più allo scoperto le gang di giovani islamici con una sequela di proteste e di attentati molto preoccupante.
Il 9 dicembre è stata colpita una sinagoga nella zona centrale di Gothenburg, le telecamere di videosorveglianza hanno filmato un gruppetto di almeno di una decina persone, tutti bardati di nero, i cui lanci di oggetti incendiari per fortuna non hanno causato danni a nessuno. Per Allan Stutzinsky, rappresentante della comunità ebraica svedese, “l’attentato è da addebitare ad un gruppo dei manifestanti pro-Palestina”.
La polizia svedese ha aperto subito le indagini arrestando il giorno dopo l’attentato tre ventenni ma di cui non ne ha comunicato, finora, la nazionalità. Il presidente Moshe Kantor del Congresso Europeo Ebraico ha chiesto alla Svezia di fare presto per scoprire gli autori di questo attentato, che si ricollega alle manifestazioni, colme di violentissimi slogan anti-ebraici, tenutesi a Malmö Vienna, Parigi e Lione. Inoltre il Jerusalem Post è stato tra i pochi organi di stampa a riportare l’annuncio di “una intifada da innescarsi a Malmö” reclamata dagli oltre duecento manifestanti che hanno sfilato nella città del sud della Svezia, i quali secondo la radio pubblica hanno più volte inneggiato alla uccisione degli ebrei.
A Malmö incidenti si verificarono nel 2008 e nel 2009, una città che ‘contribuisce’ molto al gruppo delle crescenti no-go zone avendo come Gothenburg e la capitale grosse porzioni dei sobborghi in pratica controllate dalle gang islamiche.
I più gravi scontri si sono avuti nel 2008 a causa degli associati della Islamiska Kulturföreningen (Associazione per la Cultura Islamica) nel quartiere di Rosengard allorquando non venne più rinnovato l’affitto dei locali per la suddetta associazione.
A quel punto i locali vennero occupati per settimane da decine e decine di giovani della Islamiska Kulturföreningen. Al momento dello sgombero delle forze di polizia queste ultime furono aggredite con sassaiole e continui lanci di fuochi di artificio, per due notti consecutive durò la rivolta costringendo la polizia a chiamare rinforzi anche dalle località vicine. Un modus operandi che permane tutt’ora visto che si è purtroppo allargato in moltissimi altri sobborghi del regno di Svezia.
Gli incidenti del 2009 presero a pretesto il match di Coppa Davis Svezia-Israele, da notare che in quei giorni si raggrupparono fino a 7mila persone appartenenti ai partiti di sinistra, ai gruppi di estrema sinistra, a varie organizzazioni degli immigrati musulmani e finanche ai gruppi neo-nazisti/negazionisti dell’ultra-destra. Un preoccupante annuncio di una possibile saldatura tra gruppi ideologicamente diversi ma uniti dall’anti-semitismo.
Foto: Alamy, Youtube, Getty, AFP e AP
Marco LeofrigioVedi tutti gli articoli
Nato a Roma nel 1963, laurea in Scienze Politiche, si occupa da oltre dieci anni di geopolitica, strategia, guerre e conflitti, forze armate straniere, storia navale, storia contemporanea, criminalità organizzata, geo-economia. Ha scritto decine di articoli, analisi e saggi su questi argomenti. E' membro attivo della Società Italiana di Storia Militare. Dal 2011 è co-autore, con Lorenzo Striuli, di diversi articoli di storia navale sulla Rivista Marittima della Marina Militare. Collabora fin dal 2003 con Analisi Difesa.