Il dialogo Kim-Trump è un buon affare per tutti
da Libero Quotidiano del 9 marzo 2017
L’apertura al negoziato con gli Stati Uniti annunciata dal regime nordcoreano rappresenta una vittoria per tutti i protagonisti della crisi coreana.
Kim Jong-un ottiene la dimostrazione concreta dei vantaggi determinati dal possesso di armi nucleari e missili balistici a lungo raggio. Dopo la “distensione olimpica” avviata con Seul, i colloqui con Donald Trump costituiscono infatti un implicito riconoscimento del ruolo di “grande potenza” della Corea del Nord. Un aspetto che Kim potrà spendere anche sul fronte interno consolidando il suo regime e presentando i “dividendi della pace” specie il prevedibile allentamento delle sanzioni e un miglioramento delle condizioni economiche del paese, come il frutto delle sue ambizioni militari.
Del resto Kim ha spiazzato tutti dichiarandosi “ansioso di incontrare Trump il prima possibile”, come ha ammesso il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, affermando che “In tutta onestà, questo cambiamento drastico del modo di pensare di Kim Jong-un ha sorpreso tutti noi “.
Il dittatore dimostra quindi uno spessore ben più elevato di quanto ci si aspettasse in Occidente dove è sempre stato definito “un pazzo” o addirittura una “testa di razzo”. Certo è ancora presto per eccedere nell’ottimismo e infatti i media nordcoreani (tutti controllati dal regime) finora non hanno diffuso la notizia del summit.
Un vertice che rappresenta una vittoria spendibile anche per Donald Trump perchè un successo in politica internazionale lo aiuterebbe ad allentare la pressione interna determinata dalla “spada di Damocle” del Russiagate, ma anche perchè il presidente (il quale ha reso noto che le sanzioni poste a Pyongyang permarranno fino al raggiungimento di un accordo) potrà definire i colloqui chiesti da Kim come il frutto della sua politica muscolare.
Valutazione che incoraggerà Trump a cercare successi analoghi anche nel confronto con l’Iran e per ottenere una pace credibile tra Israele e i palestinesi con il possibile evidente paradosso di un presidente che miete successi internazionali benché eletto nel nome di una politica isolazionista.
Lo sblocco della crisi coreana rappresenta inoltre una grande vittoria per la Cina che insieme alla Russia ha sempre sostenuto l’inevitabilità di un negoziato e il presidente Xi Jinping ha telefonato eri a Trump esortandolo ad “avviare al più presto il dialogo” con la Corea del Nord.
I negoziati verteranno sulla denuclearizzazione di Pyongyang, incoraggiati da un congelamento dei test atomici e missilistici che tranquillizzerebbe il Giappone (alla portata di centinaia di missili nordcoreani) e rassicurerebbe Seul che può vantare il merito politico di avere aperto la strada a questa svolta epocale dopo quasi 70 anni di tensioni lungo il 38° Parallelo.
Nei giorni scorsi Seul aveva annunciato che “il Nord ha chiaramente affermato il suo impegno per la denuclearizzazione della Penisola coreana e ha detto che non avrebbe motivo di possedere armi nucleari se venisse garantita la sicurezza del suo regime e rimosse le minacce militari”.
Il raggiungimento di un accordo credibile e duraturo dipenderà quindi dalle garanzie che Kim chiederà in cambio del disarmo atomico. Contropartite che potrebbero riguardare il ritiro o la riduzione delle forze Usa dalla Corea del Sud, 28 mila militari con centinaia di carri armati e cannoni e 60 cacciabombardieri. Quasi certamente sul piatto della bilancia ci sarà lo stop alle massicce esercitazioni congiunte Usa-Corea del Sud e il ritiro del sistema antimissile statunitense THAAD, schierati a sud di Seul e in grado di esplorare in profondità lo spazio aereo nordcoreano ma anche cinese.
Sviluppi che sarebbero di portata strategica anche per Pechino che, oltre a garantire a Pyongyang la protezione del suo ombrello nucleare, incasserebbe indubbi vantaggi dal ridimensionamento della presenza militare Usa in una regione che considera il suo “giardino di casa” e dove sta perseguendo un aggressivo programma di espansione militare negli arcipelaghi del Mar Cinese Meridionale e Orientale.
Foto: AFP/Getty Images e CNN
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.