Le nuove prerogative dell’Italia in un’Europa che segna il passo

Passate le analisi a caldo delle tifoserie pro e anti governative, cerchiamo di inquadrare l’esito dell’ultimo vertice del Consiglio europeo in termini più semplici, fattuali, evitando per quanto possibile ambiguità e settarismi.

Considerate le premesse, i preliminari del vertice di fine giugno 2018 dei Capi di Stato e di governo UE, in cui si sono palesate divisioni fra Stati membri, irrituali litigi poco diplomatici, pesanti intromissioni nella vita politica e democratica di Stati vicini (Francia verso Italia ad esempio), presunzioni di influenze fra Stati membri, debolezza e asservimento ai più forti della stessa burocrazia dell’Unione, non si potevano certo prevedere decisioni concrete e condivise sui temi economici, o addirittura favorevoli alle giuste rimostranze italiane, greche, spagnole e maltesi, sull’immigrazione.

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Si è evitato formalmente di far saltare il tavolo attraverso compromessi al ribasso, rinviando ancora le decisioni operative, lasciando la patata bollente alla Presidenza di turno austriaca, al prossimo vertice di fine anno cercando di non scontentare del tutto un’Italia finalmente poco remissiva pur lasciando in sostanza invariate le cose.

Tipiche manovre delle burocrazie più smaliziate e anche deterioriate. Prendere tempo, imbonire, smuovere un po’ le acque affinché nulla o poco cambi e in tempi possibilmente lunghi.

E tuttavia fra liti, confusione e compromessi salvatutto, vanno segnalate alcune novità emerse.

a) Innanzitutto si dovrà cambiare politica sull’immigrazione (revisione del trattato di Dublino) pena la dissoluzione dell’Unione europea quale concepita finora e l’aggravante (secondo la visione euro tecnocratica) di consentire un rafforzamento anomalo e squilibrato degli Stati sulle politiche comuni.

b) L’Italia, con azioni appropriate o inappropriate, con sagacia o inesperienza, secondo il giudizio delle contrapposte parti politiche, ha portato sul tavolo i problemi con chiarezza, ha presentato una sua proposta scritta per una maggiore condivisione europea della crisi migratoria, rifiutando ricette già confezionate da altri come avveniva immancabilmente da tempo.

Ha spiazzato Stati e istituzioni europee minacciando l’uso del veto sia sul tema immigrazione che sulle proposte di riforme sul versante economico e degli assetti delle banche, sorprendendo coloro abituati fino a ieri a contare sulla nostra remissività, su una attitudine oltremodo prudente al momento delle decisioni vere, sovente delegante ad altri pur di ottenere, da una posizione negoziale debole, qualche agevolazione nella flessibilità di bilancio.

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Nel recente passato si è giunti perfino a condividere decisioni di gestione di affari attinenti alla esclusiva sovranità dello Stato quali la legittima tutela dei nostri interessi primari (Libia ad esempio) e dei nostri confini. Questioni, queste ultime, che nulla hanno a che vedere con il paventato “sovranismo”.

c) Si è avuta una conferma chiara e netta che in un periodo di crisi complesse, regionali, non sempre prevedibili, il multilateralismo vada alimentato e rafforzato non solo a parole e con schemi oramai anacronistici bensì attraverso la presa di coscienza della evoluzione dei tempi, dei comportamenti di alleati e partner, degli adattamenti concreti e adeguati da apportare ad una politica estera che esprima oltre alla lealtà a trattati ed alleanze anche identità nazionale e tutela degli interessi legittimi di uno Stato.

Segnalammo da tempo che, proprio per poter meglio contribuire ad un’evoluzione positiva del multilateralismo, dei trattati, delle alleanze, si sarebbe accentuata sempre più marcatamente la necessità di presentarsi a tutti i tavoli e ai vertici internazionali con una posizione negoziale consistente, chiara e univoca, non subordinata, frutto di una politica estera credibile, coerente, attenta anche alla difesa dei legittimi interessi nazionali, pur agendo con convinzione nel rispetto di trattati ed alleanze.

Sembra imporsi, considerato il contesto, una revoca delle deleghe ad occhi chiusi agli organismi internazionali, dell’appiattimento, della eccessiva prudenza diplomatica d’antan.

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I fatti, a partire dalle azioni di disturbo dei nostri stretti alleati europei, mostrano purtroppo scenari ben diversi non più trattabili con approcci felpati, alla fine inconcludenti se non oggettivamente dannosi.

I mancati correttivi, i ritardi nell’adottare finalmente una politica estera più dinamica, muscolare (nel senso di chiarezza e determinazione) hanno purtroppo allargato ulteriormente il divario che ci separa dai nostri alleati-concorrenti i quali non si sono certo trincerati dietro la solidarietà europea, atlantica onusiana, quando si è trattato di difendere interessi nazionali, considerati prioritari, anche a scapito degli Stati vicini e alleati.

Il necessario rinnovamento di strategie, con conseguente effettiva esecuzione delle stesse in base ad obiettivi operativi ed al raggiungimento di risultati verificabili, delle risorse umane a livello apicale e dirigenziale, in particolare nei ministeri dove le responsabilità di indirizzo e gestione della nostra politica estera hanno portato a risultati sostanzialmente fallimentari, saranno le vere sfide ravvicinate per un concreto riposizionamento del nostro Paese.

IFRONTEX

Per cercare di contribuire giustamente al rinnovamento di una pesante, rigida, fin troppo invasiva euro burocrazia dovremmo avere il coraggio e la lungimiranza di agire parallelamente senza indugi sulla nostra burocrazia, allontanatasi negli anni sempre più dai primari principi di efficienza, etica professionale, competenza meritocratica.

Purtroppo non possiamo contare su una prestigiosa, rispettata Alta scuola dell’Amministrazione, tipo ENA francese, da cui ripartire per inculcare quei concetti, considerati del passato, che resero e rendono tuttora forti le amministrazioni in senso positivo per lo Stato, anche a livello internazionale, e non ottusamente repressive per il cittadino. Si diceva un tempo che “i ministri passano ma gli alti dirigenti e funzionari dello Stato restano”, fanno girare al meglio la macchina anche in assenza dei ministri o in presenza di ministri deboli, incompetenti, a volte designati irresponsabilmente per ricoprire ruoli così importanti.

Negli ultimi anni ad esempio la decadenza purtroppo visibile, palpabile di un ministero, una volta gioiello, cruciale per la nostra rilevanza internazionale quale gli Esteri è testimoniata da una tendenza negativa difficilmente contestabile. In generale colpiscono alcuni aspetti non secondari: una rilevanza internazionale ben al di sotto di una media potenza come l’Italia; adattamento ai tempi, competitività con i nostri alleati-rivali poco concreta, impalpabile; presenze italiane di rilievo negli organismi internazionali ben al di sotto dei rilevanti contributi erogati, conseguenza questa di un’azione anacronistica e debole a sostegno alle nostre candidature da parte dei terminali operativi dello stesso ministero.

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A questo vanno aggiunti i colpevoli ritardi nella impostazione ed esecuzione di azioni in aree considerate prioritarie per l’Italia quali il Sahel o Mediterraneo allargato e il malessere interno dello stesso ministero palesato fragorosamente nei primi mesi dell’anno in corso dalle dimissioni del direttore generale degli affari politici, dalla contestazione anche scritta da parte del sindacato dei diplomatici al segretario generale del Ministero, evento rarissimo negli annali, infine dalle dimissioni, per motivi personali si è scritto, della Direttrice dell’Agenzia della cooperazione internazionale.

Si spera che il nuovo ministro, la cui competenza rispetto ai recenti predecessori non è in discussione, riesca in breve a mettere ordine, a ritrovare le motivazioni del personale, a rinnovare in termini operativi sia il personale dirigenziale responsabile di malesseri e risultati scadenti che i metodi per conseguire gli obiettivi, valorizzando magari anche i meriti reali e i titoli acquisiti con esperienze positive di incarichi sul terreno piuttosto che di permanenze a Roma.

Il migliore auspicio per tutti sarebbe che riuscisse a costruire un gioco di squadra creativo, moderno, efficace e al tempo stesso contribuisse a far parlare con una voce tutti i ministeri coinvolti nella nostra proiezione internazionale.

A prescindere dai risultati elettorali, da maggioranze e opposizioni, riacquisire credibilità internazionale oltre ad efficacia e continuità nelle azioni, come richiesto dai tempi, attuando realmente una politica estera determinata, coerente, inclusiva di un’autonomia decisionale negli affari ancora riservati alla competenza di ciascun Stato, dovrebbe essere considerata ormai questione così urgente e prioritaria da far convergere opposizione e maggioranza di governo almeno su temi specifici, oggettivamente di interesse nazionale.

Rinnovare un’unità di intenti sul palcoscenico internazionale evitando provincialismi, trappole e anche dichiarazioni contrastanti fra ministri una volta adottata la linea da seguire induce al rispetto, ad una ritrovata credibilità internazionale, al cambio di passo auspicato.

Foto: EPA, Ansa, Marina Militare e Frontex

 

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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