Fronde e faide ostacolano la lotta all’immigrazione illegale

da Il Messaggero del 23 agosto  (titolo originale: “Doppia fronda contro il rigore. L’Italia più sola in Europa”)

La vicenda del pattugliatore Diciotti ormeggiato a Catania con a bordo 177 migranti illegali raccolti dalla nave della Guardia Costiera nelle acque maltesi ha fatto emergere tutte le faide interne all’Italia e alla Ue che impediscono di vincere la lotta all’immigrazione illegale.

Come accadde al suo predecessore, Marco Minniti, anche Matteo Salvini deve fare i conti con chi, per diverse ragioni, vuole impedire che i flussi illegali vengano stroncati nonostante sia evidente la natura criminale di questi traffici.

Il presidente della Camera Roberto Fico ostenta ostilità all’iniziativa del ministro dell’Interno di chiudere i porti, così come Laura Boldrini criticò il piano di Minniti, che in pochi mesi ridusse sensibilmente gli arrivi dalla Libia facendosi più nemici dentro al governo che tra le opposizioni.

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Posizioni ideologiche che, con supporto giuridico, mobilitano in queste ore anche le Procure di Catania e Agrigento: la prima intenta a ottenere lo sbarco dal Diciotti dei minori (ma sarebbe meglio dire degli autodichiarati minori), la seconda che ipotizza addirittura di incriminare il ministro Salvini per il reato di sequestro di persona.

Uno scenario paradossale: la Giustizia che non persegue gli immigrati clandestini e rilascia quasi sempre dopo poche ore gli scafisti al soldo dei trafficanti vuole invece incriminare il ministro degli Interni che cerca di fermare il traffico illegale di esseri umani. Un contesto già oltre il limite del farsesco ma che ben dimostra quali ostacoli “domestici” debbano venire superati per combattere i trafficanti.

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Senza dimenticare che alle opposizioni ideologiche e giuridiche si aggiungono quelle più di tipo economico della “industria dell’accoglienza”, che tra crollo degli sbarchi e gli imminenti tagli alle diarie promessi da Salvini (da 35 a 20 euro al giorno per ogni migrante), vede a rischio il suo fatturato.

Nel carosello della faìde non stupiscono neppure le diatribe tra ministero dell’Interno e Guardia Costiera, alle dipendenze funzionali del ministero dei Trasporti, che ha raccolto in acque maltesi i clandestini ora sul Diciotti.

Un altro deja vù, se ricordiamo che nell’agosto 2017 navi della Guardia Costiera (che rispondeva al ministro Grazano Del Rio) portarono in Italia i clandestini raccolti da una nave di Medici Senza Frontiere, ong che non aveva firmato il codice di condotta imposto dal Viminale.

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Ovvio che le rivalità tra i ben quattro ministeri presenti nel Canale di Sicilia (ci sono anche Esteri e Difesa competenti per le operazioni navali Ue, Themis e Sophia) rendano più difficile chiudere la rotta ai trafficanti.

In questo contesto la Guardia Costiera difende la sua “rendita di posizione” determinata da sei anni di emergenza migratoria che ne ha ingigantito ruolo, visibilità e peso specifico all’interno della Marina Militare, di cui fa formalmente parte.

Suona però ridicolo (e offensivo nei confronti dei contribuenti), ribadire l’impegno giuridico e morale a prestare soccorso in mare come previsto dalle convenzioni internazionali, continuando a considerare i clandestini come fossero comuni naufraghi.

Così come pare sopra le righe (ma indicativo della posta in gioco) che la decisione politica del ministro dell’Interno di rifiutare lo sbarco dal Diciotti senza un impegno della Ue ad accogliere i migranti venga definita “incomprensibile e imbarazzante” da un sottufficiale degli organi di rappresentanza (Cocer) della Guardia Costiera.

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Del resto con l’operazione di soccorso Mare Nostrum, varata dopo gli oltre 300 morti di fronte a Lampedusa nell’autunno 2013, il governo Letta rinunciò a difendere gli interessi nazionali ma la Marina Militare dimostrò quanto fosse necessaria al Paese incassando 6 miliardi extra bilancio per il parziale rinnovo della flotta.

La tutela degli interessi “di campanile” a discapito di quelli comuni è una tradizione italiana che sembra aver preso piede anche in Europa.

Lo scontro tra i partner comunitari incoraggia il crimine, come confermano le violenze a Ceuta, la recrudescenza dei crimini dei migranti illegali in tutta Europa, i flussi in crescita verso la Spagna o il “ricatto” del Marocco, che per fermare i barconi reclama gli stessi soldi che la Ue ha dato alla Turchia.

Rimarcare come la mancata condivisione di pochi migranti dimostri che l’Europa sia, in termini geopolitici, un “morto che cammina”, evidenzia l’opportunità di varare misure nazionali come i respingimenti in Libia e in generale in Nordafrica di tutti i migranti raccolti in mare.

Dopo anni di flussi incontrollati e disastrosi, negare l’accesso all’Italia e alla Ue a chiunque paghi criminali riportando in sicurezza i migranti illegali dove sono salpati, dovrebbe essere un imperativo per tutti gli ambienti politici, istituzionali, giuridici e militari a cui stia a cuore la sicurezza e la legalità.

@GianandreaGaian

Foto Ansa e Web

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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