L’Europa arranca di fronte al terrorismo islamico
Incapace di controllare i flussi migratori illegali che alimentano criminalità e jihadismo oltre ad arricchire anche le organizzazioni terroristiche, inefficace nel gestire il problema della radicalizzazione islamica di criminali comuni all’interno degli istituti penitenziari, inabile persino a trovare un’intesa tra i diversi Stati per punire con il carcere i foreign fighters che rientrano dai campi di battaglia dove hanno militato sotto e bandiere del Califfato o di al-Qaeda, l’Europa arranca in modo sempre più evidente e imbarazzante nella lotta al terrorismo islamico.
Se di combattere l’estremismo musulmano in Europa non si parla neppure, complice il buonismo multiculturale suicida che domina governi e ambienti culturali, anche il contrasto ai terroristi conclamati e manifesti sembra diventare una “mission impossible” per i sistemi giudiziari e le forze di sicurezza del Vecchio Continente.
Basti pensare all’allarme lanciato dal procuratore antiterrorismo francese, François Molins, che in un’intervista alla tv BFM ha annunciato che 40 detenuti per terrorismo dovrebbero essere rilasciati dalle carceri francesi tra quest’anno e il 2019.
Molins sostiene che il rientro nella società di queste persone pone un “rischio enorme”, dato che molti di loro potrebbero non essersi pentiti.
La situazione deriva dal fatto che prima del 2016 – spiega Molins – ancora si sottovalutava il pericolo posto dall’ISIS e gli imputati subivano dunque condanne più leggere rispetto a quanto avvenuto in seguito con tutti coloro che si sono trasferiti in Iraq e Siria per unirsi allo Stato islamico.
L’uscita dal carcere di terroristi pericolosi e potenzialmente recidivi andrebbe ad accentuare una “minaccia endogena” già forte in Francia, dive sono 6 mila gli islamici tenuti sotto controllo perché considerati pronti a entrare in azione.
Anche in Belgio la situazione è sempre più grave come ha evidenziato l’ultimo attacco terroristico compiuto a Liegi dove “un soldato dello Stato islamico” (il Califfato ha rivendicato l’attacco attraverso la sua agenzia di stampa Amaq) ha ucciso due poliziotte aggredendole “selvaggiamente” con un coltello alla schiena per poi finirle con le pistole sottratte alle agenti agonizzanti.
Il belga Benjamin Herman, convertito all’Islam, ha ucciso anche uno studente al grido di “Allahu Akbar” ma ha invece risparmiato (perché musulmana) un’inserviente all’interno di una scuola in cui si era barricato, per poi farsi abbattere in strada da una pioggia proiettili (non prima di aver ferito altri 4 poliziotti) esplosi dagli agenti forse non troppo inclini a prendere vivo il killer delle loro colleghe.
L’attacco ha colpito Liegi a sette anni dalla carneficina della Place Saint Lambert, dove un belga di origini marocchine aveva lanciato granate e sparato sulla folla dei mercatini di Natale.
Herman era in carcere dal 2003 per reati minori ma violenti, doveva uscire nel 2020 ma era uscito di prigione grazie all’ennesimo permesso finalizzato al suo reinserimento nella società.
Il reintegro sociale dei jihadisti è la stessa assurda pretesa accampata dalla Ue per non incarcerare i foreign fighters rientrati in Europa.
Il sospetto (ma ormai è una certezza) è che il giovane belga sia diventato islamico e terrorista in carcere. La notte prima della strage ha ucciso a martellate in testa anche Michael Wilmet, ex tossicodipendente, ex pusher ed ex detenuto.
“La psicologia di questa persona suscita molte domande” ha detto il ministro dell’Interno belga Jambon. “Possono esserci motivi di radicalizzazione ma forse anche ragioni al fatto che Herman non aveva più prospettive nella nostra società”.
Valutazioni che lasciano il tempo che trovano mentre i famigliari delle vittime si chiedono perché a criminali simili vengano concessi i permessi carcerari per il reinserimento sociale.
Un destino che certo non riguarderà l’uomo che il 30 maggio a Schiedam, vicino a Rotterdam, gridava “Allahu Akbar” sul balcone di casa con un’ascia in mano e dopo aver ferito un cane poliziotto è stato ucciso dagli agenti olandesi.
I guai della Vecchia Europa nella guerra al terrorismo riguardano anche la cooperazione transnazionale.
Il governo britannico accusa infatti la Francia di guidare “l’ostruzionismo” a un accordo che garantisca il mantenimento della cooperazione sulla sicurezza fra Londra e la Ue dopo la Brexit. Secondo il Times, Parigi vorrebbe tagliare fuori Londra dalla partecipazione alla Convenzione di Prum 2 sulla condivisione europea delle informazioni d’intelligence e di polizia nella lotta al terrorismo e alla criminalità.
L’obiezione di Parigi sarebbe legata al rifiuto britannico di accettare la giurisdizione della Corte europea di giustizia.
Un atteggiamento che fonti diplomatiche britanniche sentite dall’ANSA hanno definito “deludente”, ma che ben illustra il pressapochismo, le diffidenze e soprattutto l’inadeguatezza con cui l’Europa fa fronte alla minaccia terroristica islamica.
Foto: AFP, Reuters, Ansa. Cartoon by Tom Toles, Washington Post
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.