Ragioni politiche più che etiche dietro al blitz in Siria

Il twitteromane della Casa Bianca ha lanciato i suoi missili ieri notte! In televisione, ai suoi concittadini, ha detto di essere stato costretto a lanciare tale attacco perché erano state usate armi chimiche. Inoltre, ha ringraziato Francia e Gran Bretagna (non gli “ascari” italiani che hanno promesso supporto alle missioni USA senza però partecipare) per un intervento, privo di un via libera delle Nazioni Unite, lanciato prima dell’arrivo a Douma d’investigatori indipendenti dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC) per tentare di verificare cosa sia stato fatto veramente e da chi.

L’attacco è probabilmente stato lanciato più per motivi politici interni agli Stati Uniti che per motivi etici e per rassicurare Tel Aviv e Riad anche se il Segretario alla Difesa James Mattis ha dichiarato che bisogna intervenire quando vengano violate le leggi internazionali, spesso violate a dire il vero dagli stessi Stati Uniti.

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Non esaminerò la serie di conseguenze di questi interventi muscolari statunitensi, che portano a volte ad abbattere governi sicuramente totalitari (come peraltro ce ne sono molti altri che continuano a operare indisturbati) e poi, su pressioni politiche interne o per essersi “stancati del giocattolo”, vedono gli USA ritirarsi, o limitare al massimo il proprio impegno, lasciando la regione destabilizzata (Iraq, Libia, Afghanistan…).

Nel rispetto delle convenzioni internazionali e nell’evitare vittime civili nei conflitti non sembrerebbe emergere una superiorità morale degli Usa.

Gli USA sono stati gli unici finora ad aver usato armi nucleari, non hanno certo risparmiato in termini di napalm e Agente Orange lanciati sul Vietnam ma anche tralasciando il “passato remoto” gli USA non hanno sottoscritto molte delle convenzioni internazionali che tendono a rendere meno disumani i conflitti, come quella per la messa al bando delle mine anti-uomo e del munizionamento a grappolo: armi di cui anche Washington continua a prevedere la possibilità di farne uso.

Sono convinto che tali convenzioni diventino poco realistiche quando, oltre agli interessi, è in gioco la sopravvivenza personale o della patria,

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Peraltro, la sopravvivenza degli USA non è mai stata veramente a rischio e, nonostante il tragico attacco dell’11/9, normalmente sono a rischio gli interessi geo-strategici o politico-economici statunitensi. Come lo sono oggi, con una crescente credibilità e influenza russa in Medio Oriente e nel Mediterraneo.

Inoltre, l’attenzione statunitense a prevenire danni collaterali delle loro azioni militari tra la popolazione civile ha spesso lasciato perplessi, come dimostrano certi loro attacchi non esattamente “chirurgici” in Afghanistan, che hanno provocato non pochi problemi alla missione NATO.

In conclusione, è pienamente comprensibile che Trump si atteggi a “giustiziere” di fronte ai suoi elettori sia per far passare in secondo ordine i suoi problemi politici interni sia per controbilanciare una politica estera russa più efficace e più credibile nella regione. È altrettanto comprensibile che l’enfant prodige dell’Eliseo ne approfitti per cercare di imporre la Francia come potenza europea di riferimento per il Nord Africa e il mondo arabo.

Analogamente, il contenzioso Mosca-Londra ha origini lontane e profonde che ben poco hanno a che fare con l’indignazione per l’eventuale uso di armi chimiche. Tutto comprensibile nell’ottica sia di interessi politici interni immediati dei tre leader sia di interessi nazionali a lungo termine dei rispettivi paesi.

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Ciò detto, è però opportuno che l’intervento del 14 aprile venga dagli altri (e anche da noi italiani) inquadrato per quello che è: un intervento militare tendente a contenere l’influenza russa, a indebolire Assad, a mandare segnali ai propri alleati regionali quali Israele e Arabia Saudita.

Azione che risponde esclusivamente agli interessi delle tre potenze che sono intervenute e che non ha nulla di umanitario benchè il raid missilistico abbia provocato solo 9 feriti.

Analogamente, sarebbe opportuno sapere se le dichiarazioni di pieno supporto all’azione prontamente rilasciate dal Segretario Generale della NATO Stoltenberg siano prima state concordate con gli ambasciatori tutti i paesi membri (come avrebbe dovuto essere) o se si tratti della sua ennesima iniziativa personale.

Non ci sarebbe nulla di male se Roma si dissociasse da certe iniziative di paesi amici e ne evidenziasse i rischi per la stabilità del Mediterraneo e per il nostro Paese.

Foto: Reuters, AP, EPA  e US DoD

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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