Israele verso un intervento diretto nella guerra in Siria?
Dopo i raid aerei israeliani in Siria in cui Gerusalemme ha visto, per la prima volta dall’Operazione Pace in Galilea in Libano nel 1982, un suo aereo da guerra abbattuto dalle difese aeree di Damasco, si fa più grave il rischio di un coinvolgimento diretto dello Stato Ebraico nel conflitto siriano.
Israele sostiene di aver inferto un duro colpo alle truppe siriane e iraniane anche se l’Osservatorio siriano per i diritti umani, Ong vicina ai ribelli anti-Assad basata a Londra, valuta che siano solo 6 i soldati di Assad rimasti uccisi nei raid che hanno colpito 12 obiettivi incluso l’aeroporto militare di al-Taifur (T-4), vucinoi a Palmyra, sede del comando congiunto siriano-iraniano che include anche le milizie scite libanesi Hezbollah e da dove sarebbe decollato il drone iraniano “stealth” (un Saeqeh, copia dello statunitense RQ-170 Sentinel abbattuto dagli iraniani sul proprio territorio nel dicembre) che Israele sostiene di aver abbattuto mentre sorvolava la Galilea (nelle foto sotto).
“Abbiamo inflitto dei duri colpi alle forze iraniane e siriane e continueremo a colpire tutti coloro che tentano di attaccarci” ha avvertito il primo ministro Benjamin Netanyahu.
Le incursioni aeree israeliane avrebbero colpito anche l’aeroporto di Khalkhar vicino alla cittadina di As-Suwayda, a circa 100 chilometri a sud di Damasco, e un deposito di armi vicino alla capitale.
Da quando è iniziata la guerra civile siriana, nel 2011, i raid di Gerusalemme sono stati almeno un centinaio tesi a colpire basi siriane e armi destinate dall’Iran al movimento Hezbollah libanese.
In questi anni Gerusalemme ha sostenuto i ribelli anti-Assad, anche di ispirazione jihadista, arrivando secondo diverse indiscrezioni addirittura a curarne alcuni che avevano sconfinato, feriti, sul Golan per sfuggire alle truppe di Damasco.
Israele si arroga da tempo il diritto di colpire in Siria obiettivi che considera legittimi poiché destinati a fornire capacità offensive ai suoi nemici Hezbollah e iraniani anche se lo stesso governo israeliano ha ammesso, per bocca del ministro per l’istruzione Naftali Bennet, che “l’Iran non ha alcuna divisione, brigata o battaglione in Siria, in nessuna delle aree rilevanti e la sua presenza militare è contenuta”.
Il generale Yoel Strick, alla testa del Comando Nord, ha ribadito che lo Stato ebraico “non permetterà all’Iran di arroccarsi in Siria” aggiungendo che Teheran “vuole stabilire una base avanzata in Siria con l’obiettivo di colpire Israele”.
L’acceso scontro in atto tra Iran, Siria e Israele su chi abbia dato per primo il fuoco alle polveri nella vicenda bellica che ha portato all’abbattimento di un cacciabombardiere F-16I Sufa (versione sviluppata appositamente per le forze aeree di Gerusalemme del cacciabombardiere F-16 nella versione biposto D) ad opera della difesa aerea di Damasco sembra quindi rientrare nel gioco delle parti ma potrebbe indicare il tentativo di Gerusalemme di accampare un “casus belli” per giustificare un suo più pesante intervento nel conflitto siriano.
Israele sostiene di aver abbattuto sul proprio territorio un drone iraniano decollato da una base in Siria e di aver risposto scatenando un’offensiva area di rara intensità, definita dal comando israeliano la più violenta dalle operazioni del 1982, che ha preso di mira le installazioni iraniane che gestiscono i droni ma anche le postazioni della difesa aerea siriana.
Damasco e Teheran negano che i propri velivoli teleguidati abbiano sconfinato sul territorio israeliano e affermano che il drone è stato colpito nella provincia di Homs, in Siria.
In base al concetto di autodifesa preventiva, Israele colpisce ovunque in Siria e Libano minacce anche solo potenzialmente rivolte contro il suo territorio ma per il diritto internazionale i raid sulla Siria sono violazioni della sovranità e veri e propri atti di aggressione.
Stesso discorso vale del resto per la presenza di truppe statunitensi in Siria (alcune migliaia di forze speciali e consiglieri militari) entrate nel paese per sostenere i curdi e altre milizie ribelli senza nessuna autorizzazione internazionale e certo contro la volontà del governo di Damasco che ha invece “invitato” gli alleati russi e iraniani.
Israele quindi non ha mai avuto bisogno di pretesti per colpire con i suoi jet in Siria o per violare lo spazio aereo libanese e proprio per questo la vicenda del drone iraniano potrebbe costituire una forzatura tesa a giustificare un intervento di più ampio respiro nel conflitto siriano o contro le milizie filo-iraniane o gli Hezbollah in Libano.
Che sia Gerusalemme a lamentare “intrusioni” e violazioni dello spazio aereo è paradossale tenuto conto dei numerosi raid condotti negli ultimi tempi ma anche in passato, quando i jet con la Stella di David distrussero installazioni strategiche in Siria e persino in Iraq.
Quanto agli Stati Uniti è bene ricordare che il già citato velivolo teleguidato stealth (invisibile ai radar) RQ-170 Sentinel decollato dalla base americana in Afghanistan di Kandahar nel dicembre 2011 e abbattuto dagli iraniani durante un volo di spionaggio sulle installazioni utilizzate dal programma atomico di Teheran.
L’impressione è quindi che il governo di Benjamin Netanyahu stia facendo le prove generali per premere sull’acceleratore militare, in sinergia con gli Stati Uniti che pochi giorni or sono hanno attaccato con raid aerei le truppe di Assad uccidendo un centinaio di uomini e forse anche numerosi contractor russi che affiancavano le forze siriane.
Una conferma ulteriore di come gli interessi di Washington e Gerusalemme non siano rivolti alla sconfitta delle milizie jihadiste quanto a impedire a coloro che sul terreno hanno davvero combattuto qaedisti e Califfato, cioè Assad e i suoi alleati russi e iraniani, di vincere il conflitto.
Valutazioni che dovrebbero imporre qualche riflessione anche all’Italia e ad altri Stati europei che aderiscono alla Coalizione a guida statunitense e, pur non schierando forze in Siria, rischiano di avvallare indirettamente l’ambigua politica degli Usa, mai come oggi in piena sintonia con Israele dopo la querelle sul trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme.
Gli sviluppi che potrebbero registrarsi a breve-medio termine vanno quindi da un’intensificazione dei raid aerei israeliani sulla Siria, con un coinvolgimento diretto in quel conflitto, ad azioni “punitive” contro Hezbollah nel Sud del Libano.
Opzione quest’ultima che dovrebbe preoccupare anche Roma che schiera a sud del fiume Litani oltre mille del 12 mila caschi blu che compongono la missione dell’Onu in Libano meridionale.
A raffreddare i piani per nuove avventure militari israeliani potrebbe provvedere Mosca, alleato di ferro di Assad a cui ha riorganizzato l’intera difesa aerea rendendola più reattiva e minacciosa anche per i jet israeliani che da oltre 35 anni sembravano “invulnerabili”.
I russi non solo gestiscono con propri consiglieri militari i radar e le batterie di missili antiaerei siriani, ma schierano a Latakya un poderoso apparato difensivo basato su sistemi missilistici a lungo raggio S-300 e S-400 coadiuvati da radar in grado di penetrare lo spazio aereo ben oltre i confini siriani e da apparati per la guerra elettronica che potrebbero aver dato una mano ai siriani ad abbattere l’F-16I.
Mosca si è detta ieri “profondamente preoccupata” e chiede alle parti di dare prova di “moderazione” per evitare un’escalation ribadendo che “è necessario rispettare in modo incondizionato la sovranità e l’integrità territoriale della Siria e degli altri Paesi nella regione”. Un monito a Israele che, pur se espresso con i toni della diplomazia, lascia intendere che la Russia non permetterà a nessuno di rovesciare le sorti del conflitto siriano che il suo intervento ha determinato.
Foto: IDF, Reuters, Ministero Difesa Russo e Forze Armate Siriane
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.