Migranti illegali: quali lezioni da Pozzallo
Il caso del barcone con a bordo 458 immigrati clandestini trasbordati su due navi militari, l’italiana Monte Sperone (Guardia di Finanza) e la britannica Protector (flotta di Frontex dell’operazione Themis), poi sbarcati a Pozzallo ,si è risolto in un successo politico per l’Italia ma anche in una vittoria dei trafficanti, riusciti a dimostrare ai loro “clienti” che i porti italiani sono ancora aperti.
Il via libera allo sbarco è giunto del Viminale dopo che Malta, Francia, Germania, Spagna e Portogallo e forse Belgio si sono resi disponibili ad accoglierne 50 ciascuno. A loro potrebbe presto aggiungersi anche il Belgio. “E’ una vittoria politica”, aveva commentato il ministro dell’interno, Matteo Salvini. “Oggi per la prima volta possiamo dire che sono sbarcati in Europa”, hanno aggiunto fonti di Palazzo Chigi, assicurando che i migranti “riceveranno tutta l’assistenza necessaria in attesa che avvenga la ripartizione con gli altri Paesi europei”.
Per il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, “abbiamo risvegliato l’Europa” ed “è molto positivo che alcuni Paesi abbiano aderito” alla richiesta italiana per una redistribuzione.
Il governo italiano continua quindi ad avere successo nel mettere alle strette i principali partner Ue obbligandoli a farsi carico di parte dei clandestini che ancora raggiugono l’Italia: un successo che mai avevano conseguito i governi precedenti sebbene l’allora ministro degli Interni, Marco Minniti, l’anno scorso avesse esercitato forti pressioni l’anno scorso sulla Ue affinchè vi fosse una maggiore condivisione dei flussi di migranti illegali.
I termini della vittoria italiana si fermano però all’aspetto politico comunitario, perché lo sbarco dei clandestini a Pozzallo potrebbe incitare i trafficanti, le navi delle Ong e quanti sono coinvolti nel business del soccorso e dell’accoglienza a cercare di forzare ancora la mano a Roma e a Bruxelles.
Anzi, paradossalmente la disponibilità all’accoglienza espressa dai Paesi del nord Europa, da sempre meta ambita dai clandestini, potrebbe incoraggiare molti altri a partire nella speranza, una volta sbarcati in Italia, di poter rientrare nelle quote assegnate a Francia, Germania, Belgio dove il welfare è più “pesante” che in Italia. Lo hanno ricordato alcuni Paesi del Gruppo di Visegrad respingendo l’invito di Roma.
Contro la linea italiana, oltre al silenzio dell’Austria, si sono scagliati Ungheria e Repubblica Ceca. “Ho ricevuto la lettera del premier italiano Conte in cui chiede all’Ue di occuparsi di una parte delle 450 persone ora in mare” ha scritto su Twitter il premier ceco Andrej Babis. “Un tale approccio è la strada per l’inferno. Il nostro Paese non accoglierà alcun migrante. L’unica soluzione alla crisi migratoria è il modello australiano, cioè non fare sbarcare i migranti in Europa”.
Reazioni simili a Budapest. “L’Ungheria non accoglie nessuno. Gli elettori ungheresi si sono espressi chiaramente alle ultime elezioni: non vogliono vivere in un paese di immigrati” ha detto Istvan Hollik, portavoce del gruppo parlamentare di Fidesz, il partito del premier Viktor Orban.
Salvini ha mostrato soddisfazione per il risultato ottenuto dal governo italiano ma cerca di tranquillizzare il Gruppo di Visegrad. “Fermezza e coerenza pagano, è finito il tempo di governi complici e pavidi” ha detto il vicepremier e ministro degli Interni aggiungendo che “il prossimo obiettivo, per stroncare una volta per tutte la mafia del traffico di esseri umani, sarà’ riaccompagnare gli immigrati dove sono partiti. In Italia, e in Europa, entra solo chi ha il permesso”.
Anche il sottosegretario leghista agli Esteri, Guglielmo Picchi, precisa in un’intervista al Mattino che rispetto al gruppo di Visegrad “vogliamo le stesse cose, zero sbarchi in Europa per chi non ha diritto di arrivare. Stiamo lavorando per far capire che i confini italiani sono quelli europei. Ungheria e Repubblica Ceca invece di costruire muri, stanzino fondi per migliorare l’economia africana”.
Concetto discutibile sua riflettendo sui temi lunghi necessari a trasformare l’Africa in “una Svizzera” sia tenendo conto che i clandestini arrivano spesso da paesi africani “ricchi” e con tassi di crescita molto alti rispetto alla media del continente.
Sul piano concreto riportare in Libia i migranti illegali soccorsi in mare costituisce l’unica soluzione per chiudere i flussi e far cessare il traffico di esseri umani. In parte lo fanno già le forze navali di Tripoli ma il proposito di Salvini (ma espresso anche da Conte) di riportare in Libia i clandestini anche con navi italiane ed europee cozza con l’opposizione della Ue. Almeno per ora perché l’attuale semestre di presidenza austriaca dell’Unione ha già visto Vienna far sapere di voler superare questo limite senza il quale è impossibile fermare i clandestini e far cessare la tragedia dei morti in mare.
Si tratta del modello australiano richiamato da Babis o, se preferite, dei “respingimenti assistiti” di cui parliamo da anni anche sulla NBQ.
Anche perchè in Italia continua incessante l’opera di chi vorrebbe riempire la Penisola di immigrati africani e asiatici anche attraverso canali regolarizzati, come la Comunità di Sant’Egidio che ieri ha ricevuto la visita del premier Giuseppe Conte.
La Comunità ha chiesto che venga adottato il “ravvedimento operoso” per i circa 95mila immigrati in Italia che, dopo esser stati regolari, hanno poi perso il diritto al permesso di soggiorno nel periodo 2015-2017 e il rinnovo del protocollo sui corridoi umanitari per portare in Italia richiedenti asilo dal Corno D’Africa via Etiopia e dalla Siria via Libano.
C’è da chiedersi che bisogno abbia un’Italia che soffre di una disoccupazione ufficiale dell’11%, giovanile oltre il 40% e di una “mala-occupazione” e precariato diffusi, di altri 100 mila immigrati, anche se regolarizzat
Quanto ai corridoi umanitari Conte li ha definiti “in linea con le proposte del governo italiano” per “un’immigrazione regolare, con numeri contingentati che permettono di creare percorsi di integrazione”.
Meglio però ricordare che la recente chiusura delle ostilità tra Etiopia ed Eritrea, la fine della guerra allo Stato Islamico in Iraq e la cessazione dei combattimenti in molte aree della Siria dovrebbero indurre a far tornare chi è fuggito dalla guerra a casa sua, non in Italia.
Fonte: Nuova Bussola Quotidiana
Foto d’archivio: Marina Militare Italiana
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.