Moschee chiuse per estremismo, l’Austria segna la strada

Dopo il divieto di velo nelle scuole, il giovane premier austriaco ne ha fatta un’altra per guadagnarsi la prima pagina dei migliori giornaloni del mondo, bacchettato dalle infinite maestrine dalla penna blu. Sebastian Kurz ha osato ufficializzare quella che due mesi fa era solo una minaccia: espellere sessanta imam dall’Austria e chiudere sette moschee.

La decisione era stata già annunciata a metà aprile, quando un’inchiesta rivelò fotografie che ritraevano bambini vestiti da soldati ottomani in una quasi perfetta riproduzione della campagna di Gallipoli. La campagna militare nella primavera del 1915 nella penisola di Gallipoli che rappresentò una delle più clamorose sconfitte della Triplice Intesa: un vero massacro di Europei per mano dei turchi.

123Le scene della simulazione dell’emblematica vittoria ottomana erano stato registrate nella più importante moschea di Vienna legata, guarda caso, alla comunità turca. E le prime foto – apparse su un noto settimanale di sinistra, Falter – mostravano ragazzini in uniformi mimetiche che marciavano, sventolavano bandiere e poi si fingevano morti mentre un drappo turco li copriva.

«Società parallele, l’islam politico e la radicalizzazione non hanno posto nella nostra società», ha spiegato il giovane cancelliere mentre le consuete accuse di islamofobia, xenofobia e suprematismo provano a prendersi gioco di lui. E non si è fatta attendere neanche la reazione della Turchia. Ibrahim Kalin, portavoce del presidente turco Erdoğan ha così twittato, non appena la notizia è arrivata sulla sua scrivania: «La decisione dell’Austria di chiudere numerose moschee e deportare imam con una scusa pessima è un riflesso dell’ondata populista anti-islamica, razzista e discriminatoria in questo paese».

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Quella  del Governo di Vienna non è una reazione isterica rispetto a un episodio che qualche altro capo di Stato europeo avrebbe liquidato senza storie, ma ha, al contrario, uno spessore non indifferente.

Come hanno spiegato, infatti, il cancelliere Sebastian Kurz e il ministro degli Interni Herbert Kickl, i capi religiosi dell’associazione Atib (Unione turco-islamica per la collaborazione culturale e sociale in Austria) sono accusati di finanziamenti illeciti dall’estero e di violazione della legge austriaca sull’islam.

La sessantina di imam, sempre dell’Atib, è quasi certo che perderà il permesso di soggiorno, mentre la chiusura riguarda quattro moschee a Vienna, due in Alta Austria e una in Carinzia e avviene con decreto dell’ufficio della cancelleria competente per le questioni religiose. E non è appellabile. Il vice cancelliere della Fpoe Heinz-Christian Strache ha aggiunto: «Non tolleriamo predicatori dell’odio che agiscono in nome della religione».

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La legge in questione, fortemente voluta da Kurz, allora ministro degli Esteri, fu approvata nel febbraio del 2015 come nuovo provvedimento che rivedeva l’originaria legge sull’islam del 1912. Quest’ultima fu approvata per aiutare i soldati musulmani a integrarsi nell’esercito imperiale asburgico dopo che l’impero austro-ungarico si annesse la Bosnia-Erzegovina, nel 1908.

La legge riconosceva l’islam come religione ufficiale in Austria, e permetteva ai musulmani di professare la propria fede religiosa conformemente alla legislazione statale.

La nuova legge, approvata tre anni fa, nasceva come conseguenza di un mutamento demografico e religioso e soprattutto di un cambio di coordinate geopolitiche, mirando, pertanto, a integrare i musulmani e a combattere il radicalismo islamico promuovendo un “islam a carattere austriaco”.

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Tra le varie modifiche apportate, la nuova normativa ha cercato di ridurre l’ingerenza esterna, vietando finanziamenti stranieri per le moschee, gli imam e le organizzazioni musulmane in Austria. Sottolineando, inoltre, la precedenza della legislazione nazionale sulla legge islamica della sharia per i musulmani che vivono nel paese.
Al momento dell’approvazione il governo salutò l’iniziativa come un “modello per il resto d’Europa”, ma per i musulmani è sempre stata discriminatoria, e hanno anche provato a sfidarla in tribunale.

L’Austria è diventata negli anni una base importante per l’islam radicale. La popolazione islamica è in crescita – oltre l’8%, e le stime si fermano al 2016 – e, da circa tre anni, in alcune aree del Paese gli studenti musulmani sono già più numerosi di quelli cattolici.

L’IGGiÖ, che rappresenta oltre 250 associazioni musulmane in Austria, fornisce un’educazione religiosa islamica nelle scuole pubbliche e private del paese, e per farlo ricevono finanziamenti statali. Per anni sono stati i contribuenti austriaci a pagare libri di testo, come “L’ora dell’islam” (Islamstunde), il cui obiettivo è «portare l’islam nella vita degli alunni».

Nel 2015 un rapporto dell’Ufficio federale per la tutela della Costituzione e la lotta al terrorismo (BVT) metteva in guardia il Paese dalla “radicalizzazione esplosiva della scena salafita, in Austria”. Il salafismo è una delle più diffuse e radicali ideologie islamiche anti-occidentali che cercano di imporre la sharia in Europa.

20180621-20180621-4-bild61e0c6-imagebfa6d3-imageData la posizione geografica, inoltre, l’Austria è anche diventata in questi anni un nodo centrale per i jihadisti europei che cercano di andare a combattere in Siria. Oltre a essere un punto di transito per gli stranieri che vanno a ingrossare le file delle milizie dello Stato islamico: almeno 190 cittadini austriaci sono diventati jihadisti in tempi recentissimi.

E allora la legge approvata nel 2015 risultava essere indispensabile per evitare la crescita di una società islamica parallela, comunque già esistente. Disciplinare le moschee e la formazione degli imam – ora tenuti a padroneggiare il tedesco – ha comportato anche che le organizzazioni e i gruppi musulmani la smettessero di assumere chierici che “rappresentano una minaccia per la sicurezza pubblica, l’ordine, la salute e l’etica o per i diritti e le libertà di altrui”.

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La parte più controversa della legge – e il motivo per cui il Governo di Kurz ha potuto prendere la sua decisione – concerne il paragrafo 4.2, in cui viene affermato che le organizzazioni musulmane “devono avere un approccio positivo verso la società e lo Stato” o chiuderanno i battenti. Paragrafo fondamentale che precisa che il diritto civile austriaco ha la priorità sulla sharia.

In Austria ha sede, come se non bastasse, l’ATIB, un gruppo di copertura che opera in più di sessanta moschee in Austria e che è diretto da un incaricato degli affari dell’ambasciata turca a Vienna.

Pertanto gli imam in queste moschee sono dipendenti del governo turco e, certificati, sono sessanta su trecento quelli che lavorano nel Paese: esattamente il numero di quanti il Governo ha deciso di far tornare a casa sua. L’ATIB e il suo omologo tedesco, l’Unione turco-islamica per gli affari religiosi (DITIB), sono finanziati dal Direttorio per gli Affari religiosi, noto in turco come Diyanet.

46-67867277Il compito principale di ATIB e DITIB è “installare la versione ufficiale dell’islam del governo turco” in Austria e Germania. Per gli esperti i due gruppi sono “il lungo braccio” del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il quale li usa per promuovere il nazionalismo turco come antidoto all’Occidente.

Ralph Ghadban, libanese esperto di islam in Germania, già qualche anno fa avvertiva che l’islam predicato in Europa nelle moschee controllate dalla Turchia è talmente osservante della sharia, “da esigere una netta separazione dai valori individualistici dell’Occidente”. E sostiene che la DITIB ha rafforzato ormai i propri legami con la Milli Görüs (che in turco sta per “Visione nazionale”), un influente movimento islamista che si oppone fermamente all’integrazione dei musulmani nella società europea.

Forse adesso le anime belle d’Occidente capiranno perché Sebastian Kurz non intende fare passi indietro rispetto all’islam e capiranno le ragioni profonde che lo hanno spinto al giro di vite.

da Nuova Bussola Quotidiana del 9 giugno 2018

Foto: AFP, Bild/juerg christandl, Governo Austriaco, Daily Express, Hurryert e ANF News

 

Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli

Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.

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