Sarkozy diventa il capro espiatorio per la guerra di Libia
Umiliato e sbeffeggiato a seguito dell’incriminazione per le tangenti di 5 milioni di euro pagate da Gheddafi per la sua campagna elettorale, l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy sta diventando negli ultimi giorni il capro espiatorio a cui attribuire tutte le colpe per la sciagurata guerra del 2011 contro il regime di Tripoli.
Una lettura di quegli avvenimenti certo comoda per molti ma riduttiva, poiché quel conflitto venne cercato, per ragioni in parte diverse, anche da USA, Gran Bretagna, Qatar ed Emirati Arabi Uniti.
Barack Obama, influenzato anche da consiglieri della sua amministrazione legati ai Fratelli Musulmani, ha sostenuto tutte le primavere arabe con l’obiettivo di rimpiazzare i regimi laici esistenti con governi islamici “moderati” e quello, non di minore importanza per la strategia americana, di destabilizzare le aree energetiche alle porte dell’Europa.
Il primo punto era condiviso col Qatar, il cui intelligence ha organizzato la rivolta di Bengasi che ha dato il via al conflitto e il cui esercito, senza uniformi e mischiato ai ribelli, ha strappato Tripoli ai governativi.
Tutte le petro-monarchie ereditarie del Golfo, pur se rivali tra loro, hanno sempre cercato di impedire che le “primavere” portassero all’affermarsi di regimi laici democratici in grado quindi di metterne in discussione la legittimità.
In questo contesto Londra e Parigi hanno rappresentato in Libia lo strumento militare della politica degli emirati del Golfo, che in Francia e Gran Bretagna hanno investito centinaia di miliardi di euro influenzando direttamente la politica delle due potenze europee, da quella estera e militare a quella interna riguardo all’immigrazione islamica.
Sia Sarkozy che il premier britannico David Cameron colsero inoltre l’opportunità di scalzare definitivamente l’Italia e i suoi interessi in termini energetici e di commesse dalla sua ex colonia. Rapporti che si erano consolidati dopo la firma del Trattato di Amicizia italo-libico del 2009.
Sarkozy quindi, come i suoi successori, ha certo trovato in Qatar, Emirati arabi uniti e Arabia Saudita investitori e partner ben più ricchi di Gheddafi, anche in termini di commesse militari all’industria francese.
Poco pima della morte di Gheddafi suoi figlio Saif dichiarò di non comprendere il motivo dell’ostilità francese dicendosi con un filo di ironia pronto a riconsiderare l’acquisto di caccia francesi Rafale a cui erano stati preferiti i Sukhoi russi.
Le “bustarelle” rappresentano quindi solo in dettaglio in una strategia ben più ampia e non certo solo di matrice francese, anche se possono aver avuto un ruolo determinante nella volontà di Sarkozy di ottenere l’uccisione di Gheddafi, in cui pare siano stati coinvolti direttamente i servizi segreti d’oltralpe (DGSE).
Non c’è dubbio che, se fosse stati catturato vivo, Gheddafi avrebbe potuto svelare non pochi retroscena imbarazzanti per i suoi nemici occidentali e arabi. Un’ulteriore conferma che la guerra alla Libia fu determinata da un progetto ben più ampio ci giunge dalla considerazione che l’ostilità palese di Parigi nei confronti degli interessi italiani in Libia non è certo venuta meno con i successori di Sarkozy.
I presidenti François Hollande ed Emmanuel Macron hanno continuato a cercare di liberarsi della presenza italiano sostenendo le forze del generale Khalifa Haftar e più recentemente facendo cacciare da milizie legate a Parigi e affiancate da consiglieri militari francesi (secondo quanto raccontato da fonti libiche alle agenzie di stampa) i gruppi armati di Sabratha con i quali Roma aveva trovato un accordo per interrompere i flussi di immigrati illegali verso l’Italia.
Che dire poi delle boutade anti-italiane del commissario europeo per l’economia e le finanze, il socialista francese Pierre Moscovici, sempre pronto a ricordare a Roma la necessità di non sforare quel rapporto deficit-Pil del 3% che la Francia ha superato mole volte senza doversi sorbire reprimende da Bruxelles.
Ostilità e rivalità nei nostri confronti sono caratteristiche fisiologiche e strutturali per Parigi come per altri partner Ue che considerano l’Italia un pericoloso competitor ma al tempo stesso un “nano politico” facile da umiliare e tenere al guinzaglio.
Per questo fa sorridere amaramente che oggi esponenti politici del centro-destra esultino per i guai di Sarkozy con lo slogan “ride bene chi ride ultimo” che ricorda gli sberleffi rivolti all’Italia dal duo Sarkoxzy-Merkel in occasione di un vertice bilaterale in cui Berlusconi e il suo governo vennero messi alla berlina.
L’incriminazione di Sarkozy per le tangenti libiche non ripaga certo l’Italia dei colossali danni subiti con la guerra in Libia e con le sue drammatiche conseguenze, non ultima il rovesciamento del governo liberamente eletto rimpiazzato da un esecutivo imposto da Berlino e Parigi guidato non a caso dall’ex commissario Ue Mario Monti. Un governo ”d’occupazione” per così dire, voluto dal Quirinale e che ha inferto il colpo di grazia alla nostra sovranità nazionale.
Quanto ai danni subiti dall’Italia in seguito alla caduta di Gheddafi basti ricordare la minaccia alla sicurezza determinata da una Libia fuori controllo, ormai una Somalia sulle sponde del Mediterraneo, e dall’arrivo in Italia di oltre 700 mila immigrati illegali dal 2011 ad oggi.
Colpe che non ricadono solo su Sarkozy e sulla Francia. Non dimentichiamo che furono gli Stati Uniti a colpire con un attacco devastante le difese di Gheddafi, annientandole.
Obama però non aveva il via libera del Congresso per condurre una guerra su vasta scala e lasciò le operazioni agli alleati europei, che impiegarono ben sette mesi per avere ragione delle deboli forze di Gheddafi. Per colmo del ridicolo, esaurite le bombe d’aereo, alcune aeronautiche europee dovettero addirittura chiederle in prestito all’Usaf!
Una guerra a cui, su pressioni dirette di Washington, anche il governo italiano decise di partecipare, si disse per non “restare isolato” dagli alleati Nato e Ue e impedire così che i raid aerei francesi distruggessero gli impianti dell’ENI.
Resta però il fatto che partecipando alla guerra l’Italia ha bruciato la sua credibilità violando il Trattato di amicizia con la Libia del 2009 che vietava espressamente persino di prestare basi militari a paesi terzi per condurre attacchi. Quello compiuto ai danni di Gheddafi fu un altro “8 settembre” che ha mostrato al mondo quanto sia credibile l’Italia e quanto valga la parola dei suoi governanti.
Troppo comodo quindi attribuire quella disfatta agli interessi stranieri o alle “bustarelle” di Sarkozy, quando il centro-sinistra italiano con una vecità senza precedenti si schierò a favore della guerra solo perché simpatizzava con Obama e considerava Gheddafi “amico di Berlusconi” mentre nel governo di centro-destra solo il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto osò esprimersi pubblicamente contro l’intervento.
Peraltro, senza le basi italiane, quella guerra i nostri “alleati” non l’avrebbero tecnicamente potuta combattere. Obama non avrebbe mai avuto dal Congresso il via libera a condurre operazioni di lunga durata e per sostituire le basi italiane avrebbe dovuto schierare non meno di tre o quattro portaerei. Gli altri belligeranti non avrebbero potuto fare molto: Londra non aveva portaerei e Parigi ne aveva e ne ha una sola mentre far decollare i jet dalla Corsica o dalla Francia meridionale avrebbe richiesto costi altissimi e una flotta di rifornitori in volo che nessun paese europeo schiera.
Opponendosi con fermezza al conflitto, Roma non solo lo avrebbe scongiurato mantenendo fede per una volta ai trattati firmati ma avrebbe guadagnato una consistente reputazione e influenza sui paesi di Africa del Nord e Sahel, tutti pubblicamente ostili all’intervento contro Gheddafi.
Mostrando gli attributi per difendere i suoi interessi nazionali magari l’Italia sarebbe pure riuscita a tutelare meglio la propria sovranità.
Foto: Ansa, AP, Reuters e AFP
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.