Caso Skripal: la solita “italietta” nella nuova guerra fredda
Il caso Skripal e le accuse a Mosca di aver impiegato aggressivi chimici (nervino) per cercare di uccidere l’ex spia Sergey Skripal rappresenta solo l’atto più recente di una più vasta operazione guidata dagli anglo-americani per riaprire la guerra fredda con Mosca e con essa quel fronte orientale che ai tempi del confronto tra Nato e Patto di Varsavia aveva giustificato, da ambo le parti, ampie politiche di riarmo e ingerenza su scala globale.
Londra e Washington tentano di compattare il fronte dei nuovi nemici di Mosca mobilitando gli alleati europei e occidentali e il ministro degli Esteri del Regno Unito, Boris Johnson, ha ringraziato i 27 paesi che hanno risposto positivamente all’appello per espellere diplomatici russi.
Secondo Johnson, “sembra chiaro che il Cremlino abbia sottovalutato la forza del sentimento globale” circa “l’uso di armi chimiche in un luogo pacifico come Salisbury” nell’Inghilterra meridionale. La scorsa settimana il Regno Unito ha espulso 23 membri dei servizi diplomatici russi, una misura che è stata replicata dalla Russia, che ha espulso lo stesso numero di britannici pochi giorni dopo.
In realtà non tutti i paesi europei han o aderito all’appello anche perché Londra non è riuscita a produrre prove concrete delle responsabilità di Mosca nel caso Skripal, che lo stesso Johnson definì non senza sollevare imbarazzi “enormemente probabile”, né a spiegare cosa avrebbe guadagnato Vladimir Putin da un’azione simile.
Slovacchia; Slovenia; Portogallo; Malta; Lussemburgo; Cipro; Irlanda; Grecia; Bulgaria; Belgio; Austria hanno risposto picche all’appello anglo-americana, in moti casi chiedendo che venissero dimostrate accuse così gravi rivolte alla Russia.
Puntuale la risposta di Mosca. “Noi capiamo l’inumana pressione sui partner Nato e Ue” ma “i paesi che si sono arresi a queste pressioni hanno commesso un enorme errore” ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. “I paesi che non si sono uniti a questa azione, hanno dimostrato responsabilità” mentre la cacciata dei diplomatici (due quelli rimpatriati dall’Italia) è vista da Mosca come un atto di grande ostilità.
L’Italia ha aderito ma si dice pronta a continuare la strada del dialogo confermando la solita politica ambigua e ondivaga che vede Roma stare con tutti ma fino a un certo punto, mai davvero contro qualcuno, il cui esito è solo di amplificare il nostro atavico deficit di credibilità, specie in politica estera.
Pare evidente che se si considerano veritiere le accuse a Mosca di aver usato armi chimiche sul suolo di un Paese della NATO, l’espulsione di alcuni diplomatici risulta una risposta penosamente inadeguata. Se invece tali accuse sono ritenute false o non provate allora ogni ritorsione sul personale diplomatico è ridicola perché arbitraria o, peggio, determinata esclusivmente dalla volontà di non scontentare i “maggiori azionisti” di Nato e Ue.
Un aspetto quest’ultimo che rilancia il grande tema della sudditanza e mancanza di sovranità dell’Italia, incapace di esprimere decisioni autonome (come hanno invece fatto paesi Ue ben più piccoli e marginali) nonostante sia tra le prime 10 potenze economiche e 15 militari del mondo.
Meglio sarebbe prendere una posizione decisa anche per ritagliarsi spazi nazionali di grande rilevanza (come ha fatto Vienna offrendosi per guidare negoziati Est-Ovest) e in vista di sviluppi futuri e forse imminenti.
Molti indizi e voci sembrano confermarlo e ieri l’ambasciatore Usa a Mosca, Jon Huntsman, ha confermato la possibilità che gli asset della Russia negli Usa possano essere sequestrati. “Sì, questa ipotesi esiste”, ha detto Huntsman in un’intervista a RBK, senza però chiarire se si tratta di beni e attività legati alle missioni diplomatiche russe o anche di asset privati.
Londra e Washington intendono inoltre spingere l’acceleratore sul confronto con la Russia, Dai confini Orientali della Nato alla Siria, anche per indurre gli europei ad aumentare le spese militari, dipingendone la pericolosità militare nonostante le forze della Nato siano oltre dieci volte più numerose e le spese militari russe ammontino a un quindicesimo di quelle dell’Alleanza Atlamntica.
Del resto fin dal golpe del Maidan del febbraio 2014 in Ucraina (in cui le responsabilità dei “rivoluzionari” e degli Stati Uniti sono emerse negli ultimi anni, così come le prive che a sparare sulla folla nella piazza furono cecchini che lavoravano per gli insorti non per il presidente Viktor Yanukovic), è apparsa chiara la volontà di Usa e Gran Bretagna (con il supporto di alcuni partner europei) di impedire la saldatura tra una Ue super potenza industriale ed economica e una Russia super potenza energetica.
Fin troppo evidente che se c’era un regime antidemocratico nel Vecchio Continente era in Bielorussia, non certo in Ucraina. Ma da Kiev transitano i gasdotti attorno ai quali stava nascendo la grande intesa russo-europea e per destabilizzarla Usa ed Europa hanno sdoganato persino i neonazisti ucraini.
Del resto fin dalla caduta dell’Urss la dottrina strategica statunitense ha avuto ben chiaro che senza l’influenza diretta sull’Ucraina la Russia cessa di essere una potenza europea, come illustrò alla fine degli anni ’90 Zbigniew Brzezinski nel suo libro “La grande scacchiera”.
Nulla di nuovo a ben guardare poichè se si osserva la Storia balza agli occhi che gli anglo-americani sono intervenuti pesantemente ogni qualvolta sul Vecchio Continente stava per affermarsi una super potenza. Gli esempi non mancano da Napoleone al Kaiser, dal Terzo Reich alla minaccia di invasione sovietica dell’Europa Occidentale, fiino ai giorni nostri col rischio di intese di portata strategica tra Ue e Russia.
da Nuova Bussola Quotidiana
Foto Reuters e Getty Images
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.