Luci e ombre sulla Legge di programmazione militare francese 2019-2025

Presentato in Consiglio dei Ministri l’8 febbraio 2018, il progetto di Legge di programmazione militare 2019-2025 conferma il rilancio dello sforzo militare francese, già abbozzato dopo gli attentati dell’islamismo politico sul territorio nazionale.

È atteso ancora da due passaggi parlamentari. Studiato in Commissione difesa e forze armate dell’Assemblea Nazionale il 12 e il 13 marzo, passerà il vaglio dell’emiciclo nella settimana del 19 marzo, per giungere in senato a maggio e ricevere l’approvazione definitiva a fine giugno o durante la sessione straordinaria, che termina a metà luglio. Al parlamento spetterà il controllo sull’esecuzione di una LPM che si vuole ambiziosa, ma che è zeppa di incognite. Cominciamo dalle ambizioni.

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Ammodernare gli equipaggiamenti e aprire alla cooperazione europea sono fra le priorità del documento, ferma restando «l’autonomia strategica della Francia» e un «modello completo di forze armate» alla francese, dalle capacità quasi globali. Parliamo di forze armate di una media potenza, che si interessa sempre maggiormente ai partner europei.

Che siano partner storici, come Gran Bretagna e Germania, nell’ambito dell’intesa di Lancaster e del Consiglio di Difesa franco-tedesco, o partner “nuovi”, come Spagna e Italia, citate espressamente dalla LPM come nazioni capaci di «proiettarsi con un ampio spettro di capacità».

Quanto basta a «giustificare un approfondimento delle relazioni bilaterali». Conformemente all’Iniziativa europea d’intervento voluta dal presidente François Macron, la Francia si dice disponibile «a sviluppare cooperazioni anche con altri partner europei, che abbiano un idem sentire strategico, s’impegnino spesso negli stessi teatri d’operazioni della Francia e dispongano di capacità di nicchia su segmenti minori ma necessari».

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Una visione utilitaristica, in cui Parigi si concepisce come il centro nevralgico delle dinamiche europee, per influenzarle e «creare una cultura strategica comune», sfruttando la sua posizione di leadership in alcune «capacità discriminati a forte valore aggiunto», sorta di atout galvanizzante e federatore «di coalizioni».

È una concezione elitaria e pragmatica della difesa europea, macrocosmo della proiezione di potenza francese: «l’interoperabilità fra eserciti europei volontaristici costituisce un fattore chiave di successo, in particolare per le missioni più esigenti o per il sostegno alle nostre operazioni» (vedi PDF 1, p. 52). Il concetto di autonomia strategica, mitigato da un filoeuropeismo crescente, ricorre quasi ossessivamente nella LPM. «Preservare una base industriale e tecnologica della difesa performante è condizione della nostra autonomia» e passa da investimenti a lungo termine nella ricerca e nello sviluppo, dalla protezione del potenziale «scientifico e tecnologico francese e dal sostegno all’export».

 

Tra il dire e il fare

La LPM inizia promettendo risorse aggiuntive per la ricerca tecnologica militare di base, che dal 2022 riceverà un miliardo di euro l’anno, contro i 730 milioni medi della precedente LPM 2014-2019. I settori prioritari saranno la «robotica, l’intelligenza artificiale, la generazione di energia, l’ipervelocità, la furtività e la cibernetica» , da cui arriveranno le prossime rotture tecnologiche e il predominio operativo.

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Ma fino al 2022, non ci sarà un euro in più rispetto ai 730 milioni di partenza e a dire il vero il minimo indispensabile sarebbe stato 1,5 miliardi l’anno, non uno, anche se è molto più di quello che fa l’Italia, ferma a circa 150 milioni l’anno. I fondi ‘tecnologici’ della LPM serviranno anche a innervare il tessuto innovativo e i crediti d’investimento su fondi propri dello strumento Definvest.

Quest’ultimo è strutturato per le piccole e medie imprese, ma sarà affiancato da uno strumento apposito per stimolare le piattaforme innovative, attraverso il potenziamento del Defense Lab della DGA (Direzione nazionale per l’armamento), il grande federatore francese, che potrebbe funzionare sulla falsariga dei contratti SBIR americani (Small Business Innovative Recherche), aperti a partenariati con il mondo delle start-up e con «l’ecosistema delle innovazioni civili»  Nulla di strano, visto che concetti come intelligenza artificiale, big data o informazione quantistica stanno correndo velocissimi soprattutto nella ricerca aziendale civile.

Un mini-colbertismo del XXI secolo, sotteso a «nuova dinamica europea», che permetterà economie di scala e stimolerà la ricerca di cooperazioni decise e precise, in cui i francesi sono disposti a impegnarsi, sfruttando le opportunità finanziarie del nuovo fondo per la difesa Ue, mutualizzando dove possibile «con un grado d’interdipendenza variabile a seconda delle tecnologie coinvolte». Europa sì, ma caso per caso, senza cedere sfere di sovranità e predominio tecnologico.

Ecco allora possibili e previsti dalla LPM molti programmi cooperativi che non «afferiscano direttamente alla sovranità nazionale», e che saranno lanciati e concepiti prioritariamente «in un’ottica europea», anche perché la sostenibilità dei conti pubblici non permetterebbe altrimenti.

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Alcuni di questi programmi sono già avviati da tempo. Nei dettagli, la LPM cita l’UAV MALE europeo (Eurodrone), in collaborazione con la Germania, l’Italia e la Spagna; conferma di voler approfondire «l’eventuale cooperazione esplorativa» con l’Italia per il design delle unità da supporto logistico FLOTLOG, partendo verosimilmente dal nostro programma Vulcano di Fincantieri e di continuare a sviluppare con il Regno Unito i futuri cacciamine SLAMF, il cruise antinave leggero e un sistema di sistemi da combattimento aereo futuro, più una sequela di programmi che ruotano intorno all’asse prioritario franco-tedesco, partendo dai nuovi sistemi terrestri e spaziali per la sorveglianza dello spazio eso-atmosferico.

Un settore che «riveste un interesse strategico primario». La lista finisce con l’aereo di sesta generazione SCAF-Avion-NG e gli studi in fieri per un successore dell’MBT Leclerc, sempre con Berlino, con cui è avviata anche la produzione di un nuovo sistema di artiglieria.

 

Pochi atout e tante vulnerabilità. Un elenco di promesse

La LPM promette uno strumento di «Difesa più agile, più reattivo e più resiliente», puntando su un modello sostenibile, rinnovato e dotato di capacità che permettano di conservare un vantaggio strategico nell’intelligence, nelle operazioni cibernetiche, nella condotta delle operazioni, nel gruppo aeronavale e nella dissuasione nucleare.

Sulla carta, prevede un fabbisogno di 294,8 miliardi di euro, spalmati su 7 anni, con l’obiettivo di riservare alla difesa il 2% del PIL nel 2025). Ma si articola su due sequenze temporali, intervallate da una «revisione» programmatica nel 2021.

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La prima sequenza corre dal 2019 al 2023. Garantisce risorse per 197,8 miliardi, le uniche già iscritte nella legge di programmazione di finanza pubblica. Salvo agguati molto probabili di Bercy (il famigerato Ministero delle Finanze), gli stanziamenti annuali del periodo potrebbero essere confermati o meno.

Il bilancio annuale della funzione Difesa, pensioni escluse, salirà così l’anno prossimo a 35,9 miliardi di euro, l’1,84% del PIL, con un incremento di 1,7 miliardi rispetto al 2018. Mantenendo lo stesso tasso di crescita fino al 2022, si raggiungerà quota 41 miliardi. Un regime sostenuto, anche se inferiore a quanto auspicato un tempo dal duo Le Drian-De Villiers, che propugnavano di non scendere sotto quota due miliardi l’anno di incrementi immediati.

Dal 2023 e per gli anni successivi, gli aumenti annui del bilancio dovrebbero attestarsi sui 3 miliardi di euro ed il budget salire nel primo anno a 44 miliardi, l’1,91% del PIL. Ma a nessuno sfuggirà che il mandato di Macron scade nel 2022 e le promesse della LPM potrebbero non essere gradite agli sfidanti, vincitori potenziali dell’elezione presidenziale, già prevista a quella data.

E infatti la LPM è vaga: «le risorse per gli anni 2024 e 2025 saranno precisate nel corso della revisione della LPM nel 2021, quando si valuterà la situazione macroeconomica del Paese, con l’obiettivo di arrivare al famoso 2% del PIL nel 2025» e al picco di 50 miliardi di euro per la funzione Difesa. Una traiettoria finanziaria inedita dal 1996, che esigerà una volontà politica di ferro e una guerra d’usura con Bercy e il Ministero dell’Action et des Comptes publics.

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Per ora nulla è inciso sul marmo, e l’imprevedibilità è dietro l’angolo, dopo l’esperienza delle ultime leggi di programmazione militare che si sono tradotte sistematicamente in poste annue minori di quanto previsto dall’ampollosità dei testi programmatici. Tenuto conto dei bisogni delle forze armate francesi dopo 25 anni di tagli, quel 2% del PIL sarebbe una quota auspicabile, oggi ferma all’1,78%.

Era lo sforzo che Parigi faceva agilmente nel 1996. Oggi sembra una chimera ovunque. A titolo di paragone, le spese sociali del Paese assorbono il 31% del PIL, in maniera del tutto legittima certo. È solo una questione di scelte e di ambizioni. Sulla carta si promette di rilanciarle, ma le forze armate non potranno più contare sui fondi interministeriali per saldare il conto in eccesso delle operazioni all’estero e in casa.

Il ministero della Difesa dovrà progressivamente accollarsi l’integralità dei costi OPEX e MISSINT, che riducono già da ora la valenza economica della LPM 2019-2025. In pratica, i militari dovranno fare le guerre, se richiesti, e pagarsele di tasca propria.

La LPM prevede già di destinare una quota non indifferente delle risorse ventilate alla copertura delle missioni internazionali e interne. Nel 2019, se ne andranno così 850 milioni di euro, e nel periodo 2020-2023, saranno prelevati fino a 1,1 miliardi l’anno dal bilancio della Difesa.

Solo i costi in eccesso saranno parzialmente finanziati dagli altri ministeri. Tradotto vuol dire che se ti paghi le missioni avrai meno risorse per i militari e per le spese di equipaggiamento. Senza contare che la dissuasione nucleare sottrarrà altre risorse alla rigenerazione delle forze convenzionali, visto che ipotecherà fra il 2019 e il 2025 37 miliardi di euro.

 

La centralità delle forze nucleari per la Francia

Il nucleare militare rimane «il perno della nostra strategia nazionale», recita il documento, anche a vantaggio della NATO e dell’UE. Sarà rafforzato e ammodernato. La componente oceanica (FOST) terminerà di ricevere i sottomarini lanciamissili di nuova generazione (SNLE-NG), con missili in evoluzione incrementale, tanto che nel 2025 dovrebbe entrare in linea l’M51.3 e, successivamente, una «futura versione», che sarà ovviamente l’M51.4. Si tratta di missili dalla gittata maggiore dei precedenti, che compensa solo in parte la riduzione delle pattuglie permanenti, ormai in atto da venticinque anni.

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Prima del 1991, la FOST aveva 6 SNLE, scesi a cinque subito dopo la fine della guerra fredda e a quattro dal 1997 in poi. Il che significa un solo sottomarino, massimo due in mare. Gli SNLE francesi continueranno a essere quattro.

Ma la LPM lancerà almeno la fase di realizzazione di un sottomarino nucleare lanciamissili di terza generazione, che ha già beneficiato di finanziamenti precedenti per la fase concettuale. Un progetto che sarà gelosamente nazionale, a dispetto dell’apertura europea su altri segmenti meno strategici. Complementari alle operazioni della FOST sono i navigli per la guerra di mine, i sottomarini nucleari d’attacco, gli aerei da pattugliamento marittimo ATL-2, le fregate e le rifornitrici, che stanno conoscendo una fase avanzata di rinnovamento, come vedremo meglio dopo. Anche la componente nucleare aeroportata (FAS) continuerà ad evolvere con la LPM. Nel 2018 saranno radiati i Mirage 2000-N e la FAS passerà a un unico vettore, il Rafale.

Beneficerà dei lavori di manutenzione di mezza vita dei missili aria-terra a media gittata migliorati (ASMP-A), condivisi con la FANu, la forza aeronavale nucleare, messa in opera dai Rafale M delle squadriglie imbarcate su portaerei.

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La LPM prevede di proseguire gli studi sul successore dell’ASMP-A, per ora qualificato come ASN 4G (Air Sol Nucléaire de 4e Génération), un missile che lavorerà senz’altro nello spettro ipersonico, per accrescerne la sopravvivenza di fronte all’avanzamento dei SAM double digits e delle barriere A2/AD. La LPM non dimentica di finanziare l’aggiornamento continuo dei sistemi di sicurezza e dei mezzi di trasmissione che permetterebbero di lanciare gli strike nucleari, se mai necessario.

Le FAS e le FANU beneficeranno al tempo stesso dell’arrivo tanto agognato, e confermato dalla LPM, dei tanker MRTT. Osserva acutamente Alexandre Papaemmanuel, del think tank L’Hétairie: «l’autonomia strategica costa, riducendo al tempo stesso il valore del traguardo del 2% del PIL». E in Francia c’è un dibattito annoso sul ridimensionamento ulteriore della «force de frappe».

 

Il cantiere aperto del «legame nazione-forze armate»

Fatte le debite premesse, il progetto 2019-2025 prevede il lancio di un «servizio nazionale universale», ancora imprecisato, ma destinato a rinsaldare i legami fra la nazione e le forze armate. La situazione è fluida e i pareri divergono. Un rapporto informativo dei deputati Marianne Dubois e Emilie Guerel ipotizza una settimana all’anno fin dalle scuole medie, poi un’altra tappa a 16 anni e un percorso più personalizzato dopo i 18 anni, un trimestre «non obbligatorio ma formativo», non necessariamente in strutture militari, essendo il servizio di carattere universale http://www.assemblee-nationale.fr/15/rap-info/i0667.asp

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Per mettere ordine alle file sparse, il presidente Macron è dovuto intervenire il 13 febbraio, ribadendo l’obbligatorietà del servizio universale, per un periodo che varierà da un trimestre a un semestre.

Abbiamo capito che il dibattitto è aperto e in corso, che la questione è ormai politica e sociale più che strategica. Tanto è vero che è stato istituito un gruppo di lavoro ad hoc presieduto da un generale. Anche vi si parla più di finalità socio-educative che di cultura militare

Ne conosceremo il dossier a fine aprile, poi Macron terrà un discorso a giugno e la sperimentazione del tutto inizierà non prima del 2019. Come sarà chiaro è la prima sconfitta politica del Presidente, che vagheggiava un ritorno impossibile alla leva, almeno fin quando era candidato.

 

Potenziamento per intelligence e cyber

Ma torniamo subito alla cura del soldato di cui si occupa la LPM. Il Ministero della difesa potrà assumere 6.000 effettivi entro il 2023, metà dei quali civili. Settecentocinquanta uomini andranno a infoltire la missione sicurezza e protezione, 400 saranno destinati alle funzioni di sostegno all’export.

Ma il grosso dei nuovi entranti potenzierà due settori prioritari per la LPM e non solo, l’intelligence e la difesa cibernetica, che assorbiranno ciascuno 1.500 effettivi entro il 2025. La funzione intelligence/ricognizione sarà potenziata in tutti i segmenti, a partire da quello spaziale, che vedrà l’arrivo entro il 2025 degli ultimi 2 satelliti del sistema di osservazione multinazionale MUSIS, per l’acquisizione di immagini ad altissima risoluzione, cui si sommerà il completamento a fine 2020 del CERES, altro sistema spaziale per «cartografare le attività elettromagnetiche globali».

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Un sistema di ascolto di cui è previsto un successore, che sarà ordinato nel corso degli anni coperti dalla LPM. Quest’ultima insiste moltissimo sulle capacità francesi di monitorare lo spazio eso-atmosferico, perché dalla sua sorveglianza derivano la sicurezza dei sistemi spaziali operativi e la discrezione delle operazioni militari.

Prevede di ammodernare in via prioritaria i mezzi GRAVES e SATAM per il monitoraggio delle orbite basse, sfruttando le opportunità di cooperazione europea. Grazie ai crediti dell’iniziativa europea EUSST (European Union Space Surveillance and Tracking), i francesi potranno aggiornare quasi gratuitamente i radar GRAVES e averli pronti intorno al 2020-2021.

Parliamo di un sistema quasi unico al mondo, americani esclusi, che permette al comando spaziale francese di seguire e catalogare i satelliti che orbitano fino a 1.000 chilometri di quota. GRAVES fa intelligence militare, con l’elaborazione della situazione spaziale.

Ha segnalato nel 2017 un grave caso di spionaggio satellitare, quando diversi satelliti francesi sono stati avvicinati da «oggetti classificati come satelliti da ispezione». Così come concepito ora, non è in grado di osservare l’integralità dei satelliti, perché ha un livello di detezione di circa un metro. Con l’upgrade si dovrebbe arrivare a cinquanta centimetri, ancora insufficienti per monitorare i nanosatelliti, qualcosa che richiederebbe un’altra tecnologia e un sistema radar completamente diverso.

L’intelligence multispettrale sta facendo progressi notevoli in Francia, grazie ai lavori della Direzione dell’Intelligence Militare e dell’ONERA (Office Nationale d’Études e de Recherches Aérospatiales), che ha concepito anche il GRAVES e lo aggiornerà. I francesi stanno riflettendo inoltre sulle tecnologie relative ai big data per potenziare il trattamento gigantesco delle masse d’informazioni d’intelligence che promettono i nuovi sistemi, federando un insieme di sensori radar e optronici. Oltre il 2025, faranno evolvere il Sistema informativo delle forze armate SIA, integrandovi «le potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale e dal Big Data»

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Un mezzo promettente per garantire «la fluidità degli scambi fra il livello operativo e tattico, mantenendo la superiorità informativa» in uno scenario di minacce cyber crescenti e di moli enormi di dati. E veniamo al cyber. La LPM prevede di aumentare di 1,6 miliardi di euro l’anno il bilancio per la cyber-difesa, salari esclusi, rafforzando le capacità del Centro di analisi per la lotta informatica difensiva (CALID) e dei centri operativi per la sicurezza delle forze armate (SOC).

Viene confermato quanto di buono fatto nel campo cibernetico dall’ex ministro della Difesa Le Drian e dalla LPM 2014-2019, che avevano permesso di inaugurare il Polo di eccellenza cyber di Rennes e gli uffici di expertise cyber di alta sicurezza sul sito della DGA-MI (Direction Générale de l’Armement – Maîtrise de l’Information) a Bruz, senza dimenticare le cattedre dedicate allo spazio cibernetico nelle scuole di eccellenza militari, l’implementazione di un «Pacte Défense Cyber», imperniato su 50 provvedimenti, la creazione di un comando cibernetico ad hoc (CYBERCOM) e così via. Uscita in concomitanza con il «libro bianco» della difesa cibernetica, la nuova LPM conferma che la Francia svilupperà la sua dottrina sul cyberspazio, in termini difensivi e offensivi, se necessario.

Assumerà una postura «cyber permanente» e la lotta informatica offensiva farà sistematicamente parte «dell’appoggio alla manovra delle forze», offrendo opzioni alternative o complementari agli «effetti dei sistemi d’arma convenzionali».

 

L’Armée de Terre si rinnoverà

L’altro obiettivo numero uno della LPM è «rigenerare» le forze armate convenzionali, dopo anni di operazioni intense e poste di bilancio non adeguate. Una «rigenerazione» che passerà da un incremento del 71% dei crediti destinati alle infrastrutture, mentre alla manutenzione dei mezzi, ancora più essenziale per un paese in guerra su due fronti, andrà un + 30% di risorse e agli equipaggiamenti di coerenza un +34%. Saranno rinnovate le capacità operative e accelerati i programmi. Ma non è oro tutto quel che luccica.

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Se i crediti previsti saranno rispettati e correttamente eseguiti, l’Armée de Terre farà un balzo in avanti nella sua trasformazione. Jean-Pierre Bosser, capo di stato maggiore dell’esercito, l’aveva chiesto a più riprese durante le audizioni parlamentari. La LPM dovrebbe accontentarlo, visto che il programma SCORPION (Synergie du contact renforcée par la polyvalence et l’infovalorisation) sarà non solo accelerato ma arricchito. Se tutto andrà come promesso, l’esercito francese del 2025 potrà contare su una Forza operativa terrestre di 77.000 uomini.

Una conferma del piano Au Contact, lanciato nell’estate del 2016 per rivisitare l’ordine di battaglia dell’Armée de Terre. Il nuovo formato da 66.000 a 77.000 uomini ruota intorno a un nuovo concetto di forza operativa terrestre, la forza SCORPION. Più complessa del vecchio modello, la nuova struttura integra un comando di livello divisionario con due nuove formazioni, la prima divisione di Besançon e la terza divisione di Marsiglia, che allineano ciascuna una brigata blindata, una mediana e una specialistica. Formazioni che si accompagnano a un rinnovamento dei materiali e dei sistemi d’arma.

A partire dal segmento individuale, che comprende l’evoluzione del programma FELIN, con un’attenzione particolare al peso del kit, che nella nuova variante promessa dalla LPM dovrà scendere da 30 a 13 kg, abbinato all’integrazione della nuova radio digitale Contact, con 8.400 nuovi posti da consegnare entro il 2025, alla sostituzione del fucile standard FAMAS con l’HK-416A5 e del missile MILAN con quello a media gittata MMP, in seno alle unità anticarro.

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Entro il 2025 dovrebbero essere così consegnati 93.000 HK-416F, più dei 60.000 previsti a quella data dalla LPM 2014-2019 attualizzata, ma bisognerà aspettare il 2020 prima che tutto il personale in operazioni oltreconfine riceva una protezione balistica moderna e almeno il 2024 perché ne sia dotata l’insieme della forza operativa terrestre.

Un po’ si avanza e un po’ si temporeggia. Nel 2025, però i MILAN potrebbero essere definitivamente radiati, visto che dovrebbero essere in linea 1950 MMP. La LPM promette molto per il segmento mediano, una delle colonne portanti di SCORPION, che comprende diversi programmi per la sostituzione di vecchi mezzi, a partire dal Veicolo Blindato Multiruolo VBMR Griffon, che deve pensionare i VAB dall’età media quarantennale; il Veicolo Blindato Ruotato-Cannone VBRC Jaguar, chiamato a rimpiazzare gli ERC-90 Sagaie, i VAB Hot e gli AMX-10RC; la rivalorizzazione di un parco di VBL e di carri con il VBL XLR e il Leclerc XLR.

Entro il 2025, recita la LPM, «sarà stata consegnata la metà dei veicoli del segmento mediano, vale a dire 936 Griffon, 150 Jaguar, 122 Leclerc ammodernati e 489 veicoli blindati multiruolo leggeri VBMR-L» (vedi PDF 1, p. 35), un 4×4 blindato della classe 10-12 tonnellate che il duo Nexter-Texelis produrrà nel ruolo di veicolo da comando tattico, da ricognizione e sanitario. Anche i francesi si sono accorti che è meglio mettere sotto blindatura quel che ancora rimane imprudentemente non protetto fra i veicoli di appoggio e sostegno, vale a dire il 60% dei mezzi combat dell’Armée de Terre a fine 2017.

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All’orizzonte 2030, potrebbero esser pertanto in linea 1872 Griffon, 300 Jaguar, 200 Leclerc rinnovati e 978 VBMR-L. Il Leclerc XLR sarà l’unico cingolato, aggiornato con l’integrazione di nuovi sistemi imbarcati, come la radio Contact, che permette collegamenti vocali e di dati protetti fra tutti gli elementi dello spazio di battaglia, dal soldato FELIN al Griffon, più il C4I del SICS, l’interfaccia uomo macchina presente in tutti i veicoli di quarta generazione, oltre a vari sottosistemi e alla torretta remotizzata SCORPION con una mitragliatrice da 7,62mm e la capacità di fuoco con munizioni intelligenti.

L’insieme di questi veicoli migliorerà le capacità combat dei gruppi tattici interarma (GTIA) nel campo della protezione, della tempestività del fuoco e dell’interoperabilità. Il primo GTIA SCORPION dovrebbe raggiungere la capacità operativa iniziale nel 2021 e la prima brigata SCORPION nel 2023. Sono in ballo 7 miliardi di euro, con una finalizzazione stimata nel 2033. Fin qui un elenco forse pesante da leggere, ma significativo del declino muscolare dell’Armée de Terre, che si farà più leggera anche nella potenza dei calibri, con poco più di duecento pezzi da 120 mm.

In materia di potenza di fuoco a tiro diretto, l’arrivo dei Jaguar con cannone da 40 CTA non compenserà mai la potenza dei 600 pezzi da 120 mm del vecchio modello d’Armée. Inoltre, i veicoli del programma SCORPION non costituiscono un rimpiazzo uno ad uno dell’attuale parco blindato.

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Un alleggerimento della cavalleria francese che fa a pugni con la presa d’atto della LPM sulla possibilità di guerre «simmetriche», in un contesto d’imprevedibilità crescente dello scenario internazionale).

Certo, entro il 2025, arriveranno 32 cannoni da 155 mm di tipo CAESaR, portando la dotazione totale dell’esercito a 109 pezzi. Numeri che non hanno molto di impressionante, visto che l’artiglieria superficie-superficie francese potrebbe essere facilmente allineata in un parcheggio di un supermercato.

Quanto all’aeromobilità, l’aviazione leggera dell’esercito (ALAT) continuerà a non avere massa di manovra, né un elicottero pesante, nonostante le dure lezioni afghane. Ad ogni modo l’ALAT disporrà di 147 elicotteri da ricognizione e attacco, di cui 67 Tigre in versione HAD (appui et destruction). Sarà lanciato lo standard 3 del velivolo e rinnovati i missili aria-terra Hellfire, per permettere «l’adattamento dell’appoggio a contatto al livello della minaccia futura».

Arriveranno anche 34 elicotteri NH-90 TTH e l’ALAT ne avrà 70 nel 2025, sei dei quali appannaggio del 4° Reggimento di Elicotteri delle Forze Speciali.

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Bisogna vedere quanti saranno realmente operativi e se la riforma prevista del sistema di manutenzione MCO darà i frutti sperati. A fine 2017, il parco dell’ALAT dava una disponibilità reale dei mezzi non superiore al 30%. Ci permettiamo queste critiche avendo in mente che le forze terrestri francesi rimangono comunque un’eccellenza mondiale.

Ma passiamo oltre, con due righe sugli studi progettuali, che avranno risorse per preparare il rinnovamento di 629 blindo da combattimento per fanterie VBCI e per il concetto iniziale di un nuovo carro (Main Ground Combat System), successore del Leclerc. L’ultimo si farà nel quadro di una cooperazione franco-tedesca, appannaggio del consorzio KNDS, visto che anche la Germania sta pensando all’erede del Leopard. Fino al 2025, si rimarrà nel campo degli studi, non essendo il programma urgentissimo.

 

Un bicchiere pieno a metà. La LPM e la Royale

Era invece urgente ricapitalizzare la Marina, dopo i tanti ritardi della precedente LPM, in un momento in cui le forze navali francesi stanno sforando da anni il contratto operativo, non certo per colpa loro. Come le altre componenti dell’Armée, sono impegnate su un numero di teatri maggiori di quanto previsto dal Libro Bianco, cosa che ingenera usura di uomini e mezzi. Se l’analisi del contesto geostrategico fatta dal Libro Bianco è ancora pertinente, allora la Marina sta facendo troppo per i mezzi che ha, impegnata su 4-5 teatri simultaneamente, anziché su uno o due come si ipotizzava nel Libro.

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Nulla permette di immaginare che il numero delle sollecitazioni si ridurrà. Anzi. Lo scenario è in deterioramento. Per via dei ritardi dei programmi nel quinquennio 2014-2019 si sono registrate le prime Riduzioni Temporanee di Capacità, in settori critici, che la nuova LPM cerca di affrontare solo in parte, ventilando l’aumento del numero di fregate di taglia intermedia, rimpiazzando lentamente la flotta logistica e lanciando finalmente il programma di pattugliatori d’altura BATSIMAR, fra le priorità numero uno dell’ammiraglio Christophe Prazuck, capo di stato maggiore della Marina.

La verità è che a leggere bene le pieghe della LPM si scopre che le fregate di primo rango rimarranno 17 fino al 2025. Non cambierà nulla, nonostante l’Ammiraglio avesse ammonito di «non poter più fare tutto il richiesto» con una coperta così corta.

La questione delle fregate è essenziale: senza queste, la portaerei non può navigare e le sortite degli SNLE sono meno sicure. Sono un anello essenziale, anzi il fondamento della presenza francese sui mari e sugli oceani, per un paese che ha il secondo ‘impero’ marittimo mondiale, di cui vanno garantite le linee di comunicazione. In termini di rango fra le potenze navali, sono cruciali. Nel dettaglio, con la LPM la Royale disporrà di 2 fregate di difesa aerea (FDA), di 2 Fregate multimissione con capacità di difesa aerea rafforzata (FREDA), di 6 FREMM anti-som, di 2 fregate di taglia intermedia sulle cinque previste e di 5 fregate furtive classe La Fayette.

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Tre di queste ultime saranno «rinnovate» nei tempi della LPM, ma non sono certo qualificabili come unità di primo rango, similmente alle FTI. Si tratta per lo più di piroette semantiche che malcelano un certo declino della flotta francese. Fortunatamente è andata meglio per altri programmi, già in corso o che avrebbero dovuto essere lanciati con la LPM 2014-2019.

Parliamo dei sottomarini nucleari d’attacco Barracuda/Suffren, già ordinati in 4 esemplari, e che entreranno in linea dopo il 2020 ed entro il 2025. Siccome l’obiettivo 2030 è fissato a 6 unità, le ultime due dipenderanno dai conti e dalla bontà del prossimo quinquennato. Quid delle navi da supporto e assistenza d’altura (BSAH), ordinate in due tempi, due nel 2015 e 2 nel 2016? Le seconde arriveranno grazie a Macron, insieme a 6 pattugliatori d’oltremare e alle prime navi da sorveglianza e intervento marittimo (BATSIMAR), chieste a gran voce da Prazuck, che sul punto sembra esser stato accontentato.

La LPM alza il numero di pattugliatori a 19, almeno all’orizzonte 2030. Navi che sono così classificate: 6 Patrouilleurs outre-mer (POM), 2 Patrouilleurs de haute mer de nouvelle génération (PHM NG), destinati ai mari francesi metropolitani, 3 Patrouilleurs légers guyanais PLG, con l’ultimo in consegna nel 2019, e sette pattugliatori di vecchia generazione di vario tipo, per sorvegliare le zone economiche esclusive oltremare.

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Ma la Marina dovrà pazientare, perché il programma non sarà ultimato nel 2025. A quella data, metterà in linea soltanto 11 ‘patrouilleurs futurs’ (vedi PDF 1, p. 36). Gli ultimi 8 dei 19 arriveranno, se Dio vuole, entro il 2030. Sorte simile avranno anche le nuove unità tanker-rifornitrici dell’irrinunciabile programma FLOTLOG, su cui i francesi hanno già perso un sacco di tempo, buttando 10 milioni di euro nel concetto BRAVE (Batiment RAvitailleur d’Escadre), per poi optare quasi sicuramente per il progetto italiano A5335 Vulcano, che potrebbe essere ripreso da Parigi a Saint-Nazaire, specie dopo l’intesa STX-Fincantieri-Naval Group. Senza rifornitrici adeguate non c’è raggio d’azione globale per la flotta, né rango che tenga.

Ecco perché la LPM ha alzato l’obiettivo a 4 unità, contro le 3 previste un tempo, ma solo le prime due saranno messe in linea entro il 2025. Coabiteranno con un vecchio BCR (Bâtiment de commandement et de ravitaillement) fino al 2030, anno in cui saranno consegnate le 2 altre unità. Nel 2023, la LPM promette inoltre di rinnovare le capacità idrografiche e oceanografiche con il lancio del programma CHOF (Capacité hydrographique et océanographique future) e con la costruzione di una nave leggera da sorveglianza e ricognizione, una nave spia che si aggiungerà alla Dupuy de Lôme.

Essendo la guerra di mine e la lotta contro gli IED marittimi il perno delle operazioni anfibie e costiere, la LPM fa lo sforzo di confermare, lanciandolo, il programma SLAM-F con il Regno Unito. L’insieme prevede una nave madre e droni sottomarini, con due sistemi in consegna entro il 2025 e altri due probabilmente commissionati entro la stessa data.

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Nel campo dell’armamento, la Legge permetterà l’acquisizione di un lotto imprecisato di siluri pesanti ARTEMIS e l’avvio degli studi per l’integrazione del missile Aster 30 B1NT sulle fregate da difesa aerea. Nulla di nuovo sotto il profilo della protezione attiva delle navi, visto che la Marina francese tende a sottovalutarla per tradizione. E’ una della poche flotte di primo piano a non avere sistemi di difesa ravvicinata, come CIWS e missili ad hoc, per fronteggiare gli attacchi di saturazione.

Prima o poi dovrà porsi il problema. Buone notizie invece per alcuni mezzi aerei, visto che saranno finalmente ammodernati non solo 15 ma addirittura 18 aerei da pattugliamento marittimo Atlantique 2 (ATL2), come auspicato dall’ammiraglio Prazuck. Ne rimarranno 27 in linea, fra nuovi e vecchi, in attesa che sia iniziato il programma «PATMAR futur», previsto dalla LPM e aperto a eventuali collaborazioni tedesco-europee, con un obiettivo 2030 a 12 aerei (vedi PDF. 1, p.44).

Per ora, l’ATL2, attivismo sottomarino russo in mente, come dice fra le righe la LPM, è utile sia in Europa sia sui teatri africani e mediorientali, dove è sistematicamente proiettato, grazie ai sensori e alle capacità di carico bellico, che ne fanno una sorta di ‘drone armato pilotato’.

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Digressioni a parte, saranno aggiornati anche i tre velivoli Awacs Hawkeye E-2C, per conferire profondità di vista, d’ascolto e d’azione sempre allo stato dell’arte. Più complicato l’iter degli AVSIMAR (Avions de surveillance et d’intervention maritime) Falcon 200 Guardian e Falcon 50 M, che cominceranno a esser rimpiazzati con 3 nuovi velivoli AVSIMAR NG a partire dal 2024, con un obiettivo fissato a 13 per il 2030.

Dei 167 Hélicoptère interarmées léger (HIL) che la LPM proietta al 2030 se ne saprà qualcosa solo con i potenziali ordini previsti fra il 2019 e il 2025 e allora la Marina dovrà rimboccarsi le maniche e affittare 16 velivoli per rimpiazzare gli Alouette III. Dovrà armarsi di pazienza anche per gli eventuali sistemi di droni aerei SDAM, ordinabili fra il 2019 e il 2025, ma sicuramente non consegnati prima del 2028, nonostante la Marina accordasse enorme importanza al tema, per equipaggiare le future piattaforme.

Poche chance anche per la seconda portaerei, che sarà probabilmente l’erede della Charles-de-Gaulle, ma che comporta costi tali da avere ripercussioni pesanti sull’intera strategia dei mezzi.

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Mentre la De Gaulle è in cantiere per l’ammodernamento di mezza vita, con il rinnovamento dei reattori e del sistema di combattimento, che la proietteranno come capital ship fino a fine decennio 2030, con la nuova LPM bisognerà accontentarsi solamente di «nuovi studi» intorno al «sistema di propulsione della futura portaerei e dei vincoli d’integrazione delle nuove tecnologie, in particolare nel campo delle catapulte e dei dispositivi di arresto all’appontaggio».

Il testo allegato alla LPM afferma che l’insieme di questi studi preliminari «fornirà gli elementi decisionali per un eventuale lancio in anticipo della nuova portaerei» aprendo la via a un possibile ritorno alla permanenza in mare di una portaerei in allerta.

Ma la cosa appare quantomeno inverosimile visto il tempo che ci vuole per costruire una nave di questo tipo, minimo un decennio. Appare quasi ovvio che la nuova porterei non entrerà mai in linea prima del ritiro della De Gaulle, previsto all’inizio del 2040.

 

La grande sconfitta della LPM: l’Armée de l’Air

Si annunciano attese lunghe anche per i nuovi programmi dell’Aeronautica. Mai come oggi l’Armée de l’Air sta facendo così tanto con così pochi mezzi, sforando sistematicamente il contratto operativo e subendo un’usura senza precedenti del suo capitale umano e materiale. Il parco caccia non è mai stato così fragile. Il progetto di legge di programmazione militare è confuso nei numeri.

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Annuncia la futura consegna di 28 Rafale fra il 2019 e il 2025. A quella data, l’Armée de l’Air avrà una flotta di «253 aerei da combattimento», fra cui 55 Mirage 2000D ammodernati e 171 Rafale, che includono anche i 42 Rafale M della Marina. Facendo due calcoli, la somma non torna, perché i velivoli sono 226, 184 dei quali per l’Aeronautica.

Gli altri 27 sono un mistero, perché a fine 2025 i vecchi Mirage 2000B/C non avranno più nessun potenziale di volo e dovrebbero esser teoricamente mandati in pensione. Spingendosi fino all’orizzonte 2030, il documento evoca una flotta potenziale di 280 velivoli, con 225 Rafale (40 della Marina e non più 42 come prima) e 55 Mirage 2000D ammodernati, con capacità inedite nel cannone e l’integrazione di missili aria-aria MICA NG per l’autodifesa, che saranno ordinati a partire dal 2019.

Ma anche qui i dati non tornano. I Rafale in più sarebbero 54, quando dovrebbero esserne consegnati non più di 30, in versione F4. Il nuovo standard doveva essere lanciato nel marzo 2017. Lo sarà quest’anno.

La LPM dice poco al proposito. L’F4 dovrebbe migliorare la connettività del velivolo e diversificare e ampliare la panoplia di munizioni aria-aria e aria-superficie, potenziando il ventaglio delle opzioni e la sopravvivenza in scenari di guerra fitti di barriere antiaeree.

Dans le cadre d'une action internationale contre "l'état islamique", la France s'engage dans une coalition avec ses moyens prépositionnés dans le golfe persique. Les premières missions réalisées sont des missions de renseignement réalisées par les Rafale de l'escadron de chasse 3/30 Lorraine basés sur la base aérienne 104 d'Al Dhafra et assistés par un Boeing C135FR du groupe de ravitaillement en vol 2/91 Bretagne. Après trois jours de missions ISR, les Rafale de l'escadron 3/30 participent au sein de la coalition aux missions de bombardement. Des mécaniciens armement accrochent une bombe guidée laser GBU 12 sous un tribombes placer sous l'aile d'un Rafale afin de l'équiper pour la première mission de bombardement au dessus de l'Irak.

È confermato anche il progetto di sistema da combattimento aereo futuro (SCAF), già oggetto di una cooperazione fra BAE Systems e Dassault Aviation. Lo SCAF non sarà né un aereo, né un drone, ma un insieme di sistemi in rete, perno dell’architettura dell’aviazione da guerra futura. Florence Parly ne precisa meglio i contenuti.

Il sistema unirà diversi elementi: «dei droni e dei droni da combattimento, dei velivoli da caccia, una componente nucleare», sensori e missili. In poche parole sarà «un insieme di sistemi di comunicazione e connettività».

Interessa anche la Marina, per il post Rafale. Pertanto, almeno il caccia-bombardiere dovrà essere declinato in versione navale. Per ora il progetto è articolato in due filoni. Il primo denominato FCAS-DP (Future Combat Air System Demonstration Program) punta a sviluppare un UCAV in sinergia con i britannici.

Qualcosa si è già mosso nel marzo 2016, dopo lo studio di fattibilità affidato nel 2014 a Dassault Aviation e BAE Systems, ma all’ultimo vertice franco-britannico di Sandhurst non si è fatto minimamente cenno al progetto. Il secondo filone riguarderebbe invece la messa a punto di un nuovo caccia-bombardiere, di cui hanno parlato Parigi e Berlino che, nel luglio 2017, hanno concordato una roadmap di massima. Ma le incognite sono enormi, soprattutto politiche e industriali.

Se mai sboccerà, lo SCAF sarà una vera e propria evoluzione culturale, da un approccio incentrato sulla piattaforma a uno più inerente al combat cloud. Dovrà garantire «la superiorità aerea» e più generalmente l’uso proficuo «della terza dimensione all’orizzonte 2040». Essendo un progetto aperto a collaborazioni, nella LPM non è citato nessun paese specifico, nemmeno la Germania o il Regno Unito, diversamente dalle delimitazioni di altri programmi.

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«L’approccio sistema di sistemi […] può utilmente essere aperto alla cooperazione europea, per consolidare la BITD (Base industriale e tecnologica della difesa) dell’aeronautica da guerra europea, nella quale l’industria francese assumerà un ruolo centrale». Leonardo potrebbe inserirsi, con grande circospezione riguardo agli appetiti francesi. Spingendosi oltre, la LPM pone rimedio all’impellenza di novità per la flotta da rifornimento in volo, essenziale per le missioni di dissuasione nucleare, la mobilità strategica e le operazioni in teatro.

L’età media del parco in dotazione alla Francia, ordinato ai tempi del Generale de Gaulle, ne limita fortemente la disponibilità. Il Generale André Lanata, CEMA, aveva lanciato più di un SOS, vedendo la sua Aviazione dipendere sempre più spesso dai tanker alleati, anche nel Sahel. Come previsto dalla precedente LPM, i vecchi C-135FR/KC-135 saranno rimpiazzati dagli A-330 MRTT Phenix, molto popolari per la loro valenza interforze, ma in forte ritardo di consegne. La nuova LPM alza da 12 a 15 il numero finale di MRTT, ma dice già che i 3 esemplari supplementari saranno consegnati solo fra il 2025 e il 2030. Idem per il programma di aerei leggeri da ricognizione e sorveglianza (ALSR). Due velivoli, previsti dalla precedente LPM, sono già stati commissionati a Thales e Sabena Technics, ma mai consegnati.

Il nuovo schema prevede 6 ulteriori ALSR, sempre derivati dai Beechcraft King Air 350, senza precisare quando dovrebbero essere operativi e rimandando tutto al 2030. Non meno problematica è la situazione della forza aerea da trasporto, una lacuna accettata irrazionalmente dalla precedente LPM.

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La nuova non spende due parole sugli ‘incidenti industriali’ dell’A400M e sull’invecchiamento delle flotte di C-130 e C-160. Dice soltanto che la forza aerea da trasporto tattico «proseguirà il suo rinnovamento con le consegne degli Atlas A400M (11 aerei da qui al 2025) e degli ultimi 2 C-130J (ordinati d’urgenza nel 2015), modernizzando 14 C-130H», che cominceranno a essere rimpiazzati intorno al 2030. Ma non ci sarà nessun miracolo a corto e medio termine.

L’introduzione dei C130J per le operazioni convenzionali e le forze speciali ha avuto alcune ripercussioni, generando una micro-flotta e una filiera specifica per la formazione degli equipaggi e dei meccanici. Tutti contrattempi nel piano di transizione della forza aerea da trasporto. Se i vecchi C130H saranno aggiornati, i decrepiti Transall dovranno stringere la cinghia e volare almeno fino al 2023, mentre ne era prevista la radiazione quest’anno. Un ritardo che provocherà problemi gestionali delle ultime cellule ancora in condizione di volo.

Il numero crescente di incidenti aerei in tutte le Forze armate francesi è lo specchio dell’invecchiamento inquietante delle flotte e dell’insufficienza delle ore di addestramento, per via di una coperta troppo corta e tirata da tanti fronti.

Cambiando discorso, lo si sapeva già, ma la LPM conferma che i 12 droni MALE MQ-9 Reaper «saranno armati, per ora con gli Hellfire, anche se MBDA ha già lavorato al successore di questo missile con il MLP da 8 km di raggio e potrebbe offrire anche il Brimstone da 20 km. I giochi sono aperti.

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Per ora è certo che gli ultimi sei Reaper, consegnandi allo standard Block 5, saranno equipaggiati con un sensore ISR Raytheon AN/DAS-4 Multi-Spectral Targeting System Model B, che monta quattro camere ad alta definizione, un designatore laser e così via. Nel 2025 dovrebbe arrivare anche un primo sistema MALE RPAS, l’eurodrone sviluppato in sinergia con l’Italia, la Germania (in posizione dominante) e la Spagna.

Nonostante tutte le difficoltà, il progetto sarà lanciato nel 2019. Quanto alla guerra elettronica, il programma CUGE (Capacité universelle de guerre électronique) è ulteriormente confermato e ormai lanciato, visto che il 28 febbraio, a sera, dopo un Comitato ministeriale per l’investimento, Florence Parly ha dato il via libera alla produzione.

Si tratta di sviluppare il successore dei due venerabili aerei da guerra elettronica Transall GABRIEL (Groupement Aérien de Brouillage, Recherche et Identification Électronique), che saranno rimpiazzati da tre jet d’affari Falcon, probabilmente dei trireattori 7X o 8X, equipaggiati con un sensore inedito, un CUGE Epicure, sviluppato da Thales dopo un decennio di studi. Il sistema permetterà di intercettare simultaneamente le emissioni radio, radar e telefoniche.

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Ma non c’è fretta però, perché dei tre esemplari previsti, uno solo sarà in servizio nel 2025, per gli altri si parla del 2030. Bisognerà aspettare anche per la consegna degli Elicotteri leggeri interarma, mentre nel 2023 saranno ordinati 12 elicotteri destinati a rimpiazzare i Puma. Per il capitolo modernizzazioni, ci saranno fondi per «rinnovare» l’avionica dei 4 E-3F «Awacs» e per lanciare gli studi per un sostituto all’orizzonte 2035. Dopo il 2025 saranno aggiornati anche gli 8 sistemi SAMP/T Mamba, sviluppati dal consorzio Eurosam.

Nel frattempo, dal 2022 i MAMBA cominceranno a ricevere i missili ASTER 30 B1NT per «trattare le minacce di nuova generazione da qui al 2030». Inoltre saranno ammodernati i sistemi di sorveglianza controllo e comando aereo grazie alle fasi 3, 4 e 5 del programma SCCOA (Système de commandement et de conduite des opérations aériennes). L’upgrade riguarderà «i radar MA, HA e tattici, le radio, i centri controllo, quelli di comando e pianificazione, come i mezzi di sorveglianza dello spazio».

 

Conclusioni

Prima potenza militare mondiale meno di cent’anni fa, la Francia sta tentando faticosamente di risalire la china. A furia di riduzioni di crediti e di procrastinazioni di programmi non è più in grado di condurre una campagna aerea di qualsivoglia ampiezza senza far ricorso ai tanker americani, né di proiettare rapidamente le sue forze per via aerea senza chiedere aiuto ai partner. Il suo strumento militare si è ridotto.

I cantieri di rinnovamento sono enormi e la nuova LPM tenta di invertire una rotta accidentata e non parla più di incassare i dividendi della pace. Il messaggio è chiaro ma come osserva acutamente il generale Pierre de Villiers, «bisognerà vigilare passo dopo passo la vera esecuzione delle poste di bilancio promesse».

Lui ne sa qualcosa. Da capo di stato maggiore generale dell’Armée si era dimesso, nel luglio scorso, dopo uno scontro durissimo con il presidente Macron, per via degli ennesimi tagli di bilancio. Non lo fece per mere questioni contabili, ma in base auna precisa visione strategica. Appuntamento allora nel 2025 per capire se la Francia avrà davvero ripreso la retta via.

Foto: AFP, EPA, EMA e Ministero della Difesa Francese

 

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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