Aumentano anche in Italia i detenuti islamici radicalizzati
Circa 600 radicalizzati islamici nelle carceri italiane da tenere d’occhio, 70 detenuti per terrorismo internazionale, 54 espulsioni di estremisti islamici solo da gennaio “per motivi di sicurezza nazionale” e il rischio dei foreign fighters che ritornano.
Questo il quadro che responsabili di servizi e forze di polizia hanno presentato al ministro dell’Interno Matteo Salvini, che mercoledì ha presieduto la sua prima riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica e ieri ha partecipato al Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa).
Molti degli espulsi sono stati individuati proprio nelle carceri, ambienti che continuano a produrre radicalizzazione. Delle circa 20mila persone straniere detenute in Italia, circa 8mila sono islamici e nel 2017 quelli sotto osservazione per radicalizzazione sono molto aumentati rispetto al 2016: 506 contro 365. E quest’anno sono diventati circa 600. Questi detenuti sono monitorati dal Dap con tre livelli di allerta: alto, medio e basso.
Il ministro Salvini esprime tuttavia grande fiducia nell’operato degli apparati di sicurezza: “abbiamo ottime forze ordine che fanno bene loro lavoro”, ha spiegato, segnalando però il problema dell’invecchiamento degli agenti. “Ho già sollecitato – ha annunciato – il ministro dell’Economia Giovanni Tria: perdiamo migliaia di unità ogni anno e l’età media supera i 50 anni: il problema tra alcuni anni sarà serio. Bisogna procedere ad un piano di reclutamento che abbassi l’età’ media”.
Problematica sentita anche nelle forze armate e un obiettivo, quello espresso da Salvini, condiviso dai sindacati Siap e Associazione nazionale funzionari di polizia: “sono necessarie energie nuove per potenziare tutte le attività di prevenzione e repressione connesse alla sicurezza nazionale”.
Nuovi dati sono enersi anche sul fronte del rientro in Italia dei reduci dello Stato Islamico.
“Su 125 foreign fighters legati all’Italia (in totale sono circa 130) almeno il 33,6% e’ deceduto, mentre ad aprile 2018 il 19,2% è già’ ritornato in Europa (il 9,6%, in particolare, in Italia).
E per almeno il 24% dei soggetti si ritiene che l’attività sia ancora in essere nell’area del conflitto, benchè le informazioni al riguardo siano piuttosto incerte”. E’ quanto si legge nel rapporto ‘Destinazione Jihad. I foreigh fighters d’Italia’, a cura dell’Osservatorio sulla Radicalizzazione e il Terrorismo Internazionale dell’Ispi.
Il documento offre per la prima volta un’indagine sistematica e approfondita dei profili individuali di 125 dei circa 130 foreign fighters legati all’Italia, che si sono recati in aree di guerra dall’inizio dei conflitti legati alle cosiddette Primavere Arabe (Siria, Iraq e Libia) fino a ottobre 2017. Lo studio è stato realizzato sulla base di informazioni fornite in esclusiva dal ministero dell’Interno e dalla Polizia di Stato.
Per il rapporto “non risulta che alcun foreign fighter presente nella lista ufficiale italiana sia stato coinvolto attivamente nel supporto e tantomeno nell’esecuzione di attacchi terroristici in Occidente. Nondimeno, secondo le informazioni disponibili, per almeno tre individui esistono alcune indicazioni, per quanto parziali, relative a un interesse nella pianificazione di attacchi in Occidente
(con fonti Ansa e AGI)
Foto Lapresse e AFP
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