Immunità per i militari egiziani coinvolti nelle repressioni del 2013

AsiaNews – Il Parlamento egiziano ha approvato una legge che protegge alti ufficiali dell’esercito da procedimenti penali, in riferimento alla durissima repressione seguita alla cacciata dell’ex presidente Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, nel 2013. Inoltre l’attuale capo di Stato, Abdul Fatah al-Sisi, potrà nominare ufficiali di suo gradimento e concedere loro lo status di riserva permanente.

I destinatari del provvedimento potranno beneficiare di privilegi ministeriali e dell’immunità – anche nei viaggi all’estero – per qualsiasi crimine commesso fra il luglio 2013 e il giugno 2014. Durante questo periodo di proteste e scontri fra esercito e simpatizzanti del movimento estremista islamico salito al potere due anni prima sarebbero morti oltre mille manifestanti.

Secondo alcune stime sono state arrestate o fermate fra le 16mila e le 41mila persone; i tribunali hanno emesso centinaia di condanne a morte al termine di processi di massa. La maggior parte degli imputati erano simpatizzanti di Morsi e del suo movimento ora al bando nel Paese. Tuttavia, la repressione ha colpito anche liberali e attivisti laici.

In questo periodo si è consumata una delle peggiori e più sanguinarie repressioni della storia moderna dell’Egitto. Il 14 agosto 2013 soldati e agenti di polizia hanno disperso con la forza due sit-in promossi da migliaia di simpatizzanti di Morsi a piazza Rabaa al-Adawiya e Nahda, uccidendo almeno 900 persone.

Le forze di sicurezza hanno massacrato altri 60 manifestanti riuniti all’esterno del quartier generale della Guardia Repubblicana al Cairo, l’8 luglio dello stesso anno. E ancora, almeno 95 manifestanti al Manassa Memorial il 27 luglio e 120 dimostranti a piazza Ramses il 16 agosto.

Una commissione di inchiesta governativa ha approfondito le violenze relative a quel periodo e ha suggerito di non procedere per vie giudiziarie. Tuttavia, gruppi pro diritti umani fra cui Human Rights Watch (Hrw) affermano che la natura “sistematica e diffusa” di quegli omicidi fa pensare che esse siano parte di una politica di Stato che prevede l’uso della forza contro le voci critiche.

 

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