Da Trump quasi una dichiarazione di guerra all’Iran

Da Il Mattino del 9 maggio Titolo originale “I rischi di una guerra e i danni per l’Europa”

La decisione di Donald Trump di uscire dall’accordo sul programma nucleare iraniano potrebbe determinare una grave escalation nella già precaria stabilità del Medio Oriente con riflessi molto preoccupanti per l’area del Mediterraneo e l’Europa.

Benchè l’accordo del 2015 resti a tutti gli effetti in vigore per gli altri firmatari, la defezione degli Stati Uniti lo rende quasi inutile determinando ora un ampio margine di manovra anche per gli alleati regionali più ostili all’Iran e cioè Israele l’Arabia Saudita.

Beniamyn Netanyahu del resto aveva preparato il terreno alla decisione annunciata da Trump fornendo alla Casa Bianca la “pistola fumante”, con i ben 55 mila documenti riservati che proverebbero le responsabilità di Teheran nel perseguire segretamente il proprio programma per sviluppare ordigni atomici.

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Rivelazioni che emergono al momento giusto e appaiono funzionali a giustificare e la decisione di Trump ma che verso le quali è lecito dubitare specie dopo la serie di figuracce rimediate recentemente dalle potenze occidentali incapaci di dimostrare la fondatezza delle accuse rivolte a Mosca per il caso Skripal e a Damasco per l’ipotetico usi di armi chimiche a Douma.

Certo l’Iran ha lavorato a lungo alla “bomba” e non è escluso che in segreto cerchi ancora dotarsi di un arsenale atomico che bilanci quello israeliano e quello potenziale saudita.

Non più vincolati dal rispetto dell’accordo, Usa e alleati potrebbero dare il via ad azioni militari contro le forze iraniane in Siria (già più volte colpite dai raid aerei israeliani) oppure contro le milizie Hezbollah in libano o addirittura colpire in territorio iraniano basi e bunker sotterranei sospettati di produrre armi di distruzione di massa, oppure i missili balistici a medio raggio in grado di colpire Israele e bersagli posti fino a oltre 3mila chilometri di distanza.

Armi che Teheran ha sempre ritenuto irrinunciabili, affermando che il loro possesso non è negoziabile ma che rappresentano uno dei pretesti sbandierati da Trump per giustificare l’abbandono dell’accordo.

Non c’è dubbio che i vettori balistici a medio e lungo raggio siano armi strategiche e abbiano un senso compiuto solo se portano armi di distruzione di massa ma è altrettanto noto che Israele ne schiera molte decine e dispone (anche se non lo ha mai ammesso ufficialmente) di circa 200 testate nucleari. Un arsenale che rende meno sostenibile la pretesa di Gerusalemme di negare il possesso di tali armi ad altri Stati della regione.

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Anche l’Arabia Saudita dispone di oltre un centinaio missili balistici DF-3 (nella foto) e più moderni DF 21 a medio raggio, con gittata tra i 1.800 e i 4.000 chilometri.

Armi basate ad al-Watan (vicino a Riad) e su lanciatori mobili, acquisite in Cina col via libera di Washington, mostrate in pubblici nel 2014  (i DF-3) ma che non sembrano evidentemente preoccupare né l’Onu né l’Occidente.

Eppure i sauditi il “loro” programma nucleare lo hanno completato già da molti anni finanziando “l’atomica islamica” del Pakistan che aveva la necessità di bilanciare le armi nucleari indiane.

Secondo diffuse indiscrezioni Riad, in cambio dei petrodollari, ha preteso la piena disponibilità di alcune testate pakistane da impiegare in caso di guerra totale contro l’Iran e proprio ieri l’Arabia Saudita ha espresso sostegno alla decisione di Trump avvertendo che si doterà di armi atomiche se l’Iran dovesse riprendere il suo programma nucleare, monito già espresso dal principe saudita Mohammed bin Salman lo scorso marzo.

Anche per questa ragione la decisione di Trump rischia di dare il via a una nuova corsa al riarmo nel Golfo che interesserà il settore nucleare, dei missili balistici ma anche delle armi convenzionali. Se ne preoccupa anche il ministro degli Esteri della Giordania, Ayman al-Safadi, che ieri ha ammonito circa “le pericolose ripercussioni” dell’uscita degli Stati Uniti dall’accordo nucleare iraniano.

Un’opzione che apre a nuovi possibili mega contratti per forniture di armi sofisticate prodotte soprattutto in Usa, Europa e Russia ma che comporterebbe il rischio di infiammare l’intera regione petrolifera.

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Provocazioni statunitensi, israeliane o saudite in Siria, Libano o nel Golfo Persico potrebbero determinare risposte iraniane che costituirebbero il casus belli per un conflitto su vasta scala tra i blocchi scita e sunnita, il primo sostenuto da Mosca e Pechino e il secondo da Israele e Stati Uniti.

Del resto Trump non si è limitato ad affermare che gli Usa lavoreranno insieme ai loro alleati per trovare una “soluzione definitiva” alla minaccia nucleare iraniana ma ha chiaramente fatto riferimento alla volontà di far cadere il “regime sanguinario di Teheran che opprime la popolazione da 40 anni”.

Qualcosa di simile a una dichiarazione di guerra dietro a cui si cela forse lo “zampino” di John Bolton, il “falco” neo consigliere per la sicurezza nazionale fautore “regime change”. Basterebbe però riflettere sui falliti tentativi di far cadere il regime di Bashar Assad in Siria per avere un’idea di quale ampiezza potrebbe avere una guerra su vasta scala contro l’Iran.

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Uno scenario disastroso anche per l’Europa, che difende l’accordo del 2015 finora rispettato alla lettera dall’Iran e sembra voler alzare i toni con Trump che ha già annunciato sanzioni all’Iran e alle aziende straniere che coopereranno con i programmi strategici iraniani.

Il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha definito la decisione degli Stati Uniti di uscire dall’accordo nucleare con l’Iran “un vero errore diplomatico” aggiungendo che “non è accettabile” che gli Usa si pongano come “gendarme economico del pianeta”.   Le Maire ha ammesso che la decisione di Trump avrà “conseguenze” per le imprese francesi, citando Total, Sanofi, Renault e Peugeot: “In due anni – ha detto parlando a France Culture – la Francia aveva triplicato il suo surplus commerciale con l’Iran”.

Dopo i danni commerciali inflitti dalle sanzioni volute dagli Usa contro la Russia, europei e soprattutto italiani hanno tutto da perdere ora dall’aggressività di Trump verso l’Iran non solo perché sono partner commerciali importanti di Teheran ma perchè un Medio Oriente in fiamme determinerebbe lo stop ai flussi energetici e il boom ai flussi di immigrati illegali e profughi di guerra.

La nuova crisi iraniana conferma, se mai ce ne fosse bisogno, quanto siano ormai divergenti gli interessi dell’Europa da quelli degli Usa, alleato sempre più ingombrante che da anni persegue la destabilizzazione di tutte le aree strategiche ed  energetiche (Nord Africa, Medio Oriente e Ucraina) indispensabili alla stabilità del Vecchio Continente.

@GianandreaGaian

Foto: American Free Lress, Jane’s Defence Weekly, Fars e AP

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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