Trump non tollererà nuovi attacchi chimici in Siria
Il pirotecnico presidente statunitense avrebbe telefonato il 2 marzo ad Angela Merkel ed Emmannuel Macron per minacciare che “non tollererà nuovi attacchi chimici in Siria”. Appare evidente che Trump voglia reclutare i due leader europei in un’ennesima iniziativa anti-Putin. Già l’anno scorso nella notte tra il 6 e il 7 aprile due cacciatorpediniere USA hanno lanciato 59 missili Tomahawk contro la base aerea russo/ siriana di al-Shayrat, da dove gli USA sostenevano fosse stato lanciato un attacco con l’uso armi chimiche su Khan Sheikoun.
Impiego di armi chimiche che accertamenti più approfonditi successivi avrebbero escluso. Che fossero o non fossero state usate armi chimiche al Tycoon interessava probabilmente ben poco. Si trattava di avere una scusa più o meno valida per dare un altolà a Vladimir Putin, che stava conseguendo risultati importanti nella regione, imponendo la Russia sia come potenza di riferimento per molte realtà locali sia come unico mediatore internazionale credibile nella regione.
È vero che le immagini provenienti in questi giorni da Est Ghouta sono drammatiche e raccapriccianti. È anche vero che l’informazione che ci giunge sia solo di parte (come spesso accade in questi contesti) e che le atrocità nel quadro di questa guerra civile, iniziata quasi otto anni fa, vengano commesse da tutte le parti (come purtroppo avvenuto sempre nelle guerre civili, nessuna esclusa!).
Potremmo anche chiederci se quei poveri civili siano vittime più di chi li bombarda o di chi li tiene con la forza all’interno delle proprie roccaforti, al solo fine di utilizzarli come scudi umani. Anche questo in Iraq e Afghanistan lo abbiamo visto troppe volte.
Il punto non è l’informazione travisata o, nel migliore dei casi, partigiana che giunge attraverso ONG e centri d’informazione noti per essere di parte e spesso foraggiati da paesi che finanziano il jihadismo. L’aspetto più importante è che le super-potenze e le potenze regionali sfruttano questa triste situazione per obiettivi politici che nulla hanno a ché fare con i bambini di Est Ghouta o di Khan Sheikoun.
Difficile infatti considerare genuino e sincero, né tantomeno naif, lo scandalizzarsi (ovviamente sempre a senso unico) da parte dell’inquilino della Casa Bianca. Gli USA sono stati l’unica nazione nella storia ad utilizzare armi nucleari su popolazioni civili e in Vietnam non hanno esitato a impiegare bombe napalm anche su popolazioni civili per snidare i vietcong: come possono ergersi su un piedistallo etico-morale. Sappiamo troppo bene che la questione ha ben poco a che fare con le innocenti vittime di Est -Ghouta.
The Donald è sicuramente pressato dai falchi anti-russi di Washington, comprensibilmente innervositi dalla crescente rilevanza della Russia sullo scacchiere mondiale. Vale la pena citare il ruolo sempre più rilevante assunto da Mosca in Medio Oriente e nel Mediterraneo (di cui abbiamo già parlato su Analisi Difesa), l’inutile ed improduttivo abbaiare occidentale contro l’annessione della Crimea di esattamente 4 anni fa, marzo 2014 che ha dimostrato più la debolezza che la forza dello schieramento anti-Mosca, l’incrementata attività propagandistica russa nei Balcani occidentali recentemente denunciata dalla NATO e, last but not least, le dichiarazioni di Putin del 1° marzo circa le disponibilità da parte della Russia di missili che possono sfuggire ai sistemi di difesa aerea occidentali.
Avere una scusa più o meno credibile per attaccare Assad è soltanto funzionale a contrastare Mosca in un momento in cui Putin sta’ acquisendo potere e Trump lo sta perdendo sullo scacchiere internazionale.
Il coinvolgimento di Macron e Merkel serve a Trump solo per poter sfoggiare “alleati” europei in un momento in cui Canada, Russia, Turchia ed Europa e molti altri lo accusano per la politica dei dazi sull’acciaio (e non solo).
Penso che noi Europei (e noi Italiani in particolare) siamo già stati testimoni troppo passivi e troppo accondiscendenti delle precedenti avventure de-stabilizzatrici intorno al Mediterraneo (Iraq e Libia per citare i casi più eclatanti) per non preoccuparci e porre in essere tutte le misure tendenti a scoraggiare ulteriori interventi di destabilizzazione USA in Siria.
L’Europa deve guardare a Putin con attenzione e con preoccupazione, ma attraverso i propri occhi e non quelli di Washington. Al momento, però, la Russia rappresenta l’unica possibilità per riportare la stabilità in Siria e sconfiggervi il terrorismo di matrice fondamentalista islamica. Con la forza? Certo con la forza ma non sembrano esservi altre soluzioni in quella situazione.
In merito alla Siria occorrerebbe anche l’assunzione da parte dell’Europa di una posizione ferma nei confronti del “sultano” Recep Tayyp Erdogan e delle sue ormai abituali scorrerie nel nord del paese, in barba a qualsiasi interpretazione del diritto internazionale.
Tra l’altro, in caso di reazione militare siriana o eventualmente russa nei confronti delle violazioni territoriali perpetrate dalla Turchia, quest’ultima potrebbe invocare l’articolo 5 del trattato di Washington e l’Alleanza Atlantica sarebbe trascinata (con entusiasmo dei Paesi Baltici e di alcuni circoli USA) in un confronto militare con Mosca.
Una situazione a cui anche l’Italia probabilmente si adeguerebbe nonostante la situazione difficile nei rapporti con la Turchia attuale (dalle violazioni dei diritti umani allo schiaffo di Cipro per la nave ENI Saipem 12000) e tenuto conto che Roma continua a contribuire alla difesa aerea di Ankara con costosi sistemi missilistici terra-aria SAMP/T, pagati dal contribuente italiano e schierati con artiglieri del nostro Esercito.
Foto: Die Welt, Web e AFP
Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli
Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.