L’Isis è un “mutante”: non è scomparso, ha solo cambiato forma
Per poter comprendere il fenomeno terroristico dell’ISIS occorre sottoporre ad una attenta e accurata valutazione i prodromi da cui origina – unitamente alla strategia che lo sottende – in quanto l’analisi dei fenomeni terroristici pone in risalto che:
- tutte le forme terroristiche implicano una dottrina geopolitico-strategica che le innesca, le alimenta e le dirige sugli obiettivi (strategici) da perseguire. Ad iniziare dal Regime del Terrore (luglio 1793-luglio 1794), innescato dai componenti del Comitato di Salute Pubblica, la cui valenza geopolitico-strategica si imperniava sulla preoccupazione di un’invasione prussiana e sulla paura della restaurazione dell’Ancien Regime. I rivoluzionari francesi temevano complotti e cospirazioni interne ad opera di coloro che erano rimasti fedeli al sovrano, i cosiddetti “realisti”, i quali furono le principali vittime del terrore: «… Bisogna che i nemici periscano… solo i morti non tornano indietro…».
Analogamente può dirsi dei “narodniki” del populismo russo – movimento politico e culturale nato nell’Impero russo – sviluppatosi nel XIX secolo nelle città e costituito da intellettuali e studenti. Tali narodniki – i cui obiettivi si incentravano su emancipazione delle masse contadine, fine dell’autocrazia zarista e realizzazione di una società socialista. Anche le Brigate Rosse nazionali si proposero quali avanguardie della rivoluzione proletaria;
- suscitare di sentimenti di terrore negli avversari – per poter meglio imporre loro la propria volontà – è da sempre un “imprinting” della guerra o un metodo di lotta politica. Ed aggredire, nei regimi democratici, il diritto alla vita e alla sicurezza, sia singola sia collettiva, tende a conseguire – come obiettivo strategico – l’imposizione di un nuovo assetto politico.
La democrazia si fonda sul rispetto delle regole e sul giusnaturalismo incentrato su: diritto alla vita, diritto alla libertà – purché non leda i diritti altrui – diritto alla sicurezza fisica, diritto alla proprietà fondata sul lavoro, con limitazioni dei poteri del decisore politico.
Per la teoria giusnaturalista esiste una legge naturale precedente e superiore allo Stato – che attribuisce diritti soggettivi, inalienabili e imprescrittibili agli individui singoli – prima che si fosse costituita qualsiasi società.
Di conseguenza lo Stato, che sorge per volontà degli stessi individui, non può violare questi diritti fondamentali – se li viola diventa dispotico – e in essi trova i propri limiti. Il terrorismo, pertanto, è la tipica arma impiegata contro le democrazie per condizionare o interrompere quel consenso che collega i governanti ai governati.
L’attacco viene rivolto quasi sempre verso democrazie più o meno industrializzate, tenuto conto che l’industrializzazione comporta la specializzazione del lavoro e una maggiore interdipendenza fra i diversi settori di una società. Di conseguenza più un’organizzazione sociale è complessa, maggiormente estese sono le conseguenze della distruzione di uno dei suoi elementi produttivi. E quindi maggiori sono i danni, più elevata è la probabilità di provocare la reazione popolare o soluzioni dittatoriali sia monistiche sia proletarie.
Ma ciò che fa del terrorismo una tipica arma contro la democrazia sono:
- la sua assoluta dipendenza dagli organi di informazione, per la divulgazione delle sue “gesta” tramite i moderni mass-media (propaganda dei fatti);
- l’interruzione del rapporto di fiducia fra «governanti» e «governati»;
- il terrorismo sta assumendo sempre più spesso il carattere di “guerra surrogata”, cioè quale strumento particolarmente idoneo per sviluppare conflitti asimmetrici. Ancorché preconizzato nel 1978 (cfr. Rassegna dell’Arma dei Carabinieri anno 1978, n.4), ha trovato la sua attuazione a livello strategico nel 2001, passando dal livello tattico della “propaganda dei fatti” ad “operazione paramilitare” – con acquisizioni informative, pianificazione ed attuazione secondo i canoni della guerra – compiuta tramite due aeroplani (di linea) schiantatisi contro le Torri Gemelle di New York, annichilendo l’avversario.
Successivamente il terrorismo si è trasformato in “guerra ibrida”, con la comparsa sullo scenario internazionale di ISIS.
La guerra ibrida, incentrata sulla infowarfare, non segue regole perché non ne esistono. E non rispetta convenzioni in quanto gli attori sono quasi sempre non statuali e difficilmente individuabili perché si rifugiano dietro l’anonimato. L’informatica, pertanto, è diventata struttura portante di una nuova tipologia di conflitto – a bassa intensità – definita “guerra ibrida”. Questa nuova forma conflittuale combina abilmente la guerra convenzionale, la guerriglia, il terrorismo e la infowarfare ormai assurta a cyberwarfare. Inoltre impiega tutti i mezzi disponibili e si sviluppa su molti fronti che coinvolgono: teatri operativi, apparati informativi, strutture economiche e sociali, ambiente psicologico e politico.
Lo sviluppo del fenomeno necessita di due fattori fondamentali: gli sponsor, ovvero i registi occulti e i finanziamenti necessari per condurre nel tempo prolungate attività terroristiche.
La strategia del terrorismo di matrice jihadista non si sottrae a questo paradigma conflittuale. Anzi vi aggiunge la partecipazione sia diretta sia mediata non solo dei soggetti attivi contendenti – organizzazione terroristica e Stato – e degli sponsor, ma anche di attori terzi direttamente interessati al suo sviluppo operativo per il perseguimento di autonomi o concordati obiettivi strategici, assurgendo a terrorismo internazionale.
Come delineato in un precedente articolo, emerge che l’ISIS é la diretta filiazione di Al Qaeda. Oppure, se si preferisce, il doppio metodo per conseguire il califfato. Ma occorre ripercorrere brevemente la sincronizzazione temporale degli eventi che condussero alla sua costituzione – ed alla sua disfatta – per poterne poi tracciare la rinascita come araba fenice.
La procedura per la ricostituzione del califfato è riconducibile all’ideologo di Al Qaeda, Abdullah Azzam (di origine palestinese). E Al Qaeda stessa ebbe origine proprio per acquisire tale obiettivo – fra il 1988 e il 1989 – per iniziativa di Osama bin Laden e dei Servizi Intelligence pakistani.
Seguendo tale disegno strategico, l’IS ha realizzato subito l’embrione di califfato in Iraq con un’inarrestabile avanzata ed ha attirato le wilayat (provincie) – già filiazioni di Al Qaeda con denominazioni regionali – nella sua orbita di influenza per giungere alla loro unificazione.
Infatti, pubblicizzò il suo progetto – sotto riportato – che evidenzia una chiara sovrapposizione con le metastasi jihadiste già realizzate, da Al Qaeda, in più riprese: 1989, 1996 e 2001.
Di conseguenza, gli editti propagandistici dello “Stato Islamico”, la sua propaganda attraverso le riviste ed il web, nonché la sua strategia sono la naturale evoluzione delle teorie del “califfato globale”, dettate fin dagli anni ’80.
A tali teorie sono state associate le esortazioni di Al Zawahiri a trasferire – prima all’interno dell’Europa e poi degli Stati Uniti – la conflittualità terroristica, facendo leva sulla terza e quarta generazione dei figli degli immigrati musulmani. Specie se disoccupati, emarginati e frustrati – in sostanza non integrati – nonché sui giovani occidentali nelle medesime condizioni. In sintesi, strategia abilmente “messa a profitto” da Daesh.
L’occupazione dell’area siro-irachena da parte dello Stato Islamico risponde all’esigenza dell’islam sunnita di contrastare la continuità geografica, ideologica e religiosa della “Mezzaluna sciita”. Un arco territoriale, che va dall’Iran al Libano, causa di un ennesimo scontro di una guerra atavica e mai conclusa che risale già al 632 d.C., anno della morte di Maometto, epoca del confronto fra lo Shiat Ali (il partito di Ali, cioè gli sciiti) ed i seguaci della sunna (la tradizione), ovvero i sunniti. Lo Stato Islamico ha espresso nei modi più cruenti la sua avversione verso gli sciiti: il padre naturale dell’IS, Abu Musab al Zarqawi, li considerava “scorpioni velenosi, molto più pericolosi degli americani”.
E l’ISIS si è collocato proprio in Iraq per contrastare tale saldatura. A questa visione strategica si contrappone ovviamente l’Iran, che ha rinsaldato costantemente la sua alleanza con gli sciiti iracheni, quelli della penisola arabica e del Golfo persico, nonché la Siria e la Russia.
Inoltre la Russia è anche interessata a contenere l’espansionismo jihadista verso il Caucaso, ove sono già stati provocati notevoli e allarmanti danni con la radicalizzazione della Cecenia e della confinante repubblica del Daghestan, obiettivi dei militanti jihadisti per la costituzione dell’Emirato del Caucaso, indipendente da Mosca e altra wilayt per il califfato.
L’ideologia portante di questa nuova forma conflittuale non è laica bensì religiosa, più totalizzante rispetto a quella che caratterizzava la “guerra fredda” che per oltre mezzo secolo ha travagliato est ed ovest.
L’apparato ideologico sviluppato da questa nuova forma di terrorismo va ben al di là della rivendicazione territoriale o etnica – che siamo stati abituati a vedere – per incidere a livello globale sulla cosiddetta Ummah (comunità dei credenti musulmani, priva di confini territoriali, fondata sul vincolo della religione e non su quello etnico, linguistico, culturale).
Gli ideologi del terrorismo hanno impiegato gli attentati anche come PSYOP (Psycological Operations) in direzione della pubblica opinione, veicolando una duplice comunicazione – molto raffinata e persuasiva – l’una verso l’esterno, l’altra ad uso interno:
- i kamikaze sono stati esaltati come martiri, mentre sono soltanto assassini di persone innocenti;
- l’immagine della donna è stata esaltata verso l’esterno quale eroina e combattente al fianco degli estremisti, mentre – verso l’interno – rappresentata solo come moglie, madre o schiava;
- la “trasfusione” degli atti di violenza su Internet e/o su reti televisive ha trasformato la loro violenza in “scene teatrali” per suscitare un impatto psicologico di shock emotivo finalizzato ad esaltare simpatizzanti e/o affiliati e contestualmente atterrire – annichilendola – la pubblica opinione;
- la comunicazione ha veicolato concetti religiosi che discriminano, in primo luogo, le aree occupate dai Quelle definite Dar al Islam (dimora dell’Islam), in cui regna la sicurezza e la pace, e quelle in cui sono stanziati i non musulmani, Dar al Harb (dimora della guerra). Aree – queste ultime – suscettibili di essere occupate, annullando così i confini degli Stati moderni. Tali assiomi religiosi hanno indotto le giovani generazioni di islamici nati nelle grandi città occidentali, in cui la loro concentrazione etnica è elevata, a considerare le aree in cui vivono come Dar al Harb. Cioé zone soggette all’oppressione del governo di infedeli e, dunque accettare la propaganda islamista quale sprone per liberarle, con la formazione dei cosiddetti lupi solitari.
Ma la ricostituzione del Califfato – insita nella visione geopolitico-religiosa del radicalismo islamico, in cui gli Stati-Nazione che dividono la Ummah musulmana sono considerati entità politiche artificiali e come tali respinti – non ha un solo sponsor, ma due: Fratellanza Musulmana e Wahhabismo, che se ne contendono la paternità.
E da qui le due facce di una stessa medaglia – Al Qaeda e ISIS – sponsorizzati inizialmente da entrambi i su indicati movimenti islamisti (Fratellanza Musulmana e wahhabismo) successivamente diventati “competitor” per vari fattori.
Una rivisitazione cronologica degli eventi ne è la evidente conferma:
- nel Pakistan islamizzato, tra il 1988 e 1989, viene costituita Al Qaeda.Zia Ul Haq ne è l’artefice, con il decisivo contributo di Abul Ala Maududi fondatore della Jamaat-e-Islami (il primo partito religioso del Pakistan) nonché con il risolutivo sostegno di Said Ramadan, esponente di rilievo dei Fratelli Musumani (e genero di Hassan al Banna).
- Al Qaeda nasce su ispirazione wahhabita (Osama bin Laden agente di Faisal Al Turki, capo dell’Intelligence saudita), con il sostegno strategico di Hamed Gul – allora responsabile dei Servizi Intelligence pakistani (ISI) – e la guida ideologica di Abdullah Azzam, membro di rilievo dei Fratelli musulmani. Obiettivo: realizzare gradualmente il “califfato universale”, concepito da Abul Ala Maududi – nel contesto geo politico come terza via fra comunismo e capitalismo – pragmaticamente “identificato” da Pakistan e Arabia Saudita quale contraltare ai tentativi di espansione della Rivoluzione islamica iraniana. Inoltre, per il Pakistan, Al Qaeda era anche uno dei tanti strumenti a disposizione per il contrasto dell’India e dell’induismo;
- la convivenza ideologico-strategica fra wahhabismo e Fratellanza resiste fino al 2006, quando muore al Zarqawi, padre naturale dell’ISIS. Zarqawi vede solo in gestazione la sua creatura – con la costituzione del Majlis Shura al Mujaheddin (Consiglio della Shura dei Mujaheddin) – poi trasformatasi, dopo il suo decesso, in al Dawlat al Iraq al Islamiyya, ovvero Stato Islamico dell’Iraq;
- nel 2011 la morte di bin Laden ha spento l’artefice della “jihad globale” che teneva insieme le sue due anime: il wahhabismo e la Fratellanza Musulmana. Ayman Al Zawahiri, come nuovo leader di Al Qaeda, impose ad al Baghdadi di lasciar sviluppare al Fronte Nusra (filiazione di Al Qaeda nella Siria rivoltosa costituita nel gennaio 2012) l’attività eversiva in Siria e di operare con la sua organizzazione solo in Iraq. Ma ormai era guerra aperta: gli sponsor di Al Baghdadi mal sopportavano la strategia di lungo periodo di Al Zawahiri e lo spinsero ad inglobare al Nusra, filiazione diretta di Al Qaeda, che tuttavia resistette, continuando a battersi contro le truppe siriane sostenuto anche dal Qatar;
- nel novembre 2013 venne firmato un accordo provvisorio sui negoziati del nucleare tra l’Iran e i Paesi del P 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania). La controreplica alla scelta geopolitica statunitense di sostenere l’Iran, fu espressamente data da Abu Bakr al-Baghdadi il 29 giugno 2014 che si autoproclamò “Califfo” dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante;
- il 23 settembre 2014 gli USA hanno formato una coalizione di 11 Paesi occidentali e arabi per combattere l’ISIS nei quali figura l’Arabia Saudita ma non il Pakistan. È il primo campanello di allarme per le regie occulte dell’ISIS che nel gennaio 2015 – in previsione dell’abbandono da parte del suo danaroso sponsor, l’Arabia Saudita – annuncia la costituzione della Wilayat Il neonato gruppo ha accolto nei propri ranghi ex-membri e comandanti dei talebani pakistani e afghani – nessuno arabo – provenienti dai gruppi di: Teherik-e taleban-e Pakistan (TTP), Islamic Movement of Uzbekistan (MIU) e della Rete Haqqani, longa manus del Servizio Intelligence pakistano, impiegata laddove è necessario pescare nel torbido.
E ad arte la wilayat viene costituita in un’area tri-confinaria fra Iran, Turkmenistan ed Afghanistan, di specifico interesse strategico pakistano. Inoltre, all’interno di tale area si sviluppa il traffico dell’oppio prodotto, inclusa la produzione ed il commercio dell’eroina (circa 1 miliardodi dollari/anno), in particolare verso Russia, Tagikistan e Uzbekistan, utile per rimpinguare i finanziamenti ormai provenienti non più in abbondanza dall’area del Golfo Persico;
- il 14 luglio del 2015 viene firmato il trattato per la limitazione del programma nucleare iraniano e l’ISIS sviluppa molteplici attentati in Europa, prevalentemente di direzione di Gran Bretagna, Francia e Germania, garanti del trattato sul nucleare dell’Iran;
- il 5 giugno 2017 Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri Paesi musulmani decidono di interrompere le relazioni diplomatiche con il Qatar accusato di sostenere il terrorismo. L’ultimatum a Doha è tracciato in 13 punti, fra i quali di rilievo: rompere ogni rapporto diplomatico e economico con l’Iran; chiudere immediatamente la base militare turca nei pressi di Doha e, comunque, porre fine alla collaborazione militare tra l’Emirato e Ankara; chiudere immediatamente Al Jazeera; bloccare i finanziamenti ai gruppi o individui segnalati come terroristi dall’Arabia Saudita che, nel 2014, ha inserito fra i gruppi terroristici la Fratellanza Musulmana;
- il 7 giugno 2017 due attentati rivendicati da ISIS colpiscono a Teheran il Parlamento ed il mausoleo di Khomeini – chiaro avvertimento all’Iran – causando 12 morti e vari feriti. Dura la reazione iraniana contro l’Arabia Saudita e gli USA, indicati come ispiratori degli attentati. Nel mese di dicembre viene dichiarata la “fine della guerra contro Daesh”.
Conclusioni
La testa di Al Qaeda (nata in Afghanistan) era saudita, come la maggior parte dei miliziani volontari arruolati nell’ISIS e soprattutto dei finanziamenti privati che, passando dal Kuwait, arrivavano nelle tasche del Califfo, peraltro riconosciuto appartenente alla tribù dei Quraish, cioè discendente di Maometto. Altrimenti sarebbe stato un usurpatore.
Alla morte di bin Laden è subentrata la dirigenza dei Fratelli Musulmani (Zawahiri) e si è sviluppata la divergenza fra Fronte al Nusra e ISIS. Il Fronte al Nusra era finanziato e supportato dal Qatar, strettamente collegato ai Fratelli Musulmani e l’IS dagli altri Paesi dell’area del Golfo Persico. Alla frattura insanabile tra sunniti e sciiti, si è aggiunto un ulteriore fattore di divisione rappresentato dalla competizione tra Wahhabismo e Fratellanza Musulmana.
Evidente dimostrazione ne è il disconoscimento del Califfato da parte del fratello musulmano Al-Zawahiri – “Il Califfato non è un’evoluzione del nostro movimento e non ne riconosciamo legittimità e obiettivi in Iraq” – contesto in cui emerge la “lunga ombra” delle rivalità tra Qatar e Arabia Saudita.
Le divergenze fra questi due Stati risalgono agli anni Novanta, quando lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani, – nato a Doha nel 1952, emiro del Qatar dal 1995 al 2013 – irrigidì i suoi rapporti con i Sauditi per dissapori intervenuti nel corso della guerra del Golfo del 1991.
Da allora il Qatar ha perseverato nelle divergenze con la casa regnante dei Saud attraverso:
- la costituzione, nel 1996, di Al Jazeera che – insieme ad altri social media – ha influenzato l’opinione pubblica dell’area in modo non gradito ai governi arabi, in particolare ai Sauditi;
- il sostegno del Qatar sia ai ribelli libici – che hanno spodestato Muhammar Gheddafi nel 2011 – sia al Fronte al Nusra, nella cosiddetta “primavera siriana”;
- la professione di un Wahhabismo moderato – in competizione con l’Arabia Saudita – nella considerazione che sia la famiglia al-Thani sia i Saud provengono dall’interno della penisola araba (Neged), dove ebbe origine l’austero Wahhabismo. Entrambe le famiglie si contendono una propria versione di tale dottrina quale ortodossia. In sostanza, il Qatar pratica un “wahhabismo del mare”, una versione più aperta e flessibile rispetto a quella del deserto, praticata dai Saud.
- Competizione che il futuro re saudita, Mohamed Salman, ambisce recuperare modernizzando i costumi e le tradizioni dei propri sudditi
- un dinamismo negli investimenti qatarioti, elargiti per finanziare organizzazioni islamiche e moschee in Francia, Regno Unito, Belgio, Spagna, Italia, Irlanda, Danimarca, nonché la moschea al-Salam di Nantes, la moschea di Mulhouse (Francia), la grande moschea di Marsiglia e 43 moschee in Italia.
La resa dei conti tra i due Stati era inevitabile e si è manifestata nel giugno 2017 con l’accusa di sostegno al terrorismo rivolta al Qatar in seno al Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC), in particolare da: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, oggi retto dalla dittatura del Generale Al Sisi.
Ma ancora più eloquente è la chiusura dei “rubinetti” che facevano pervenire l’acqua ai pesci, con gli arresti domiciliari del novembre 2017 inflitti ad 11 principi della famiglia saudita e a 35 alti funzionari di quel regno, per corruzione. Nonché il congelamento dei loro beni.
L’obiettivo di aver posto fuori gioco il Qatar e la Fratellanza Musulmana è costituito – in primo luogo – dalla riacquisizione della supremazia del mondo jihadista globale, per ricondurlo sotto linee guida unitarie.
Negli ultimi anni, Al Qaeda e IS si sono contrastati e accusati reciprocamente di avere “deviato” dal jihadismo. Infatti, la realizzazione di uno “stato islamico” in Siria si è avviata sotto la direzione strategica di Al Qaeda sulla quale imperava ancora Osama bin Laden supportato, sia finanziariamente sia strategicamente, dagli Apparati informativi pakistani. Il suo successore, Zawahiri, si trova tuttora sotto la protezione dell’ISI pakistano e, verosimilmente, rifugiato nell’area di Karchi.
L’inserimento di forze qaediste – supportate da Pakistan ed Arabia Saudita – nel contenzioso siriano, mirava: ad abbattere il regime di Assad, a vanificare il disegno strategico della Mezzaluna sciita (Iran, Iraq, Siria e Libano), vagheggiato dall’Iran, nonché a costituire un’ulteriore opportunità, per il jihadismo sunnita, di compiere un ampliamento del califfato iraqeno.
Ma la “strategia gradualista”, di lungo periodo, peraltro da sempre sostenuta dalla Fratellanza Musulmana e messa in atto da bin Laden e al-Zawahiri anche durante l’esperienza sudanese – peraltro con il supporto dell’Iran – non era idonea a neutralizzare detta saldatura. Inoltre, Al-Qaeda non era animata dallo stesso feroce fanatismo anti sciita di Zarqawi e del suo successore al Baghdadi.
Tant’è che Zawahiri aveva intimato ad al-Baghdadi nel 2012 di lasciare la Siria al Fronte Nusra e di concentrarsi sull’Iraq.
Nel settembre 2014, nella coalizione occidentale anti ISIS entra a far parte anche l’Arabia Saudita, ma non il Pakistan. Con tipica lungimiranza e tempestività il califfato costituì – nel gennaio 2015 – la Wilayat Khorasan ad opera di alcune fazioni scissioniste del Tehrik-i-Taliban Pakistan (movimento dei talebani pakistani), ex militanti del MIU (Movimento Islamico dell’Uzbekistan) e la Rete Haqqani, da sempre longa manus dell’ISI pakistano in tutte le situazioni più ambigue.
Infine, gli attentati del giugno 2017 a Teheran e la quarantena imposta al Qatar – nei successivi mesi di luglio e novembre – hanno fornito conferma della citata competizione fra Fratellanza e Wahhabismo. Anche in considerazione che l’ISIS ha fatto qualcosa che Al Qaeda non avrebbe mai fatto: colpire non solo gli sciiti – anch’essi musulmani, ma appartenenti a un ramo dell’Islam diverso da quello dei jihadisti – ma addirittura colpire il cuore iraniano: il Parlamento a Teheran.
Il sostegno statunitense alla condanna del Qatar ed il suo isolamento da parte dei paesi del Golfo erano, per gli USA, funzionali per conseguire vari obiettivi:
- infrangere la saldatura tattica tra Teheran e Doha nell’area del Golfo, ove i due paesi condividono il grande giacimento offshore South Pars/North Dome: una cooperazione che ha reso opportuna una linea più morbida di Doha nei confronti di Teheran, a scapito degli interessi sauditi nell’area;
- invitare il Presidente Trump all’osservanza degli obblighi disattesi dalla precedente presidenza Obama – troppo contigua alla Fratellanza e assunti dai suoi predecessori nel lontano 1945 con l’accordo di Quincy al fine conseguire “due obiettivi con una sola azione”:
- rimettere in sella il “trittico” USA, Arabia Saudita, Pakistan, funzionale al contenimento del rinnovato espansionismo russo verso l’Oceano Indiano ed il Golfo Persico, con il supporto all’Iran, che avrebbe infranto il concetto geostrategico del Rimland, in contrapposizione a quello dell’Heartland. (L’Heartland è la concezione geopolitica, ottimizzata dall’URSS, che individua nell’Eurasia il “cuore” pulsante delle potenze terrestri, logisticamente inavvicinabile da qualunque talassocrazia: “Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland, chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo, chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo”. Il Rimland è l’idea geostrategica contrapposta e perseguita dagli USA, costituita dalla fascia marittima e costiera che circonda l’Eurasia, suddivisa in 3 zone: zona della costa europea; zona del Medio Oriente e zona asiatica, per contenere l’espansionismo russo ed in prospettiva quello tedesco. Allo scopo sono state costituite la NATO -1949- la SEATO -1954- il patto di Baghdad – 1955 – e la CENTO – Central Treaty Organisation, già METO Middle East Treaty Organization nel 1959);
- impedire che i Fratelli Musulmani, spalleggiati dal Qatar, possano assumere la leadership della guida del mondo islamico e della custodia dei luoghi santi islamici anche con il sostegno indiretto dell’Iran.
Ma gli strateghi del terrore hanno individuato nel tradizionale territorio del Khorasan – regno incontrastato degli Abbasidi impiegato per la definitiva distruzione degli Alidi (successori di Ali, cioè gli sciiti) – la regione nella quale dar vita ad una “nuova statualità”, con il concorso attivo di tutti i gruppi radicali del mondo islamico
La caduta dell’IS ha provocato la terza diaspora jihadista – cacciata dell’URSS dall’Afghanistan, neutralizzazione dell’Emirato afghano del mullah Omar e sconfitta del califfato di al Baghdadi – che andrà certamente ad alimentare Wilayat Khorasan, ricompattando i resti di Al Qaeda ed ISIS in un nuovo embrione califfale posto al centro di un’area geopolitica e geoeconomica, così caratterizzata:
- sviluppo della Nuova Via della seta cinese, con espansione economica della Cina verso ovest, fino a raggiungere Europa e Africa;
- rafforzamento dello CSTO (Collective Security Treaty Organization – Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva) e dello SCO (Shanghai Cooperation Organization);
- costituzione della UEE (Unione Economica Euroasiatica) – comprendente Russia, Bielorussa, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan – un’alleanza economica tendente a diventare più ampia per comprendere anche altri paesi ex-sovietici e realizzare un polo economico sul modello dell’Unione Europea.
La strategia di Wilayat Khorasan è quella di diffondersi fra uzbeki, turkmeni e tagiki – inserendosi in Stati con realtà molto instabili – per trasferire la jihad verso oriente. Scopo: contenere l’espansione in tale area da parte di Iran, Russia e Cina, nonché estendere la propria influenza anche nell’area meridionale asiatica – cioè verso l’India – ove alcuni gruppi jihadisti si sono già affiliati alla Khorasan Province. Tutte aree incontrastate della strategia pakistana.
Occorre tuttavia prestare attenzione al disegno strategico califfale il quale non è un fattore episodico, ma rientra in un più ampio e articolato progetto del fondamentalismo islamico. Inoltre ha radici ben più profonde di quelle che affiorano di tanto in tanto allorchè emergono favorevoli congiunture (come Somalia, Afghanistan, Iraq, Yemen, ecc.).
La Fratellanza Musulmana sul piano religioso sostiene il ritorno al Corano, mentre su quello sociale richiama tutti i musulmani (sia sciiti che sunniti) alla solidarietà e all’impegno attivo ed infine sul piano politico teorizza la costituzione dello Stato Islamico globale.
Per conseguire tali obiettivi si avvale di:
- varie organizzazioni islamiste per diffondere il proprio credo politico, fra le quali primeggia l’organizzazione internazionale pan islamica denominata Hizb ut-Tahrir –HuT – (Partito di liberazione). Tale organizzazione fu fondata nel 1953 a Gerusalemme – come costola dei Fratelli Musulmani – da Taqiuddin al-Nabhani, uno studioso islamico e giudice di corte d’appello (Qadi) della L’organizzazione non riuscì a radicarsi in Medio Oriente mentre riuscì a mettere radici nell’Asia centro-meridionale, dove divenne popolare soprattutto tra i giovani di origine pakistana e del Bangladesh. Il movimento consiste in una rete di cellule segrete con filiali in Europa, Asia centrale, meridionale e sud-orientale che raggiungono l’Indonesia, nonché un punto d’appoggio in India. Le aree in cui opera sono denominate wilayat – che il nuovo califfato unificherà in una sola nazione composta da Paesi a maggioranza musulmana: dal Marocco in Nord Africa, alle Filippine meridionali, nell’Asia sud orientale.
Il suo credo ideologico è incentrato su:
- ricostituire l’Islam Khilafah, ovvero il califfato come “Stato Islamico”;
- reclutare alti ufficiali e dirigenti civili;
- indottrinare e reclutare i giovani delle università;
- costituire il califfato e diffonderlo mediante la jihad, offensiva e aggressiva, per recuperare le terre perdute – dalla Spagna, alla Russia e alla Cina – nonché invadere e conquistare le “terre degli infedeli”.
L’organizzazione dedica particolare attenzione al Pakistan, che considera un Paese adatto per la sede di un futuro califfato (o Khilafat) sia per la posizione geo-strategica sia per le ricche risorse naturali ed umane. A tal fine prevede la costituzione di un forte “esercito islamico” in grado di estendere i confini del califfato dal Pakistan all’India e all’Asia centrale. Il Pakistan ha messo al bando HuT nel 2003, dopo aver scoperto suoi collegamenti con diversi complotti terroristici.
L’ideologia di Hizb ut-Tahrir – strumento particolarmente ostico per Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, considerati da tale organizzazione “agenti” di un potere non musulmano – rifiuta l’assimilazione e predica l’associazione per la realizzazione del califfato universale o globale. L’obiettivo dell’associazione stessa è così sintetizzato nell’espressione del suo fondatore, che affermava: “La feroce lotta tra il pensiero islamico e il pensiero degli infedeli continuerà con una sanguinosa lotta a fianco della lotta intellettuale fino all’Ora in cui Allah erediterà la Terra e tutti coloro che sono su di essa”;
- strumenti finanziari simili alla Al Takwa Bank, “il timore di Dio” –definitivamente chiusa nel 2003 – che aveva uffici a Lugano ma attività bancarie condotte attraverso una struttura offshore situata nelle Bahamas. Sulla stessa, nel 2001, fu svolta un’inchiesta per finanziamenti al terrorismo, nel corso della quale fu rinvenuto un documento definito “Progetto” – datato dicembre 1982 e redatto da ignoti. Il direttore di tale banca, Youssef Nahda, non ha voluto rivelare i nomi, ma Il Progetto, redatto in lingua araba, era finalizzato a stabilire un “potere islamico su tutta la terra”, attraverso la propaganda, la predicazione e, se necessario, la guerra.
Il documento inizia con queste parole: “Nel nome di Dio Rapporto / 5/100 […] Questo rapporto presenta una visione globale di una strategia internazionale per la politica islamica. Secondo le sue linee guida, e in accordo con esse, le politiche islamiche locali sono elaborate nelle diverse regioni” (Cfr. Sylvain Besson, “La conquete de l’occident” – Les projet secret des islamistes, Editions du Seuil, Paris, 2005);
- metodi clandestini, simili a quelli impiegati dal comunismo internazionale, per infiltrarsi nelle società islamiche e non islamiche mediante la partecipazione alle istituzioni parlamentari, comunali e sindacali; costituzione di servizi sociali e formazione di istituzioni economiche, scientifiche e mediche per essere in contatto con le persone e influenzarle ideologicamente. Tale ideolgia, altresì, tende ad affiancare e studiare i centri di potere locali e globali ricercando ogni opportunità di porli sotto la propria influenza. Ed infine raccogliere fondi per perpetuare la jihad.
I Fratelli Musulmani e i loro seguaci, con la metodologia su descritta – basata su una scuola di pensiero aperta e flessibile, in continua espansione – mirano ovunque ad affermarsi come alternativa “moderata” del terrorismo jihadista. Il loro carattere elitario – paragonabile ad una sorta di Massoneria islamica – favorisce la loro penetrazione negli alti livelli (sociali, politici ed economici) per propagandare una scuola di pensiero finalizzata a “restaurare” l’Islam come principio guida della società”. Strategia ben delineata nei seguenti aforismi:
- “Le realtà di oggi sono i sogni di ieri, e i sogni di oggi sono la realtà di domani.” di Hassan al-Banna;
- “Conquisteremo l’Europa, conquisteremo l’America, non con la spada ma con il nostro messaggio” di Sheikh Yusuf al-Qaradawi (religioso musulmano sunnita qatariota, noto per il suo programma televisivo in Al-Jazeera: al-Shariaa wal-ḥayat – “Sharia e vita”).
Nel contesto configurato, appare evidente che la costituzione della Wilayat Khorasan sembra preludere alla riunificazione di Al Qaeda ed ISIS sotto la regia dei Fratelli Musulmani. I vertici di Al Qaeda – in cui al Zawahiri ha le mire ambiziose di inserire il figlio di Osama, Hamza bin Laden, probabilmente come figura attrattiva – torneranno ad essere l’espressione della “mente operativa”, mentre le cellule dell’ISIS riforniranno il proprio braccio armato con consistenti risorse di gran lunga superiori a quelle della “vecchia” Al Qaeda e con maggiori capacità operative: sia per l’esperienza di combattimento maturata, sia per le tecnologie sofisticate acquisite (impiego di droni), sia per gli schemi psicologici “metabolizzati” e resi operativi.
Monito: le recenti minacce di attentati di IS alla Russia di Putin nel corso dei campionati di calcio del 2018, anche con l’impiego di droni.
Foto: Site, Stato Islamico e AP
Luciano Piacentini, Claudio MasciVedi tutti gli articoli
Luciano Piacentini: Incursore, già comandante del 9. Battaglione d'Assalto "Col Moschin" e Capo di Stato Maggiore della Brigata "Folgore", ha operato negli Organismi di Informazione e Sicurezza con incarichi in diverse aree del continente asiatico. --- Claudio Masci: Ufficiale dei Carabinieri già comandante di una compagnia territoriale impegnata prevalentemente nel contrasto al crimine organizzato, è transitato negli organismi di informazione e sicurezza nazionali dove ha concluso la sua carriera militare.