Crisi iraniana: non sempre tutto è come sembra…
La mossa di Trump sull’Iran è dura, sgradevole, politicamente scorretta, invisa agli europei e alla comunità industriale occidentale (anche americana, ma corrisponde alla visione geopolitica a lungo raggio (probabilmente bipartisan, a ben vedere) della potenza massimamente responsabile dell’ordine mondiale, l’unica che può scongiurare una guerra atomica nel Medio Oriente nei prossimi vent’anni. Può non piacere, e infatti non piace, ma potrebbe essere una mossa obbligata e forse anche saggia e lungimirante, per quanto sia vietato solo pensarlo, al di qua dell’Atlantico.
Le informazioni che il vertice statunitense possiede, ed è in grado di acquisire sull’Iran non le ha nessuno altro. Scaturite dalle agenzie intelligence, dai fantascientifici e inarrivabili mezzi a loro disposizione, dall’alleato israeliano, dal mezzo milione di immigrati recenti iraniani in USA che per il 60% hanno ancora parenti in patria e quindi hanno una percezione piuttosto aggiornata e fedele di come vanno veramente le cose (si tratta di emigrati di medio-alto livello, molto edotti degli sviluppi tecnologici del loro paese).
Le ragioni profonde della decisione dell’attuale inquilino della Casa Bianca non sono così superficiali come sono state presentate da molti detrattori. Lasciare che un regime islamico si equipaggi surrettiziamente di armamento nucleare, come sembra stia facendo almeno secondo la visione statunitense (non solo di Trump), significa porre le premesse per una guerra regionale, forse nucleare, di qui a dieci anni o forse meno.
Ritenere che l’esempio nordcoreano (Bomb for Surviving) non faccia scuola presso uno dei paesi più importanti e sottorappresentati del mondo, erede molto consapevole di una gloriosa storia e assai assertivo sul piano geopolitico/ strategico (a ragione, peraltro, basta guardare un atlante e un compendio degli ultimi tremila anni) significa ignorare una realtà incontrovertibile.
Non si può ragionevolmente ritenere che un accordo così lasco come quello firmato a Vienna il 14 luglio 2015 assicuri al di là di ogni dubbio che nell’immenso territorio iraniano le migliaia di tecnici e scienziati che hanno lavorato alla Bomba si convertano improvvisamente al nucleare civile cancellando dai loro cervelli, appunti e pc tutta l’expertise di quarant’anni.
Senza contare che, solo per fare un esempio, col nucleare civile il Giappone ha accumulato il terzo stock di plutonio del mondo e potrebbe costruire armi atomiche in pochi mesi.
Per tutte queste ragioni, e anche per altre che tralascio, questo dilemma – l’Iran potrebbe farsi la Bomba, e in quanto tempo? – non permette approssimazioni. Le conseguenze di una errata valutazione della questione sul versante dell’indulgenza, ovvero dell’aver sottovalutato la volontà, la capacità e la sagacia professionale degli strateghi e scienziati iraniani – per i quali l’acquisizione dell’arma nucleare non può non essere la massima priorità nazionale (Corea del Nord docet) – sarebbero incalcolabili.
Porterebbero ad una proliferazione nucleare nella regione più esplosiva del mondo o, in alternativa, ad una guerra preventiva – convenzionale o anche peggio – da parte di Israele, che non può tollerare neanche l’idea di una Bomba iraniana. Il suo territorio è talmente esiguo che sarebbe spazzato via da un solo ordigno.
Indubbiamente se il Presidente Trump avesse presentato i suoi argomenti in modo più eloquente, convincente e circostanziato, come fece ad esempio John Kennedy nel 1962 a proposito dei missili sovietici a Cuba, la percezione generale della posta in gioco ne avrebbe guadagnato. E’ da sperare che ciò avvenga. Ma l’essenziale è che l’ipotesi peggiore venfa scongiurata.
Foto AP, Youtube e Fars
Andrea TaniVedi tutti gli articoli
Ufficiale di Marina in spirito ma in congedo, ha fatto il funzionario Nato e il dirigente presso aziende attive nel settore difesa. Scrive da quasi un quarantennio su argomenti navali, militari, strategici e geopolitici per pubblicazioni specializzate e non. Vive a Roma.