Lo scontro tra Israele e Iran in Siria
da Il Mattino del 17 aprile 2018
Se al momento sembrano scongiurati ulteriori incursioni statunitensi e delle potenze europee sulla Siria, resta invece caldo il fronte che vede contrapporsi sul territorio dello Stato arabo le forze di Iran e Israele. Si tratta dello scontro potenzialmente più pericoloso nella somma di più conflittualità che si registra oggi in Siria.
A vivacizzare un conflitto rimasto che dal 2012 ha visto i cacciabombardieri israeliani effettuare più di 100 incursioni aeree contro installazioni militari siriane e delle milizie iraniane, afghane ed Hezbollah libanesi, ha contribuito il 16 aprile l’ammissione, da parte di un funzionario militare israeliano che l’aeronautica di Gerusalemme ha compiuto il raid aereo della scorsa settimana sulla base aerea siriana T-4, vicino a Palmyra, in cui morirono 14 militari, almeno per metà iraniani dei reparti scelti del Corpo delle guardie rivoluzionarie (pasdaran).
Tra i caduti anche un colonnello che guidava il reparto di droni iraniani schierato su questa base e già sorpresi a sorvolare il confine con lo Stato ebraico.
Tradizionalmente Israele non commenta, né conferma o smentisce i raid condotti in Siria o altrove dai suoi mezzi militari ma la fonte citata dal New York ha dichiarato che “era la prima volta che attaccavamo obiettivi iraniani, comprese strutture militari e soldati”.
Un’ammissione imbarazzante per Israele poiché, anche se nessuno ha mai avuto dubbi sulla matrice dei raid che hanno colpito più volte in Siria, ammettere di aver compiuto un atto di guerra violando la sovranità di Stati come Libano e Siria espone Gerusalemme a ripercussioni politiche, accuse in ambito Nazioni Unite e rappresaglie militari da parte dell’Iran.
Per questo anche un “falco” come il ministro della difesa Avigdor Lieberman non ha confermato la paternità del raid contro la base T4 né tanto meno l’ultimo attacco effettuato sabato notte su un deposito militare iraniano nella zona di Aleppo in cui sarebbero morti almeno 20 uomini di Teheran.
“Dobbiamo fare il nostro lavoro”, si è limitato a dire il ministro, aggiungendo che “non permetteremo il consolidamento dell’Iran in Siria, né accetteremo alcuna restrizione quando si tratta degli interessi di sicurezza di Israele”.
Secondo fonti israeliane la presenza militare di Teheran in Siria ammonta ad almeno 15mila militari e pasdaran cui si aggiungono 10 mila Hezbollah libanesi e circa 50 mila miliziani sciti iracheni, afgani e pakistani. Numeri impossibili da verificare ma in Israele il contrasto degli iraniani in Siria è considerato una priorità strategica ma senza incrinare gli ottimi rapporti con Mosca.
L’intesa politica e strategica con la Russia, nonostante il suo ruolo nel sostenere Bashar Assad, è una delle fonti di preoccupazione per Teheran e causa di tensioni tra iraniani e russi, alleati di ferro di Assad ma al tempo stesso rivali anche in virtù di valutazioni divergenti.
Per Mosca il regime di Damasco è l’ultima linea di difesa avanzata contro i jihadisti in una visione strategica difensiva tesa a sostenere il “bastione siriano” per impedire che il jihad dilaghi nel già turbolento Caucaso, “ventre molle” della Federazione Russa.
Per l’Iran invece mantenere lo stretto rapporto con la Siria significa completare quella “mezzaluna scita” che va dal territorio nazionale fino alle coste del Mediterraneo attraverso Siria e Iraq. Un fronte che da un lato contrasta il blocco sunnita guidato dall’Arabia Saudita, rivale regionale di Teheran, e dall’altro consente di circondare lo Stato ebraico di forze ostili.
Un disegno che ha visto Teheran armare, finanziare e addestrare le milizie di Hamas a Gaza e gli Hezbollah in Libano puntando ora a schierare proprie forze lungo il Golan siriano. Uno scenario inaccettabile per Israele, giunto a patti con Riad e con l’estremismo islamico sunnita nel nome della lotta al comune nemico scita/iraniano.
Del resto il confronto tra Gerusalemme e Teheran vede ancora aperto anche il fronte nucleare: Israele dispone (ma non lo hai ammesso) di 150/200 ordigni atomici ma teme che l’Iran possa presto dotarsene anche in misura limitata nella consapevolezza che una sola bomba nucleare, anche di potenziale limitato, sarebbe sufficiente a spazzare via il piccolo Stato d’Israele.
La differenza è quindi che per i russi la Siria di Assad è un argine contro l’estremismo islamico mentre Teheran la considera una testa di ponte per mantenere la pressione sullo Stato ebraico e rifornire Hezbollah nel Libano del Sud.
“Ci occupiamo solo della sicurezza di Israele e questo i Russi lo comprendono bene” ha detto Libermann in un’intervista ad Haaretz che sottolinea il mantenimento di rapporti stabili e coerenti tra Gerusalemme e Mosca nonostante le tensioni in Siria.
In Iran, dove il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Bahram Qassemi, ha affermato che Israele “prima o poi” pagherà per il raid aereo contro la base aerea T-4, sembra prendere piede la percezione che l’intesa con Mosca in Siria sia solo di opportunità e temporanea.
Il 16 aprile un editoriale del quotidiano iraniano Payam sottolineava come la Russia voglia evitare un confronto militare con l’Occidente e che in caso di un attacco più massiccio si limiterebbe ad un sostegno diplomatico al regime di Damasco di cui l’Iran rimarrebbe l’unico alleato militare.
Foto: Web, IDF, The Aviationist e Debka
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.