Le compagnie militari private russe in Siria

Il presidente Putin, durante una visita alla base aerea di Khmeimim (Latakia), aveva proclamato a dicembre la “totale disfatta dell’ISIS in Siria”, nonché l’ennesimo, seppur ancor parziale, ritiro di truppe dal Paese.

L’annuncio è stato accolto positivamente dalle Compagnie Militari Private russe (ChVk, Chastnye Voennie Companiy) che, oltre a nuovi contratti per il rimpiazzo delle forze regolari, potrebbero incassare la tanto agognata legalizzazione. Tuttavia, l’attacco al compound “curdo-americano” e la morte di cittadini russi sotto i vessilli del Gruppo Wagner hanno fatto prepotentemente irruzione nell’intero processo. In vista delle elezioni presidenziali del 18 marzo “siamo ad un bivio”, dichiara l’analista Ivan Konovalov: o queste società cesseranno le loro attività, oppure otterranno una legge per la loro regolamentazione. Sostenitori ed oppositori stanno quindi battagliando per il futuro delle PMC.

 

Attacco alle SDF

 Nella notte tra il 7 e l’8 febbraio, un battaglione filogovernativo – 300-500 uomini – composto presumibilmente da miliziani locali, iracheni ed afghani a guida iraniana e contractors russi ha tentato di attaccare un’installazione delle milizie curdo-arabe Forze Democratiche Siriane (SDF) a Khusham, vicino a Deir Ezzor.

Nella base, a ridosso della linea di de-escalation, erano presenti anche forze speciali americane. Grazie all’intervento di artiglieria, cacciabombardieri F-15E, droni MQ-9, bombardieri B-52, cannoniere volanti AC-130 ed elicotteri Apache il convoglio di carri armati e mezzi nemici è stato annichilito. In circa tre ore di battaglia sarebbero rimasti sul campo un centinaio di morti e 200-300 feriti tra gli attaccanti. Tra di essi un numero imprecisato di russi.

Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov ha prontamente negato qualunque coinvolgimento del suo Paese e che i connazionali coinvolti appartenessero alle Forze Armate. Si sarebbe trattato piuttosto di mercenari, di cui però non disponeva ulteriori informazioni.

A Washington, pur con qualche perplessità, la posizione di Peskov è stata immediatamente accettata, ammettendo la possibilità di una forza che, seppur sostenuta da Mosca, abbia fatto di testa propria. I russi, infatti erano in contatto con gli americani prima, durante e dopo l’attacco tramite un’apposita hotline creata per scongiurare incidenti tra le due potenze. Il non aver tentato di fermare l’attacco aereo, lascia intendere che o non erano al corrente della presenza dei propri connazionali oppure non erano disposti ad ammetterlo.

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Nonostante tali “chiarimenti”, attorno alla vicenda aleggiano ancora diversi punti di domanda. Innanzitutto il movente dell’attacco: la vicina rete di giacimenti gasiferi – campo di Conoco – come obiettivo strategico ed economico, oppure un’opportunità per colpire i curdi già fortemente impegnati contro i turchi ad Afrin?

Si continua poi a indagare su committenti e mandanti del contingente privato russo: Mosca, Damasco, Teheran o altri? I media russi hanno avanzato l’ipotesi di esponenti dell’entourage di Assad: grandi imprenditori che hanno incaricato la Wagner di conquistare e proteggere raffinerie e giacimenti. Sarebbe anche emerso un ruolo fondamentale di Yevgeny Prigozhin, proprietario della compagnia energetica Yevro Polis LLC e – probabilmente – anche del Gruppo Wagner stesso.

Secondo l’intelligence americana, Prigozhin avrebbe riferito ai siriani di avere una “bella sorpresa” per Assad e “che sarebbe arrivata tra il 6 e 9 febbraio”. Avrebbe anche aggiunto di aver ricevuto “luce verde” da Mosca per un’iniziativa “rapida e risoluta” e di necessitare solo del via libera di Damasco.

Infine, l’ancor incerto numero di cittadini, contractors o mercenari russi caduti ed oggetto di speculazioni. Il primo ed approssimativo bilancio americano era di un centinaio di morti; Igor Strelkov, nazionalista volontario in Crimea e Donbass ha confermato l’annientamento di “due unità tattiche” Wagner: più di 200 uomini. Novaya Gazeta di 13 mercenari uccisi e 15 feriti; il Conflict Intelligence Team, invece solo di 8.

Mosca, attraverso la portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova avrebbe riconosciuto –  per la prima volta! – la morte di 5 connazionali e diversi feriti.  Feriti che, in condizioni gravissime, sarebbero stati trasferiti in ospedali militari a Mosca e San Pietroburgo. Secondo una recentissima inchiesta di Der Spiegel e di Euphrates Post, realizzata in due settimane di interviste a testimoni oculari sul posto, non solo non vi sarebbero vittime russe, ma gli uomini della Wagner non avrebbero nemmeno preso parte ai combattimenti.

 

Altri “incidenti”

 L’attacco alla base delle SDF è stato preceduto da alcune scaramucce di bassa intensità, originatesi durante un primo tentativo diurno di avvicinamento, attraversando l’Eufrate con un ponte di barche. Successivamente, sabato 10 febbraio un drone MQ-9 Reaper ha distrutto un carro armato T-72, appartenente alla stessa unità responsabile dell’attacco di un paio di giorni prima. Il supporto aereo ravvicinato è stato nuovamente richiesto dai “consiglieri” americani a terra, dopo che il mezzo corazzato era avanzato aprendo il fuoco contro di loro ed i curdi.

Inoltre, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ong vicina ai ribelli anti-Assad e con sede a Londra), il 13 febbraio una trappola esplosiva presso un deposito di armi  a Tabiya Jazira, a pochi chilometri dai “curdo-americani”, avrebbe ucciso 15 russi. Si tratterebbe di dipendenti di una compagnia di sicurezza privata incaricata di proteggere giacimenti gasiferi e petroliferi per conto del regime; pertanto non coinvolti nelle ostilità. Fatto confermato anche dai report di Der Spiegel.

 

Contractors in Siria

La presenza di contractors russi in Siria risalirebbe già al 2013 con la sfortunata vicenda dei 267 operatori della Slavonic Corps Ltd (subappaltatrice del Moran Security Group). Una débâcle, sia per batoste inflitte dai jihadisti che per mancanza di supporto ed inottemperanze contrattuali da parte dei committenti.

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Da allora, le voci sono andate moltiplicandosi e focalizzandosi infine sul misterioso Gruppo Wagner. Nonostante le continue smentite sulla sua esistenza, presenza in teatri operativi e caduti in azione le prove si sono fatte sempre più incontrovertibili. Dai misteriosi funerali e tombe in Russia alle dichiarazioni di amici e famigliari – “Il governo sta appoggiando un esercito privato, una private military company: il gruppo Wagner. Sono loro.”, fino ai prigionieri mostrati dall’ISIS e le sanzioni statunitensi che hanno colpito il gruppo ed il suo fondatore.

Tuttavia, in Siria opererebbe una PMC ancora più misteriosa, la cui esistenza è trattata con molta cautela perfino da media e web.

La PMC “Turan” sarebbe costituita da ex uomini dei reparti speciali kazaki, kirghizi, uzbeki, azeri, tagiki, turkmeni ecc. “Turan” significa infatti “terre dei turchi”, riferendosi ai Paesi dell’Asia centrale. Il gruppo si ispirerebbe a Tamerlano – condottiero e generale turco-mongolo – ed all’Impero timuride (1370-1507) da lui fondato.

Si tratterebbe di un’unità specializzata nella controguerriglia, con una forza tra gli 800-1.200 uomini; tutti musulmani e di età compresa tra i 30-50 anni. Una prima aliquota di 400 operatori avrebbe combattuto ad Hama, per poi proseguire verso Homs, Palmira ed altre zone. Dotati anche di armamenti NATO, sono stati più volte criticati per l’adozione di metodi brutali, non molto dissimili da quelli dell’ISIS.

 

Il Gruppo Wagner

Ben più “famoso” è il Gruppo Wagner, una compagnia militare privata con stretti contatti con il Cremlino. Creata nel 2014 da Dmitry Utkin, ex ufficiale delle forze speciali, deve il proprio nome al compositore tedesco di cui il fondatore è appassionato. Registrata in Argentina, ha il proprio quartier generale ed infrastrutture in una base dei reparti speciali a Molkino, nel Krasnodar. La PMC ha svolto un ruolo importante in Ucraina e Siria, in supporto alle Forze Armate russe.

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Presente nell’inferno damasceno dal settembre 2015, è stata determinante nella riconquista delle aree petrolifere di Palmira e Deir Ezzor. Si stima che il picco di effettivi sia stato tra i 1.500-2.000. Essi avrebbero raggiunto Damasco con voli del Ministero della Difesa o compagnie commerciali. Dalla base aerea di Khmeimim sarebbero stati poi trasferiti al fronte in elicottero. L’armamento in dotazione è costituito da armi leggere di fabbricazione sovietica o nord coreana, carri armati T-72 ed obici da 122 millimetri.

La paga, tra i 2.000 euro mensili per la truppa ed oltre i 3.000 per gli ufficiali, varia in base al grado ed all’intensità degli scontri a cui prendono parte. Da una recente intervista di France24, è emerso che l’arruolamento avviene tramite annunci sui principali social media e reclutatori che ricevono “ogni settimana 5 o 6 richieste”.

Per ogni reclutatore ci sarebbero “circa un centinaio di persone che stanno pensando di recarsi in Siria”. Dopo la notizia della morte dei connazionali per mano americana, l’interesse è cresciuto ulteriormente: “ora, si tratta più di vendetta che di denaro.”

Molti operatori sono veterani di Afghanistan, Cecenia, Caucaso e Donbass. Tra di essi vi sono anche cittadini di diversi Paesi dell’ex Unione Sovietica, soprattutto musulmani ceceni – impegnati in una vera e propria guerra civile in trasferta!– o turchi di confessione sciita, in grado di meglio integrarsi con le forze siriane.

I compiti principali della Wagner consistono nel prender parte agli assalti più duri, coordinandosi ed incorporandosi nelle unità siriane – a differenza delle forze regolari e speciali russe che lavorano da sole. Ad essa spetta anche la riconquista e protezione di giacimenti e strutture per l’estrazione di risorse energetiche, per conto di società russe come Stroytransgaz ed Yevro Polis LLC, a loro volta assunte da Damasco.

E’ stato pubblicato infatti un presunto contratto tra Yevro Polis LLC e la siriana General Petroleum Corporation, della durata di 5 anni, che prevede un 25% dei profitti di estrazione per la società russa. Questi servizi erano finora in gran parte affidati ad una PSC locale: la Brigata Desert Hawk..

 

Tutti gli uomini di Wagner

 Difficilmente si finisce nelle PMC per caso! Tale affermazione è quanto mai vera per il Gruppo Wagner. Sebbene non si possa parlare di “revolving door” (porta girevole: migrazione continua di alti ufficiali dalle forze armate verso business e politica) come nel caso delle PMSC occidentali, personaggi e giri di potere emersi risultano decisamente più torbidi.

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La società estrattiva Yevro Polis LLC è di Yevgeny Prigozhin, imprenditore di San Pietroburgo soprannominato “lo chef di Putin” per i ristoranti e società di catering che hanno più volte servito Cremlino e dignitari stranieri. In più di 10 anni di ottime relazioni con il Presidente-Primo Ministro russo, il business di Prigozhin si è espanso a servizi decisamente più strategici ed operativi.

Oltre alla ristorazione, infatti oggi la Yevro Polis LLC annovera anche estrazioni minerarie e produzioni gasifere e petrolifere, con tanto di sede a Damasco. Secondo l’intelligence americana si tratterebbe di una copertura per le operazioni del Gruppo Wagner in Siria, di cui lo stesso imprenditore sarebbe proprietario. Prigozhin è stato recentemente accusato dagli Stati Uniti anche di aver gestito una troll factory – persone impegnate nella fabbricazione di fake news per ingannare e creare confusione tra utenti del web e media – che ha interferito nelle elezioni americane del 2016.

Dmitry Utkin, fondatore e comandante del Gruppo Wagner, nonostante sia sempre stato negato ogni suo ruolo militare o istituzionale, è stato ricevuto al Cremlino nel Giorno dei Difensori della Patria (09/12/2016) ed insignito di onorificenze. Un evento sintomatico del suo ruolo e dei suoi uomini nella politica estera russa; degli ultimi cinque-sei anni almeno.

Visti gli stretti rapporti commerciali – il Concord Management and Consulting di Prigozhin è gestito da Utkin– e di amicizia tra i due, il ruolo del Gruppo Wagner andrà di certo espandendosi.

A chiudere il giro ci pensa Vladimir Putin che, stretto alleato di entrambi, trarrà benefici economici e politici sia dagli affari della Yevro che della Wagner.

Infine Inform Napalm, community internazionale di intelligence open-source sostiene di aver identificato l’ufficiale russo che ha guidato l’attacco del 7-8 febbraio: Sergey Kim, ex ufficiale dei fanti di marina russi ed ora sul libro paga della Wagner.

 

Evoluzione e legalizzazione delle PMSC russe

 Le PMSC (Compagnie Militari & di Sicurezza private) russe hanno origini molto antiche. Tuttavia, come per le controparti occidentali i periodi più significativi arrivano con la fine del confronto bipolare, l’11 Settembre e la Guerra al Terrore: crisi internazionali, grandi smobilitazioni di eserciti ed il rafforzamento dei controlli hanno riversato sul mercato un’elevata domanda ed offerta di professionisti della sicurezza.

così possiamo citare i “volontari” russi che hanno combattuto in Iugoslavia, coordinati dalla società di sicurezza privata Rubicon di San Pietroburgo, ma di certo non senza il benestare di Mosca, così come quelli in Transnistria e Nagorno-Karabakh. Oppure più recentemente in Crimea, Donbass, Siria, Afghanistan, Egitto e Libia (RSB-Group ha “sminato” per il generale Khalifa Haftar).

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L’ultima frontiera pare esser il Sudan, dove i primi operatori hanno iniziato a prender parte alla guerra civile, sia come addestratori che direttamente al fianco di Omar al Bashir. Una volta stabilizzata la situazione in Siria, una sostanziosa parte di contractors là dispiegati potrebbe dirigere verso Khartoum.

Attualmente, in Russia sono legali ed attive solamente le Private Security Companies (PSC), che si occupano di consulenza ed addestramento, investigazioni ed analisi, vigilanza, servizi di sicurezza e protezione di assets o personale in patria e all’estero; spesso, anche per la criminalità organizzata. Esse possono esser disarmate o ricorrere alle armi solo per legittima difesa.

Le Private Military Companies (PMC), invece operano dove PSC e truppe regolari non possono esser impiegate per vari motivi; diplomatici soprattutto! Pur risultando ancora illegali in patria, all’estero ne sono state create molte, principalmente in paradisi fiscali. Esse risultano decisamente vivaci: non solo al servizio di Mosca o compagnie di bandiera, ma anche di una nutrita schiera di società e governi stranieri. Molto simili alle PSC, la mancanza di una definizione globalmente riconosciuta, ha spinto gli accademici ad utilizzare come discriminante il cosiddetto “dito sul grilletto”.

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Le PMC, infatti partecipano direttamente ai conflitti, anche attraverso azioni offensive. Tali operazioni, illegali ed aborrite dalla comunità internazionale, sarebbero compiute attualmente da una sola società: il Guppo Wagner appunto.

Quella di Utkin risulta essere tuttavia più una realtà ibrida che una PMC; una forza speciale privata che esegue compiti militari su ordine del Cremlino e supervisione dell’FSB. Nel libro The Future War, Igor Popov e Musa Chamzatov operano un’interessante distinzione tra PMC e gruppi armati privati, definendoli come unità finanziate e dirette da oligarchi in una sorta di concezione feudale traslata alla modernità.

Secondo gli articoli 208 – Organizzazione di una formazione armata illegale – e 359 – Mercenari – del Codice Penale russo, la fornitura di servizi “mercenari” è illegale. L’unica condanna finora inflitta è quella nei confronti di Vadim Gusev e Evgeny Sidorov (dirigenti di Moran Security Group) per l’avventura siriana della Slavonic Corps.

Un tribunale ha condannato entrambi a tre anni di prigione, mentre nulla è stato emesso in capo agli operatori sul campo. Visto che in Russia esisterebbero almeno dieci compagnie che non possono definirsi semplicemente “di sicurezza”, bensì militari o addirittura mercenarie, è chiaro che in molti casi le autorità hanno chiuso uno o due occhi.

Per Mosca sussiste quindi un problema di legalità con uno dei suoi strumenti principali di politica estera occulta. Secondo Denis Korotkov di Fontanka, gli uomini di Wagner starebbero combattendo “dalla parte dei buoni”, contro gli estremisti in Siria. Tuttavia, il loro status incerto è inaccettabile. Quando la partecipazione diretta alle ostilità è intrapresa da una società privata, con catena di commando e responsabilità celate, è assolutamente “indecente”.

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Il travagliato processo d’istituzionalizzazione e legalizzazione delle PMC russe è ormai in corso da lungo tempo. Attraverso l’emendamento “Sulle Armi” (del 2008), che ha consentito alle compagnie energetiche Transneft, Lukoil e Gazprom di armare i propri vigilantes all’estero, si sono gettate le basi per la loro formazione. Nel 2012 sia il vice primo ministro, Rogozin che Vladimir Putin hanno espresso il loro supporto definendole “una modalità per implementare gli interessi nazionali, senza il coinvolgimento diretto dello Stato”.

Tra gli ulteriori steps, i più recenti ed importanti troviamo la bozza di legge di Gennady Nosovko e Oleg Mikheev di Russia Giusta (marzo 2016), l’emendamento alla Legge 53 (09/01/2017) che riconosce lo status legale di membro delle Forze Armate a chiunque combatta i terroristi all’estero e l’auspicio del ministro degli esteri, Lavrov (15/01/2018) affinché si regolino le attività delle PMC all’estero.

Parallelamente si starebbe spingendo per far adottare una regolamentazione anche ai Paesi dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

Attraverso una legalizzazione queste società verrebbero tolte dalla “zona [legale] grigia” in cui si trovano, potendo così combattere il terrorismo e supportare alleati e società di bandiera in maniera molto più semplice. Non solo, potrebbero anche operare in un lucroso mercato globale che esiste ormai da tempo; un’opportunità che la Russia si sta lasciando scappare, imbrigliando i propri cittadini in un “campo minato legale”.

Chi vuole lavorare nelle PMC, invece che rischiare provvedimenti legali, necessità di tutela, retribuzioni adeguate, coperture previdenziali, assistenza sanitaria e supporto alle famiglie in caso di decesso.  Da parte sua lo Stato, oltre ai propri obiettivi strategici, otterrebbe anche gli introiti legati allo sviluppo di un settore economico destinato a crescere rapidamente e vertiginosamente: si stima un immediato aumento di 500.000 posti di lavoro.

 

Conflitti interni ed escalations

Il processo di legalizzazione, secondo l’analista Yury Barmin ha da tempo scatenato “una battaglia interna” che sembra aver raggiunto il suo apice nell’attacco alle forze “curdo-americane”. Uno scontro che può esser ricondotto essenzialmente a due motivazioni principali. Da una parte i servizi di sicurezza – non solo in Russia! – sono da sempre restii a fare concessioni in tema di potere e monopolio dell’uso legittimo della forza. Dall’altra il Governo pare non aver ancora deciso a quale agenzia di sicurezza o ministero affidare le redini del settore: militari o servizi segreti? La questione è alquanto seria, infatti il controllo dovrà essere stringente ed efficace affinché tale forza privata non abbia, un giorno, a ribellarsi all’autorità centrale.

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Un’autorità centrale altamente accentratrice come quella creata da Putin. E così, quando un oligarca sostenuto dal Cremlino, per i propri interessi e la sua attività di “mercenariato freelancing”, decide di avviare una grossa operazione senza l’autorizzazione del Ministro della Difesa, i vertici militari non sarebbero intervenuti per fermare l’attacco aereo americano. Essi avrebbero definito quella di Prigozhin (nella foto a lato)  una “pericolosa iniziativa” che in un teatro così complesso, avrebbe potuto provocare una pericolosa escalation.

Di fatto, secondo numerosi osservatori, un’escalation ci sarebbe stata! Una forza per procura che attacca direttamente forze statunitensi rappresenta una significativa evoluzione nell’impiego di forze non convenzionali da parte del Cremlino. Inoltre, il fatto che gli Stati Uniti non abbiano reagito con maggior vigore nei confronti della Russia – non necessariamente manu militari – avrebbe stabilito un’ulteriore e pericoloso precedente. Nonostante il successo tattico, infatti il contrattacco americano non avrebbe scoraggiato sufficientemente la Russia dal reiterare tali impieghi di PMC.

Il Cremlino aveva già utilizzato tali formazioni in Ucraina e la debole risposta di Washington avrebbe permesso l’attacco di febbraio. Il passo successivo potrebbe esser quello di colpire o destabilizzare altri alleati in Europa orientale o Paesi Baltici. Fortunatamente, Mosca e Washington paiono aver dimostrato scarso interesse ad andare oltre i toni accesi ed , entrambi, hanno ritenuto più conveniente far dimenticare l’intera vicenda.

 

Social Media vietati per i contractors

Così come dai social media (Facebook, VKontakte e Odnoklassniki) sono trapelate notizie sui caduti in Ucraina e Siria che le autorità preferivano far passare in sordina, dalle stesse piattaforme sono emerse anche altre informazioni sensibili sulle PMC. Perciò, ad ottobre il Ministro della Difesa russa ha avanzato una proposta di legge con una serie di emendamenti che dovrebbero esser già entrati in vigore da inizio anno.

Al personale a contratto (kontraktniki) in servizio nelle Forze Armate russe viene fatto divieto di pubblicare sui social qualunque informazione personale, fotografia, video, geolocalizzazione e quant’altro possa pregiudicare la propria od altrui incolumità. Queste informazioni potrebbero esser utilizzate da terroristi, forze speciali o servizi d’intelligence stranieri. Grazie ad esse non solo è stata dimostrata la presenza di russi nel Donbass e in Crimea, ma hanno consentito addirittura di contattarli personalmente.

 

“Pedine sacrificabili” o quasi

Indipendentemente dall’effettivo numero di contractors russi caduti nel recente attacco, a rivelare che la campagna siriana non fosse propriamente un’operazione low-cost in termini di vite umane, ci avevano già pensato amici e famigliari delle vittime.

Nonostante infatti le autorità li avessero invitati da tempo a mantenere il massimo riserbo, anche attraverso accordi di riservatezza, risarcimenti (circa 40.000 euro) ed inviando addirittura funzionari a casa loro, per settimane, per “proteggerli” dai reporter, qualcosa è cominciato a trapelare. Prima i certificati di morte rilasciati dal consolato di Damasco e pubblicati dalla Reuters, secondo cui 131 cittadini russi – di cui almeno 26 contractors –  erano morti in Siria nei primi nove mesi del 2017.

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Poi qualcuno ha iniziato a ribellarsi per segretezza o depistaggi sulla sorte dei propri congiunti.

Tutto lo sconforto e sfiducia nella politica è stato così raccontato ai media: “Non abbandoniamo i russi” ha detto una volta Putin “Io c’ho creduto. Ora ho capito che erano tutte menzogne. Maledetta la Wagner e tutti loro.” ha detto un reclutatore intervistato da France24 secondo il quale attualmente “ci sono 150 cadaveri nelle celle frigorifere della base della Wagner in Russia. “In che stato? ‘carne tritata’ mi è stato detto.” Nulla è stato comunicato alle famiglie, per ora: Niente accadrà prima delle elezioni presidenziali del 18 marzo”.

Sul Cremlino hanno iniziato a piovere anche le critiche dell’opposizione. Grigory Yavlinsky, del partito Yabloko ha dichiarato “se ci sono stati numerosi cittadini russi caduti in Siria, le autorità competenti, tra cui lo Stato Maggiore delle Forze Armate, ha il dovere di informare il Paese e di assumersene le responsabilità,”.

 

Qualche considerazione

 Rispetto all’immagine del 20° secolo di “grosso martello” alla continua ricerca di nemici da schiacciare, le odierne Forze Armate russe impiegano il proprio potere militare con maggior discrezione, agilità e parsimonia. Una nuova forma mentis completata da un salutare timore per un eccessivo impegno, sovraestensione e pantani. Consapevole dei propri limiti economici, di risorse umane e contrasti da parte dell’Occidente, Mosca preferisce perseguire i propri obiettivi con metodi non convenzionali o un mix di convenzionale-non convenzionale.

L’intervento in Siria, tra le altre cose, ha permesso di allestire e testare questa combinazione estremamente flessibile ed eterogenea: forze regolari e speciali, volontari, milizie alleate (locali, iraniane, Hezbollah) e mercenari-PMC in grado di collaborare magistralmente. Le PMC sono così diventate un perno fisso della moderna strategia militare russa.

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Il loro utilizzo consente al Cremlino di poter esercitare un’opzione di negazione plausibile, evitando responsabilità per azioni da esse compiute.

Uno stratagemma questo, insito nella propria tradizione militare e d’intelligence conosciuto con il termine maskirovka – “mascherare” o “cammuffare”. Diversivi, operazioni clandestine e psicologiche, disinformazione, propaganda e soprattutto forze irregolari consentono di sviluppare resilienza, effetto sorpresa e confondere i nemici.

L’utilizzo di signori della guerra locali e/o gruppi criminali, tuttavia non si è sempre rivelata la scelta migliore; basti pensare alla serie di ribelli del Donbass che il Gruppo Wagner avrebbe assassinato perché troppo irrequieti!

Diversamente, PMC e loro addestratissimi operatori consentono maggior controllo ed efficienza operativa. Considerando inoltre che le Forze Armate russe sono afflitte da una cronica mancanza di effettivi – 900.000 uomini in totale (di cui 300.000 di terra) sono relativamente pochi rispetto al territorio da difendere – e d’esperienza, contractors esperti e professionali risultano nuovamente l’opzione preferibile.

Dato che il cliente per eccellenza delle PMC è lo Stato “contraente”, esso dovrebbe sobbarcarsene le responsabilità, così come dovrebbe assumersene la propria quota lo Stato “ospitante”, sul cui territorio esse operano. Anche lo Stato “di registrazione” dovrebbe fare la propria parte, controllandone attività e meccanismi di licenza e di addestramento.

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Invece, in fatto di responsabilità vige ancora una forte confusione che permette meccanismi di elusione. Ad esempio, il dispiegamento di “patrioti”, “volontari” o forze non convenzionali come gli “uomini verdi” in Crimea nel 2014, ha consentito a Mosca di aggirare le leggi internazionali, senza alcuna o significativa ripercussione.

Nonostante media alquanto compiacenti e propaganda interna, anche in Russia le guerre sono ormai impopolari. O meglio, esse devono esser di tipo “post-eroico”: rapide ed indolori. Il ricordo dei 14.000 caduti della guerra russo-afgana o in Cecenia è ancora molto vivo e come sostiene Mark Galeotti dell’Institute of International Relations di Praga “i russi non sono molti entusiasti all’idea di un impero che restituisca i propri ragazzi in sacchi di plastica. A tal fine si cerca di ridurre al minimo i “boots on the ground” e le perdite attraverso forze “sacrificabili” che non impattino sul supporto politico interno né sulla capacità operativa.

Dal punto di vista economico l’uso di Private Military Companies può esser vantaggioso solo per compiti specifici. Esse non possono sostituire l’Esercito” sostiene Vladimir Neyelov del Center for Strategic Trend Studies. Tuttavia, una volta terminato il contratto le PMC non comportano più alcun costo. Inoltre, il finanziamento della missione della Wagner non sarebbe solamente a carico dello Stato, ma anche di una serie di privati che hanno tutto l’interesse affinché tali operazioni si diffondano.

Alla luce di tutti questi aspetti, finora la Russia ha preferito un atteggiamento attendista e dilatorio ad una chiara politica sulle PMC. La decisione finale potrebbe dipendere da numerosi fattori tra cui le relazioni con l’Occidente nell’era Trump (si spera ancora in un loro miglioramento!), Brexit, vittorie di partiti populisti ed antieuropeisti nell’UE, stabilizzazione della Siria ecc. E’ perciò ancora troppo presto per capire ruoli ed evoluzioni delle PMC russe oltre a semplici supposizioni.

Foto: Web, Twitter, Getty Images, Reuters e Youtube

 

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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