Se Trump si compera la Corea del Nord

Curioso notare che per Donald Trump il presidente siriano Bashar Assad è “un animale” mentre il sanguinario dittatore nordcoreano Kim Jong-un, ora che si è detto pronto al dialogo, è diventato quasi un amico da proteggere.

La risposta ai curiosi mutamenti di umore e simpatie di Trump nello scenario geopolitico va forse cercata negli obiettivi strategici statunitensi. La dura reazione di Kim all’avvio delle manovre militari congiunte tra le forze Usa e sudcoreane (poi sospese per placare l’irritazione di Pyongyang) aveva rialzato la tensione a meno di un mese allo storico incontro tra Trump e previsto a Singapore il 12 giugno.

In Corea del Nord non andrà a finire come in Libia, ha detto Trump, intendendo così scongiurare l’ipotesi di una deposizione “manu militari” del leader nordcoreano come avvenne nel 2011 con il rais libico.

Il parallelo tra Corea del Nord e Libia era stato formulato dal nuovo consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, che aveva proposto il “modello libico” del 2003 per il processo di denuclearizzazione nordcoreano.

Un richiamo non tanto rivolto alla guerra voluta da Barcak Obama, Nicolas Sarkozy e David Cameron contro Muammar Gheddafi, ma a quel processo che indusse il Colonnello libico, dopo gli interventi militari che fecero cadere i Talebani in Afghanistan e Saddam Hussein in Iraq, a consegnare volontariamente le sue armi di distruzione di massa agli anglo-americani.

Se mai esiste un parallelo tra la sorte dei regimi nord coreano e libico questo andrebbe cercato proprio nella valutazione che nessuno avrebbe osato attaccare Gheddafi nel 2011 se il raìs non avesse rinunciato anni prima alle sue armi chimiche e al programma atomico.

Il presidente americano ha minimizzato la reazione di Pyongyang, che aveva sospeso i colloqui con Seul e lanciato un monito agli Usa in seguito alle esercitazioni militari nel Sud.

Trump vuole entrare nella Storia firmando un accordo che lo rilancerebbe sul piano internazionale come sul fronte interno facendo forse dimenticare il Russiagate.

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Un successo che potrebbe garantirgli quel Nobel per la Pace che al suo predecessore venne addirittura dato sulla fiducia, appena insediatosi alla Casa Bianca.

Il presidente americano vuole un accordo di pace in Corea e rassicura Kim affermando ch, se denuclearizza come ha già cominciato a fare smantellando il principale sito atomico del Paese, avrà “tutte le protezioni che merita”.

“In Libia abbiamo decimato il Paese. Non c’è stato un accordo per tenere in piedi Gheddafi, nessuna assicurazione di una sua protezione. E in Corea del Nord se non facciamo l’accordo si ripeterebbe quel modello” che ha portato solo a una grande instabilità, ha affermato Trump aggiungendo però che, senza accordo, il modello libico sarà “molto probabile”.

Quindi Washington è pronta a tollerare e addirittura sostenere la sopravvivenza del regime comunista di Kim se disarma gli arsenali nucleari, ma resta nemica di Assad in Siria e auspica un “regime change” in Iran, Stati questi ultimi due che le armi atomiche ancora non le hanno.

Una politica forse un po’ incoerente ma che conferma come il possesso di armi nucleari costituisca oggi l’unica garanzia di non subire “attacchi preventivi” statunitensi.

Del resto l’obiettivo di Washington, emerso nei giorni scorsi dalle parole del segretario di Stato, Mike Pompeo, è investire miliardi di dollari in Corea del Nord una volta siglato l’accordo di pace.

Non è quindi difficile intuire che dietro al tentativo di “comprare” la Corea del Nord con investimenti statunitensi e sudcoreani, si cela la volontà di strappare la Corea del Nord dall’area di influenza cinese traghettando il regime verso l’Occidente.

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Difficile ritenere che cambiamenti così radicali e profondi in una società nordcoreana rimasta isolata dal mondo per 70 anni non abbiano anche ripercussioni sul regime di Kim ma è evidente che se Pyongyang uscisse dall’orbita cinese per Xi Jinpng sarebbe uno smacco di portata formidabile. Un duro colpo alla pretesa cinese di ampliare la propria influenza e porsi come punto di riferimento per i Paesi dell’Asia/Pacifico.

La portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders ha sottolineato come il presidente Trump sia più che mai pronto ad incontrare Kim. “I preparativi vanno avanti e al momento non c’è alcun cambio di programma”. Pyongyang ha però ribadito che “dialogo e giochi di guerra sono inconciliabili. “La Corea del Nord non riavvierà i colloqui con Seul finchè Usa e Corea del Sud terranno le manovre militari aeree attualmente in corso.

Nei giorni scorsi a Washington si ipotizzava che dietro ai toni nuovamente duri di Pyongyang si nascondesse la volontà cinese di rialzare la tensione sulla Corea in concomitanza con l’aspro confronto tra Usa e Cina sulla questione dei dazi commerciali.

Il presidente Usa disse di ritenere Pechino responsabile del voltafaccia nordcoreano reso noto, forse non a caso, poco dopo l’incontro tra Xi e Kim. Lo stop alle esercitazioni congiunte Usa/Corea del Sud e soprattutto l’intesa commerciale Usa/Cina raggiunta nelle ultime ore potrebbero riportare il sereno, almeno per ora, nei cieli dell’Estremo Oriente.

@GianandreaGaian

Foto : Startmag, Dauily Express e Mondo Missione

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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