Truppe, intelligence ed inquisitori privati per le monarchie del Golfo

 Dopo l’arresto per corruzione di 11 principi e 38 tra ministri e vice, ufficiali delle forze armate e businessmen sauditi ad inizio novembre, è circolata la voce di brutali interrogatori a cui gli stessi sarebbero stati sottoposti. Interrogatori condotti presso l’hotel Ritz Carlton di Riyadh da inquisitori della Academi (ex Blackwater). In una situazione non molto dissimile da quella del carcere di Abu Grahib – eccezion fatta per personaggi e luoghi da mille e una notte! – quello che torna a far parlare di sé sono truppe, intelligence ed inquisitori a contratto. Figure professionali che le PMSCs hanno continuato a fornire non solo globalmente, ma soprattutto nel Golfo dove, tra ricorrenti tensioni geopolitiche e repressioni interne di lunga data, risiede un’affezionata clientela.

 

La “tangentopoli” saudita

Il 4 novembre 2017 un’apposita commissione governativa ha fatto arrestare ministri, membri della famiglia reale, delle forze armate e uomini d’affari nell’ambito di un – presunto – giro di vite anticorruzione voluto dall’erede al trono saudita, principe Mohammed bin Salman (MbS per i giornalisti, nekla foto sotto). Tra gli arrestati, personaggi del calibro di al-Waleed bin Talal, nipote del re e uomo più ricco del Medioriente con un patrimonio di 17 miliardi di dollari e partecipazioni in Twitter, Lyft e Citigroup, l’investitore saudo-etiope Mohammed al-Amoudi con un patrimonio del valore di 10,4 miliardi di dollari,  il pezzo grosso dei media da 2,5 miliardi, Saleh Kamel, il tycoon dei centri commerciali Fawaz Alhokair, da 1,16 miliardi e perfino Bakr bin Laden, magnate delle costruzioni e fratellastro di Osama.

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Visto il loro alto rango e potere, MbS ha bypassato le forze di sicurezza ordinarie. Esse infatti, avendo servito e riverito molti degli indagati, avrebbero potuto disobbedire: perciò si è rivolto alle forze speciali.

Prima dell’alba, mentre dormiva in un accampamento nel deserto, al-Waleed bin Talal è stato convocato a corte. Rientrato a Riyadh, le sue guardie sono state immediatamente disarmate dalle forze speciali che l’hanno poi tradotto al Ritz Carlton (nella foto sotto).

I reparti speciali si sono poi dispiegati a presidio dell’area esterna, lasciando il comando a 150 contractors giunti appositamente da Abu Dhabi (UAE). Nelle successive 24 ore, scene simili si sono verificate in tutto il Paese: centinaia di alti dignitari sono stati rinchiusi nelle camere del prestigioso hotel, senza accesso ad internet, linee telefoniche e dopo aver rimosso diversi oggetti per scongiurare tentativi di suicidio

La fase iniziale degli interrogatori sarebbe stata condotta personalmente dal principe ereditario, salvo poi passare il testimone agli inquisitori privati. I prigionieri sarebbero stati quindi insultati, appesi per i piedi, schiaffeggiati e torturati per ottenere informazioni sui 100 miliardi di dollari svaniti in corruzione.

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Con le 208 persone arrestate inizialmente, il numero è salito presto a 350; in questi mesi si sono raggiunti anche “accordi monetari” – per un valore di 106 miliardi a gennaio – con il rilascio di numerosi indagati.

Gli inquisitori sarebbero stati così persuasivi da “convincere”, ad esempio il principe Mutaib bin Abdullah, comandante della Guardia Nazionale a pagare un miliardo e firmare una confessione. Al principe Al Waleed bin Talal, maggior contendente al trono di MbS, sarebbero stati invece chiesti 6 miliardi, partecipazioni nella sua holding ed un ergastolo ai domiciliari. Al Waleed avrebbe inizialmente rifiutato parte delle richieste, insistendo per sottoporsi ad un regolare processo, salvo poi esser liberato a fine gennaio.

In un’intervista alla Reuters, dov’è apparso visibilmente dimagrito (nella foto sotto), con barba incolta e decisamente “ammaestrato”, ha descritto il suo arresto come frutto di “un’incomprensione”, bollando le voci di  torture ed estorsioni solo bugie.

Il New York Times ha però riportato le testimonianze di un medico del vicino ospedale e di un funzionario statunitense che indicavano almeno 17 persone sottoposte a cure mediche in seguito agli interrogatori.

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Addirittura, il maggiore generale Ali al-Qahtani della Guardia Repubblicana sarebbe deceduto sotto custodia. Il suo cadavere avrebbe presentato lividi, bruciature da elettrocuzione ed il collo ruotato in maniera così innaturale da sembrare spezzato. Come assistente del principe Turki bin Abdullah, figlio del precedente re Abdullah ed ex governatore di Riyadh, al-Qahtani può esser stato interrogato a lungo per ottenere informazioni sul suo conto. Per la sua morte non è mai stata fornita alcuna spiegazione ufficiale.

Le autorità saudite hanno negato ovviamente il tutto, ribadendo che interrogatori ed accordi sono avvenuti senza violenza, pressione o coercizione alcuna.

Resta il fatto che al-Waleed stesso ha ammesso di aver raggiunto sì un accordo, ma come da clausola per il suo rilascio, non possa divulgarne i dettagli. Altri che sono stati scarcerati hanno parlato di esser stati sottoposti a continua sorveglianza, intercettazioni, obbligo di indossare cavigliere per tracciare i movimenti, divieti d’espatrio e d’accesso ai propri conti bancari.

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Il ruolo di Academi-Blackwater sarebbe stato denunciato da più parti. Addirittura Michel Aoun, presidente libanese ha twittato non solo che gli interrogatori sarebbero stati condotti da personale della ex società di Erik Prince, ma che gli stessi avrebbero trattenuto anche Saad Hariri, primo ministro libanese per una dozzina di giorni nel Regno. Hariri sarebbe stato anche obbligato dai contractors ad annunciare le proprie dimissioni ed accusare l’Iran di minacce ed interferenze nella politica di Beirut.

Il noto whistleblower saudita, Ahdjadid ha riferito che “il primo gruppo di uomini di Blackwater è arrivato in Arabia Saudita una settimana dopo la destituzione di bin Nayef – predecessore di Salman come principe ereditario, cacciato a giugno.

  Erano 150 uomini. Una parte di essi è stata inviata a presidiare il luogo di detenzione di bin Nayef ed il resto a proteggere Salman stesso”.

Un portavoce di Constellis, la società capogruppo di Academi, ha negato le accuse dichiarando di non esser presente nel Regno, tantomeno di essersi mai occupata di interrogatori. Ha rimarcato inoltre la più completa aderenza del gruppo alle leggi americane ed internazionali, nonché tolleranza zero verso torture e violenze.


Contractors nel Golfo

 La “tangentopoli saudita” – o purga di corte – ha riacceso i riflettori sul tradizionale ricorso delle monarchie del Golfo a compagnie militari e di sicurezza private.

L’Arabia Saudita ha letteralmente visto le PMSCs – statunitensi, perlomeno – muovere i primi passi. Nel 1975 la Vinnel Corporation, che si era sempre occupata di costruzioni e logistica, è stata la prima società americana a firmare un contratto per l’addestramento di forze armate straniere: 77 milioni di dollari per l’addestramento della Guardia Nazionale saudita, attraverso 3.000 contractors, tra cui ex membri delle forze speciali e reduci del Vietnam.

Il Regno saudita è stato anche uno dei primi luoghi in cui i contractors sono stati pesantemente colpiti, a riprova di un ruolo ed importanza crescenti: attacco al compound della Vinnel costato la vita a 27 persone, tra cui 14 occidentali nel maggio 2003. All’ondata terroristica che ha colpito il Paese, il Governo ha risposto rafforzando le proprie forze armate e combattendo ferocemente i terroristi.

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Tali operazioni sono state portate avanti con un’attiva partecipazione e supervisione di società di sicurezza private. L’analista P.W. Singer ha puntualizzato che nel 2003 la protezione della famiglia reale era responsabilità dell’O’Gara Group, la fornitura di logistica, intelligence e manutenzione all’Aviazione saudita della BDM International Inc., la gestione del Military Staff College di Booz Allen Hamilton. SAIC si occupava invece di fornire supporto alla Marina e Difesa area, mentre Cable & Wireless di addestramento antiterrorismo e guerriglia urbana. Contratti più recenti – settembre 2016 – riguardano ad esempio la Cochise MTS Inc. che ha ottenuto l’incarico di addestrare e supportare le forze di terra saudite.

Anche le altre monarchie del Golfo hanno sempre fatto ricorso a combattenti stranieri per rafforzare le proprie fila e proteggersi, sia dal dissenso interno che da minacce esterne.

Già all’indomani della propria indipendenza dal dominio britannico, esse hanno continuato a dipendere da ufficiali di Sua Maestà. Basti pensare che durante la guerra civile in Yemen (inizio anni ‘60) alcuni imprenditori britannici decisero di assoldare dei mercenari per difendere i propri interessi. Dal successo di questa operazione nacque la prima PMC: La Watchguard International dei leggendari David Stirling e John Woodhouse.

Timothy Creasey, vice comandante delle forze armate omanite negli anni 70 e 80, assieme a mercenari australiani ha represso la ribellione marxista del Dhofar.

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Ian Henderson, alias il “macellaio del Bahrain, ha tenuto le redini della Direzione generale per le indagini sulla sicurezza statale dell’emirato tra il 1966 e 1998. Durante le proteste antigovernative ispirate alle Primavere Arabe del 2011, Manama ha risposto duramente; anche attraverso l’impiego di 2.500 mercenari pakistani.

Nel 2009 il Centro per i Diritti Umani del Bahrain indicava che il 64% del personale dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale era straniero. I Pakistani, principalmente provenienti dal Belucistan, costituivano circa il 30% delle forze di sicurezza.

Per quanto riguarda il Qatar, le autorità hanno rivelato un piano degli Emirati Arabi Uniti per cacciare l’attuale monarca. Una forza di 15.000 contractors – principalmente colombiani e sudamericani addestrati e comandati da americani, britannici, francesi ed australiani – della ex Blackwater avrebbe dovuto rimpiazzarlo con un altro membro della famiglia reale più accondiscendente verso gli interessi emiratini e sauditi. Il piano non ha però ottenuto “luce verde” dagli Stati Uniti che nel Paese detengono molti interessi economici e la maggior base militare dell’area. Per il resto, il ricorso a contractors e truppe straniere da parte di Doha sarebbe abbastanza limitato. Un contingente di operatori ugandesi presidierebbe strutture governative, con un coinvolgimento crescente con l’approssimarsi della FIFA World Cup del 2022.

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Viene segnalata anche la presenza di PMSC turche a sostegno delle forze armate locali: la SADAT  e Akademi Sancak. Tali società, specializzate nella fornitura di servizi di vigilanza, protezione, addestramento e supporto di forze armate, in Qatar organizzano lunghe esercitazioni per Esercito e Marina.

Chi sta maggiormente ricorrendo alle PMSC nel Golfo è pero Khalifa bin Zayed bin Sultan Al Nahyan, emiro di Abu Dhabi e presidente degli Emirati Arabi Uniti. Lanciatosi in svariati conflitti locali e non (lotta all’ISIS, Yemen, Libia, Afghanistan e Somalia), per le proprie forze armate ha adottato “non solo i migliori equipaggiamenti, ma anche talenti”.

Nel 2010 Al Nahyah ha assunto Erik Prince per costituire un’unità per operazioni speciali: antiterrorismo, difesa dei pozzi petroliferi, dei palazzi e repressione di rivolte internazionali. Un contingente a nazionalità mista, arruolato dagli emiri con un forte contributo economico saudita, da impiegare anche nella guerra in Yemen e bombardamenti aerei in Libia, in supporto a Khalifa Haftar.

Richard Clarke, ex zar dell’antiterrorismo della Casa Bianca è da tempo consulente del principe di Abu Dhabi come CEO di Good Harbor Security Risk Management. Numerosi ex alti ufficiali australiani sono stati assunti anche per dirigere la Guardia presidenziale.

 

Intelligence e repressioni private

Il servizio più innovativo fornito dalle PMSC nell’area riguarda la riorganizzazione e creazione di un vero e proprio apparato d’intelligence nazionale: quello degli Emirati Arabi Uniti. Ex membri e dirigenti di servizi d’intelligence occidentali – CIA, principalmente – sono stati riuniti in una struttura a 30 minuti da Abu Dhabi, con una paga giornaliera di circa 1.000 dollari ed alloggio presso ville o hotel a 5 stelle.

Quest’operazione senza precedenti è stata avviata nel 2008 da Larry Sanchez, ex agente CIA. Durante un programma di intelligence-sharing tra il Dipartimento di Polizia di New York (con cui collaborava per conto di Langley) e gli Emirati, Sanchez ha instaurato ottimi rapporti con funzionari locali di alto livello, tra cui al-Nahyan stesso. Dall’addestramento di pochi agenti, il suo ruolo si è esteso alla creazione di un intero sistema di intelligence, sia interno che esterno, con tanto di operazioni paramilitari.

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Malgrado ciò, alcune incomprensioni hanno portato Sanchez e la sua CAGN Global ad esser sostituiti, prima da una società locale gestita da un ex SAS britannico, la LUAA LLC ed ora da una sussidiaria di DarkMatter.

Operatori d’intelligence a contratto farebbero parte anche di una recente proposta presentata al presidente Trump, avente come oggetto l’istituzione di una rete di intelligence parallela a quella statunitense ufficiale. Il progetto della società Amyntor Group comprenderebbe la raccolta di informazioni su terroristi attraverso “un network di risorse in aree proibite”, un’operazione di propaganda online e counter-insurgency per contrastare l’estremismo islamico ed un piano di rendition – operazioni di cattura di ricercati in Paesi ostili e trasferimento in Paesi terzi Tali spie e paramilitari privati, già operanti in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Israele, Egitto e altri Paesi del Nord Africa potrebbero essere collegati agli aguzzini dei principi sauditi, visto il particolare rapporto diplomatico-commerciale tra Washington, Abu Dhabi e Riyadh.

Da più parti è stato indicato anche un coinvolgimento di Erik Prince, tuttavia, seppur vicino ai vertici di Amyntor, non risulterebbe – almeno per una volta! – effettivamente implicato.

Un altro importante fornitore di soluzioni all’avanguardia in tema di intelligence e cyber security è Israele. Tel Aviv, infatti grazie all’esperienza maturata nel settore fornisce soluzioni di altissima qualità che hanno riscosso l’interesse delle monarchie del Golfo. Nonostante l’apparente inimicizia con Israele ed il tanto decantato boicottaggio, si sta sviluppando una sempre più ampia collaborazione ed interscambio.

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I contractors si sono occupati anche di repressione dei dissensi interni. In particolare, Governo britannico e società di sicurezza private scozzesi che collaborano con Paesi come Arabia Saudita e Bahrain, sono state più volte accusate di violazioni dei diritti umani.

Il report Arming Repression: The new British Imperialism in the Persian Gulf ha rivelato che le forniture militari britanniche nella regione ammontavano 16 miliardi di sterline nel 2010. Forniture che spaziavano dall’addestramento di tiratori scelti e mantenimento dell’ordine pubblico, alla vendita di maschere a gas e tecnologia di sorveglianza. Tra le 6.000 licenze d’esportazione rilasciate da Londra negli ultimi 5 anni, quella della Chemring Defence riguardava munizioni ed equipaggiamento agli stati del Golfo, nonché maschere antigas utilizzate per reprimere le rivolte di piazza Tahrir, in Egitto. Inoltre, lo scozzese Graeme Lamb, ex comandante delle special forces di Sua Maestà ha operato per conto della Aegis Defence e G3 in Bahrein.

Per ben 1,5 milioni di sterline si è occupato della gestione di una campagna mediatica pro-regime durante le proteste di piazza. Le società di sicurezza ed intelligence QinetiQ e Control Risks sono presenti sia in Arabia Saudita che Abu Dhabi e Dubai.

 

Inquisitori a contratto

La professionalità protagonista del giro di vite saudita resta comunque quella dei 97E (“97 Echoes”, numero di classificazione del corso inquisitori nei college militari americani). In ambito PMSC, i 97E nascono all’indomani dell’11 Settembre quando, a causa di una drastica fuga di cervelli iniziata negli anni 90, il Governo americano ha dovuto rivolgersi a società private per ottenere linguisti, traduttori e qualcuno che interrogasse i prigionieri della Guerra al terrore.

L’operazione Iraqi Freedom, destinata a concludersi in pochi mesi o addirittura settimane, non fece altro che convincere le Forze Armate di non aver tempo sufficiente a ricreare tali figure. Perciò, anche in un’ottica di risparmio, ci si rivolse ai privati. Iniziò così un processo di selezione ed assunzione frettoloso che provocò notevoli inconvenienti: non solo molti non conoscevano le tecniche di interrogatorio, ma nemmeno le basilari nozioni sui diritti umani.

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Le due società principalmente coinvolte nella fornitura di questi servizi sono state la CACI international Inc e Titan Group. Dopo aver fiutato le potenzialità del settore, anche Lockheed Martin – uno dei più grossi fornitori del Governo americano – si è anch’esso lanciato nel business degli inquisitori privati, attraverso una società controllata.

Generalmente, agli inquisitori venivano proposti 6 mesi nelle prigioni irachene o afghane, con turni fino a 14 ore al giorno, 7 giorni su 7. Il salario si aggirava intorno a 70.000/90.000 dollari oltre a diversi bonus: 2.000 dollari alla firma del contratto, 1.000 a metà turno e 2.000 a fine missione.

Tali bonus venivano raddoppiati per chiunque si fosse ripresentato. Nel frattempo le PMSC addebitavano al Governo fino a 200 dollari all’ora per questi servizi.

Dopo aver ricevuto materiale informativo ed una settimana di orientamento, gli inquisitori venivano trasferiti in prigioni come Abu Ghraib, Camp Cropper e Camp Whitehorse. Lì, affiancavano il personale militare o dell’intelligence durante sessioni di domanda e risposta, con la possibilità di impiegare fino a 17 tecniche ufficialmente sanzionate. Si dice che l’85% degli interrogatori condotti dalla CIA dopo l’11 Settembre impiegasse i contractors.

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Questi servizi erano passati sostanzialmente inosservati fino al gennaio 2004, quando un soldato della Polizia Militare in Iraq consegnò un cd contente immagini di abusi sui detenuti del carcere di Abu Ghraib: ben 44 casi, dieci dei quali compiuti da contractors.

La principale testimonianza sugli “enhanced interrogations” (interrogatori potenziati) è quella di Erik Fair, contractor di CACI. Dopo che le iniziali tecniche si sono dimostrate poco efficaci nella localizzazione delle armi di distruzione di massa, IED e mortai che continuavano a mieter vittime, è stato introdotto un nuovo approccio potenziato.

Fair ha così assistito a posizioni di stress, grida, pestaggi, privazioni del sonno, isolamenti al buio, musica altissima, alimentazioni rettali forzate, waterboarding, palestinian chairs (sedia palestinese, inventata dallo Shin Bet, abusi sessuali ed oltraggi vari.

 

Qualche considerazione

Grazie a truppe private – mercenari prima, contractors poi – le monarchie del Golfo hanno potuto costituire e rafforzare rapidamente le proprie forze armate e di sicurezza ottenendo, a tempo zero, numeri e competenze che, diversamente, avrebbero richiesto anni ed ingenti risorse. Il ricorso a queste realtà ormai commerciali ha permesso un sistema di difesa più economico.

Dopo un investimento inziale di una certa entità, infatti si è ottenuto un risparmio nel lungo periodo, ricorrendovi solo se necessario e mantenendo in servizio eserciti di consistenza relativamente contenuta. Le PMSCs hanno conferito loro anche capacità di proiezione finora impensabili; pensiamo alle forze aeree private schierate dagli Emirati in Libia. Altro vantaggio è quello di poter operare sui campi di battaglia in maniera occulta e con un costo in vite umane relativamente basso.

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Considerando i numerosi conflitti in cui quasi tutti gli Stati del Golfo sono ormai coinvolti ed opinioni pubbliche sempre più orientate – come quelle occidentali – verso quelle che Luttwak definisce “guerre post-eroiche” (brevi e con poche perdite tollerate), il costo politico pari a zero della vita di un contractor straniero costituisce un’indubbia opportunità. Una pratica diffusa – vedasi Emirati Arabi Uniti e Bahrein – è quella di concedere ai contractors la cittadinanza.

Oltre a motivarli maggiormente per vantaggi economici e di welfare, ciò regolarizza e legittima la loro posizione agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, non rientrando più nella definizione di mercenari.

Per quanto riguarda malcontenti e dissensi interni, l’utilizzo di soldati stranieri e a contratto ha sempre permesso di condurre operazioni di sicurezza delicate, senza coinvolgere nei conflitti settari e socio-politici interni le forze locali.

Questo risulta particolarmente importante in una regione dove è ben consolidata la tradizione di golpe militari e cacciate di monarchie impopolari.

Esse, infatti possono contare sempre meno sull’incondizionata ubbidienza dei propri cittadini e forze armate, soprattutto in questi periodi turbolenti. Ideologie radicali, nichiliste e distruttive, disoccupazione ed insoddisfazione giovanile per la scarsa partecipazione politica ed il potere detenuto da oligarchie gerontocratiche (l’età media dei vertici governativi sauditi, ad esempio è di 65 anni, mentre quella della popolazione è di 26)   ha spinto le case regnati a garantirsi la sopravvivenza attraverso compagnie private.

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Storicamente, soldati stranieri e a contratto hanno sempre avuto meno remore a soffocare le rivolte nel sangue e violare i diritti umani, rispetto ai corrispettivi statuali. Gli Emirati hanno una brutta reputazione per detenzioni arbitrarie e torture di attivisti e dissidenti.

Il Bahrein non ha avuto problemi a servirsi di truppe inviate dalle monarchie vicine e di mercenari pakistani. Qatar e Arabia Saudita, esaurita la carta delle riforme economiche e sociali, dovranno gestire diversamente le sempre più alte aspettative e desideri di partecipazione politica della popolazione; non è detto che ciò avvenga pacificamente…

Sebbene Donald Trump sia favorevole alla tortura per ottenere informazioni da terroristi o presunti tali, generali ed alti funzionari l’hanno spesso contestata. Un interrogatorio supportato dalla tortura risulterebbe infatti inutile ed inefficace, oltre a ridurre la statura morale dei responsabili agli occhi del Mondo e creando più nemici di quelli che consentirebbe di eliminare.

Napoleone Bonaparte considerava “l’osservare e conversare gentilmente con i prigionieri il miglior metodo per interrogarli”. L’abilissimo inquisitore tedesco, Hanns Scharff che interrogava i piloti americani durante la II Guerra mondiale, li portava a fare passeggiate nei boschi, ci faceva amicizia, guadagnava la loro fiducia ed otteneva le informazioni.

Ai giorni nostri John McCain, senatore ed ex pilota vittima di torture in Vietnam concorda con Napoleone. Così come il segretario alla Difesa, James Mattis ed il direttore della CIA, Mike Pompeo. Mattis, addirittura ha più volte dichiarato: “datemi un pacchetto di sigarette ed un paio di birre, e farò di meglio,” rispetto a waterboarding e compagnia bella.

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Comunisti, nazisti ed altri regimi hanno sempre saputo che la tortura non serviva ad ottenere informazioni, bensì a distruggere i propri nemici, sia fisicamente che mentalmente.

Acceso sostenitore di quest’approccio era invece Dan Mitrione, inquisitore della CIA in America latina tra gli anni 60 e 70: “Il giusto dolore, nel momento giusto, nella quantità giusta, per l’effetto desiderato”.

Ma attenzione:“Prima di tutto, devi esser efficiente. Devi arrecare solo il danno strettamente necessario, non un millimetro in più. Dobbiamo controllare il nostro temperamento in ogni caso. Si deve agire con l’efficienza di un chirurgo e la perfezione di un artista”. Una professionalità la sua che gli causerà rapimento ed esecuzione da parte dei guerriglieri Tupamaros nel 1970.

 

L’uso dei contractors per gli interrogatori fa parte di un attuale, problematico ed ormai consolidato trend del Governo americano di delegare sue funzioni delicate ed esclusive a società private, segnando continui step nell’esternalizzazione di funzioni prettamente governative.

Oltre a creare questioni morali, ciò rende difficile la loro responsabilizzazione e persecuzione di crimini e torture. Il non inserimento nella catena di comando militare e la mancanza od ambiguità di leggi o strumenti legislativi adeguati, ha fatto sì che essi non siano quasi mai finiti a processo. Nella storia americana esiste un unico caso: David Passaro, contractor della CIA condannato a 8 anni di prigione per la morte di un detenuto afghano, in seguito ad un interrogatorio.

Per i crimini di Abu Grahib, mentre 11 militari sono stati condannati, nessun dei 5 contractors implicati è mai stato processato. Nel 2008, funzionari del Dipartimento di Giustizia americano hanno informato il Senato di essersi astenuti dal perseguire almeno 22 presunti casi di abusi commessi dai contractors in Iraq e Afghanistan.

Sebbene CIA e Dipartimento della Difesa abbiano bandito l’impiego d’inquisitori privati, esisterebbero tuttavia eccezioni in caso di vitali questioni di sicurezza nazionale. Inoltre, un ampio bacino di maestranze sono comunque disponibili sul mercato al miglior offerente.

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Alla comprensione del fenomeno delle PMSCs nel Golfo, risulta infine imprescindibile un’osservazione particolare delle dinamiche interne ed esterne di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Nel Regno saudita il principe Mohammed bin Salman, giovane dalle idee riformiste e moderate, si trova in netto contrasto con il clero wahabita e la parte più conservatrice di nobiltà e forze armate. L’impossibilità di fidarsi di loro, lo rendono un cliente naturale ed obbligato dei contractors per l’ascesa e riforme.

Gli Emirati Arabi Uniti, invece più piccoli, moderni e relativamente meno conservatori hanno sempre sofferto un “controllo paterno” da Riyadh; una situazione da cui hanno sempre cercato di affrancarsi, anche con una politica regionale indipendente ed aggressiva. Nonostante i rapporti non sempre buoni, a partire dall’11 Settembre i due Paesi hanno iniziato a cooperare sempre più attivamente su questioni di sicurezza regionale (intervento congiunto in Bahrein e Yemen, sostegno degli stessi ribelli in Siria e Libia).

Vista la collaborazione anche in ambito contractors, la formazione di un intelligence emiratina a cura di privati avrebbe posto le basi per un programma simile anche in Arabia Saudita, forse preludio per ulteriori sviluppi nonostante la fase di stallo in cui versa da almeno un anno a questa parte. La “corsa all’oro” in Iraq si è esaurita da tempo per i contractors, ma il Golfo si è mantenuto un mercato stabile; anzi Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita paiono rappresentarne il nuovo Eldorado…

Foto: AP, AFP, Reuters, Getty Images, Twitter, Facebook, Warzone e Event Chonicle

 

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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