Cosa c’entra la guerra di Trump in Siria con la fedeltà atlantica?

Dopo le dichiarazioni bellicose di Trump, cui hanno fatto eco quelle di Macron e Theresa May, c’è chi, come il Segretario del PD Maurizio Martina, parla di obblighi dell’Italia derivanti dalle alleanze di cui facciamo parte.

Mi preoccupa che personalità che hanno rivestito incarichi ministeriali nel nostro governo dimostrino idee confuse su materia tanto delicata come l’appartenenza dell’Italia all’alleanza Atlantica.

Al riguardo non mi pare che la NATO abbia deciso alcunché. Il fatto che gli USA attacchino obiettivi siriani e russi in Siria non farebbe neppure scattare l’articolo 5 che impone a tutti gli alleati di intervenire in armi se uno Stato membro venisse attaccato.

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Che siano o meno state impiegate armi chimiche da parte delle forze di Bashar Assad (personalmente ne dubito perchè non avrebbe alcun motivo per usarle, né militare né politico) è comunque più o meno irrilevante da un punto di vista degli eventuali obblighi degli alleati a sostenere o meno un intervento militare USA, di cui peraltro nulla si conosce se non quanto Trump abbia condiviso via Twitter!

L’eventuale azione militare americana si svilupperebbe senza alcuna copertura di un mandato ONU e già questo fattore, tutt’altro che trascurabile, ne farebbe un’azione squisitamente unilaterale.

La NATO non è stata tirata in ballo da nessuno, non è stata coinvolta dall’insofferente inquilino della Casa Bianca che non ha esposto all’Alleanza le sue preoccupazioni, non ha condiviso le eventuali prove in suo possesso (che finora non possiede, come ha ammesso ieri il segretario alla Difesa, James Mattis) né ha sollecitato una decisione consapevole e soprattutto unanime degli alleati per annunciare un intervento in armi in Siria. Né infine risultano esservi state azioni in tal senso da parte di Francia e Gran Bretagna.

L’eventuale azione militare verrebbe quindi condotta da assetti sotto comando nazionale e sulla base di decisioni assunte a Washington, Parigi e Londra. Nel migliore dei casi si tratterebbe di una “coalition of the willing” che nulla avrebbe a che fare con l’Alleanza Atlantica, come non lo ebbero né Enduring Freedom nè Iraqi Freedom, lanciate dagli USA di Bush junior con britannici e pochi altri alleati.

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Non partecipare e non fornire appoggio a questa operazione, di cui ci sfuggono gli obiettivi finali tra i quali certo non ve ne sono che corrispondano alla stabilità nel Mediterraneo e neppure agli interessi di UE e di Italia, non significherebbe certo una dimostrazione di scarso attaccamento ai valori atlantici e ai legami che ne discendono.

Anzi, sottrarsi a questa avventura militare dimostrerebbe la capacità di elaborare una politica estera e di sicurezza autonoma, che tenga in considerazione i tanto vilipesi “interessi nazionali“.

Come ad esempio fecero Parigi e Berlino nel 2003 quando non solo contestarono l’invasione dell’Iraq ma posero il veto a fornire una “copertura NATO” all’intervento a guida USA, a cui l’Italia si accodò quando la guerra contro Saddam Hussein era finita e sotto l’ombrello di una risoluzione dell’Onu che raccomandava la stabilizzazione del paese arabo.

Dovrebbe essere chiaro che rifiutarsi di sostenere l’operazione che sta configurandosi  in Siria (o di accodarvisi bovinamente), nella cui pianificazione e condotta gli organi dell’Alleanza Atlantica non sono mai stati coinvolti, non inficerebbe assolutamente la fedeltà atlantica dell’Italia!

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Né ci si può nascondere ancora dietro a posizioni di ambiguo compromesso come il “supporto agli USA ma senza partecipare ai raid”, nella peggiore tradizione italiana.

In quest’ottica e nei limiti fissati dagli accordi bilaterali Italia-USA al riguardo (che richiederebbero una riscrittura che ci veda in posizione di minor sudditanza dato che il contesto non è più quello della Guerra Fredda) non dovrebbe essere concessa neanche la disponibilità delle basi aeree situate sul territorio italiano per azioni militari statunitensi nel quadro di questo potenziale intervento, che è squisitamente USA e non NATO.

A meno che non si riconosca che l’esperienza e le “lezioni apprese” partecipando alla guerra contro la Libia di Gheddafi non ci hanno insegnato nulla!

Foto: UK Mod, US Navy, Douma Media Center e Die Welt

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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