Il dibattito sul ripristino della leva obbligatoria
Il dibattito sul ripristino del servizio di leva obbligatorio, rilanciato da Matteo Salvini, vede reazioni contrastanti basate forse più sul gradimento o meno del ministro dell’Interno che sul tema concreto. Per valutare in modo completo la proposta occorre infatti chiedersi quale modello di difesa nazionale stiamo perseguendo.
Fredda (e un po’ infastidita) la reazione degli ambienti della Difesa, diretti interessati da un simile provvedimento. Pochi giorni or sono il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta (M5S), aveva definito in un’intervista televisiva “anacronistica l’idea di ritornare ad avere il servizio militare obbligatorio, in considerazione del fatto che le forze armate italiane di oggi sono composte da professionisti”.
Il capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, ha ricordato che i militari di leva non potevano più essere impiegati nelle complesse e rischiose missioni oltremare.
Del resto oggi le forze armate non dispongono più di caserme, mezzi, istruttori e servizi (inclusi quelli sanitari) dimensionati per la leva mentre da anni fanno i conti con risorse finanziarie risicate che verrebbero ulteriormente decurtate se il bilancio Difesa dovesse finanziare anche la “nuova naja”, i cui costi sarebbero elevati per offrire ai giovani una formazione di qualità.
Se pensiamo a uno strumento militare da impiegare in combattimento in aree di crisi e contesti internazionali al fianco di truppe alleate è evidente che la leva è del tutto inadeguata né è pensabile poter trasformare un giovane in un soldato qualificato, addestrato e “hi-tech” in pochi mesi. Sarebbe meglio a tal scopo istituire una Riserva operativa in cui potrebbero confluire ex militari che dopo aver trovato un diverso impiego sono disponibili a venire richiamati fino a 2 o 3 mesi annui per addestramento o emergenze.
Per essere “anacronistico” il servizio militare obbligatorio è però ancora in vigore in Europa, in forme diverse, in Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lituania, Norvegia e Svizzera: non a caso Stati che puntano più alla difesa territoriale che a inviare truppe oltremare.
L’anno scorso la leva è stata ripristinata anche in Svezia, che l’aveva abrogata nel 2010, ufficialmente per le tensioni con Mosca ma nel paese scandinavo oltre 60 aree urbane sono fuori dal controllo dello Stato (lo ammette la stessa Polizia svedese), in mano a gang islamiche che vi applicano la sharia.
Le “no go area” sono ormai diffuse nei paesi nordeuropei e in Francia costituiscono già un problema endemico destinato a dilagare su scala continentale a causa della crescente pressioni migratoria islamica.
La minaccia rischia di alterare le prospettive di sicurezza in Europa, richiedendo in prospettiva un numero elevato di soldati e poliziotti per il controllo del territorio non concepibile senza la leva o una nutrita forza di riservisti, almeno per ricoprire compiti di supporto ai reparti combattenti e di ordine pubblico.
Anche in Italia, a fronte di un calo costante degli organici militari (da 190 mila nel 2010 a 154 mila nel 2024 con un innalzamento dell’età media dei militari oggi superiore ai 40 anni e che senza arruolamenti massicci di giovani sfiorerà i 50 tra sei anni) e della riduzione delle truppe schierate all’estero, è invece in aumento l‘impegno militare sul territorio nazionale per ordine pubblico, lotta agli incendi, soccorso dopo calamità e forse presto anche a presidio di campi rom e ospedali.
Solo l’Operazione “Strade sicure”, il pattugliamento di strade e piazze in oltre 50 centri urbani, vede schierati 7mila soldati, impegnandone il doppio tra rotazioni semestrali e preparazione dei reparti.
Se ai militari viene chiesto sempre più spesso di fare il poliziotto, il vigile del fuoco, la guardia giurata o addirittura lo spalaneve, molte considerazioni legate alla necessità di un professionismo militare hi-tech e “combat” vengono in parte ridimensionate.
Salvini del resto ha parlato di alcuni mesi di servizio militare e civile e al di là del suo valore educativo e formativo, condiviso in un comunicato dall’Associazione nazionale alpini (ANA), va sottolineata la possibilità che una nuova leva obbligatoria, benchè organizzata su base militare, sia tesa soprattutto a sviluppare capacità di intervento in servizi civili o non armati.
Lo stesso generale Graziano ipotizzò un progetto di formazione a servizi come la protezione civile con la possibilità di allargarlo alle forze armate in caso di bisogno. “Una nuova forma di riserva che potrebbe anche servire al ringiovanimento delle forze armate e allo sviluppo del Paese”.
Più dettagliato il programma evidenziato in giugno sulle pagine di Analisi Difesa dal generale Giorgio Battisti, alpino ex comandante Nato con una lunga esperienza all’estero e nel conflitto afghano. Battisti riconosce che il servizio militare obbligatorio oggi non può “trovare più realizzazione, in quanto non sarebbe in grado di soddisfare le aspettative di Forze Armate moderne capaci di confrontarsi alla pari con gli altri Eserciti occidentali”.
Tuttavia il generale propone la “creazione di un Servizio di Difesa Nazionale (SDN) obbligatorio della durata di alcuni mesi, a inquadramento militare e rivolto ad attività di pubblica utilità (assistenza, tutela ambientale, educazione e promozione del patrimonio artistico e culturale, ecc.) e di protezione civile.
La proposta piacerà all’ANA, che chiede “il ripristino di un periodo di servizio obbligatorio dei giovani a favore della Patria nelle modalità che la politica vorrà individuare” e non sembra dissimile da quanto proposto da Salvini.
(con fonte Libero Quotidiano)
Foto: Ansa, AFP e Esercito Italiano
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.