Immigrazione illegale fra disinformazione e realtà oggettiva

Sull’immigrazione si riversano quotidianamente fiumi di parole e dati, a volte contrastanti, usati più per confermare una linea politica che per informare correttamente.

La tendenza, volontaria o meno, è generalmente quella di omettere alcuni tasselli rilevanti da cui non si dovrebbe prescindere se si volesse presentare all’opinione pubblica un quadro ragionevolmente completo e comprensibile delle problematiche connesse al flusso straordinario di migranti per lo più illegali.

Questi ultimi anch’essi vittime della disinformazione oltre che dei metodi spietati di trafficanti di esseri umani e dei loro complici siano essi organici alle organizzazioni criminali o usati indirettamente dalle stesse.

Per l’Italia, da anni ormai, le preoccupazioni maggiori riguardano i flussi incontrollati provenienti via mare e le oggettive difficoltà di gestione della crisi sul territorio italiano una volta adempiuto al sacro principio del salvataggio delle vite umane in mare. Difficoltà rese ancor più gravose dal fallimento di ogni tentativo per giungere ad una pragmatica, equa politica comune europea sull’immigrazione e una condivisione degli oneri da parte degli Stati membri.

LA PRESSE migrants18

Il dato di fatto al 2018 è che Italia, in primo luogo, Grecia e Spagna sono state lasciate sole, salvo esborsi comunque insufficienti di fondi comunitari e inutili parole di apprezzamento, dalle istituzioni europee e paesi membri, a gestire una crisi ben al di sopra delle capacità ricettive e gestionali dei singoli stati.

Nel caso italiano appare evidente che una parte della stampa, degli intellettuali più portati ai dibattiti salottieri che alle conoscenze del terreno e dei politici schierati acriticamente su posizioni ormai anacronistiche, incompetenti nella materia, ignorando le ripercussioni sulla credibilità internazionale e sicurezza interna, preferiscano ancor oggi dibattere demagogicamente piuttosto che trattare costruttivamente e realisticamente come una priorità nazionale una questione complessa, ad alta intensità di rischio.

Contro ogni logica di interesse nazionale, legittima tutela dei confini siano essi marittimi o terrestri, si è arrivati ad attaccare politicamente, personalmente, ipocritamente, due ministri degli interni di opposti schieramenti e governi contrapposti che hanno fatto e fanno il loro dovere per attenuare, ridurre al minimo i rischi di tensioni sociali, ripercussioni sulla sicurezza nazionale e soprattutto di ulteriore svilimento del nostro ruolo internazionale.

Un’informazione meno di parte richiamerebbe spesso le cause che hanno oggettivamente peggiorato la crisi, quali l’incapacità delle istituzioni europee di proporre, produrre e far eseguire un piano comune condiviso dai Paesi membri anche a tutela dei Paesi più esposti. L’Italia ha aggiunto di suo, rendendo più acuta la crisi, i ritardi decisionali dei governi passati, la debolezza della nostra azione di politica estera tesa irresponsabilmente a delegare e riporre cieca, inopportuna fiducia negli organismi comunitari e internazionali e nei nostri vicini alleati.

IFRONTEX

Anni di parole vuote e prese in giro europee hanno quindi portato ad un’azione concreta accelerata e dovuta, al fine di ridurre gli sbarchi di migranti per lo più illegali, iniziata peraltro in maniera anomala dal ministro degli interni Minniti, in assenza di una strategia, pari determinazione e gioco di squadra del collega degli esteri, con copertura felpata, quasi sussurrata del precedente Presidente del Consiglio.

Attaccato dal suo stesso partito e da colleghi ministri, il precedente titolare degli interni ha dovuto minacciare le dimissioni per poter operare pragmaticamente tralasciando retorica e demagogie.

La linea tracciata è semplicemente perseguita con maggiore determinazione e rigore dall’attuale titolare degli interni il quale segue, al netto di critiche strumentali o meno, un percorso quasi obbligato dalla situazione in cui si è venuta a trovare il nostro Paese dopo anni di mancanze internazionali ed errori gravi quali consentire quasi tutti gli sbarchi in Italia con l’avallo delle operazioni UE Triton e poi Sophia.

Altro esempio di disinformazione rispetto ad una realtà ben diversa dalla retorica delle parole. Si critica virulentemente la rigida azione del nuovo ministro degli interni Matteo Salvini (ovvero del governo italiano) argomentando che poiché gli sbarchi risultano drasticamente ridotti non sarebbe necessaria, né umana una tale prova di forza. In pochi completano l’informazione ricordando che l’Italia ha già accolto sul suo territorio dal 2013 circa 700.000 migranti di cui meno del 9% risultano aventi diritto alle tutele dovute dagli accordi internazionali per le categorie previste dagli stessi accordi.

Libia COAST GUARD AFP

Il nostro Paese, a prescindere dalle cifre sborsate coperte in minima parte da fondi europei, dall’efficienza o meno degli operatori dell’accoglienza, non è tuttora in grado di gestire anche amministrativamente tali flussi in assenza di politiche di redistribuzione europea dei migranti illegali, di una efficace politica di rimpatri assistiti sanciti da accordi, di strategie operative internazionali per condurre una lotta vera contro i trafficanti di vite umane.

Andrebbero sempre ricordate le politiche di respingimenti espulsioni ben più rigide adottate da Francia, Germania, Austria, Spagna che non sono Paesi appartenenti al gruppo detto di Visegrad. A fronte di promesse mancate, di solidarietà espressa solo a parole, di un’azione individuale di contrasto all’immigrazione illegale determinata ma non solidare da parte dei principali Paesi europei, cosa dovrebbe fare un Paese esposto come l’Italia per evitare di pagare costi al di sopra dei suoi mezzi e il possibile insorgere di tensioni sociali?

Raramente viene menzionato un dato di fatto oggettivo. Ciascun migrante spende da un minimo di 5.000 fino a 7.000 euro per i vari passaggi che lo conducono illegalmente in Europa, rischiando anche la vita. Ebbene con la stessa cifra in tutti i Paesi dell’Africa sub sahariana, a maggior ragione in Eritrea o Somalia si può iniziare, e bene, una fruttifera attività lavorativa indipendente quale piccolo ristorante locale, bottega di artigiano, agricoltore, pescatore e altro facendo vivere la famiglia senza problemi per diversi anni.

CNN Libya cost Guard

Come e da chi ricevono i finanziamenti per intraprendere un viaggio così rischioso senza neanche tentare la via del lavoro locale che una tal cifra consentirebbe ampiamente? Prima ipotesi sono finanziati da organizzazioni criminali che poi ricatteranno per anni il migrante e la famiglia per riavere con interessi la somma impiegata. Nella migliore delle ipotesi il migrante viene finanziato da parenti e familiari i quali a loro volta pretenderanno restituzione e assistenza finanziaria per lungo tempo e per un cospicuo gruppo di familiari vicini e lontani.

Risultato: il sopravvissuto migrante illegale o richiedente asilo in attesa prolungata, per poter sdebitarsi in assenza di lavoro onesto dovrà giocoforza entrare nel giro criminale del paese di approdo. Inoltre, a voler sintetizzare, viene danneggiata la stessa struttura familiare tradizionale africana dei villaggi sradicando giovani e famiglie dal territorio e dalle loro tradizioni, ben più rilevanti e importanti per la loro vita di quanto possano essere le nostre per il nostro futuro. La perdita dell’identità tradizionale dell’Africa profonda a lungo termine produrrà danni devastanti per il tessuto economico sociale incrementando di contro l’impiantarsi innaturale delle minoranze violente e jihadiste, vedi Boko Haram o Aqmi, il cui fanatismo violento non è mai stato parte delle tradizioni di quelle popolazioni.

I porti della Libia non possono essere considerati sicuri, la Libia non ha firmato la convenzione di Ginevra sui diritti umani. Dati ribaditi più volte negli ultimi tempi per contrastare l’azione del governo italiano eppure contraddetti dai fatti e dalle stesse politiche messe in atto dall’UE e dalle Nazioni Unite.

(FILES) This file photo taken on November 05, 2016 shows migrants and refugees on a rubber boat waiting to be evacuated during a rescue operation by the crew of the Topaz Responder, a rescue ship run by Maltese NGO "Moas" and the Red Cross, on November 5, 2016 off the coast of Libya. Italian Foreign Minister Angelino Alfano on April 29, 2017 said he "agreed 100 percent" with a prosecutor Carmelo Zuccaro who has repeatedly suggested charity boats rescuing migrants in the Mediterranean are colluding with traffickers in Libya. / AFP PHOTO / ANDREAS SOLARO

Non si vogliono certo negare gli abusi subiti da uomini e donne nei campi libici, tuttavia proprio grazie alle pressioni politiche e ai cospicui finanziamenti della UE e dell’Italia in primo luogo, si è riusciti a far operare stabilmente in Libia l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) e la ben più efficace Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) da qualche anno associata alle Nazioni Unite, la quale si occupa primariamente dei ricollocamenti dei migranti nei Paesi d’origine attraverso assistenza e finanziamenti al migrante di rientro per iniziare un’attività lavorativa.

Le due organizzazioni hanno accesso nei famigerati campi gestiti dai libici almeno per individuare e risolvere i casi più urgenti. Fino ad un netto miglioramento della situazione ed alla firma della Convenzione di Ginevra da parte libica non si può auspicare il trasferimento tout court degli illegali nei campi libici, si possono tuttavia riconsegnare i migranti assistiti ma fermati nel Mediterraneo nella zona di competenza libica alle due Organizzazioni internazionali che provvederanno dall’aeroporto di Tripoli o da campi da loro gestiti e controllati al rimpatrio con ricollocamento.

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La realtà dei fatti attesta che l’OIM ha rimpatriato dalla Libia oltre 30.000 migranti, L’UNHCR avrà registrato e verificato lo status di rifugiato per altre decine di migliaia. Diventa quindi disinformazione il fatto di non citare o minimizzare la riuscita di queste operazioni nate e sponsorizzate dalle evocate inattaccabili organizzazioni internazionali con il cospicuo sostegno politico e finanziario di paesi come l’Italia.

La fornitura di motovedette e l’assistenza tecnica alla Libia da parte italiana rientrano beninteso nel contesto.

Solo negli ultimi tempi la maggior parte dei politici di parte, dei commentatori improvvisati e di una certa stampa, evocano in negativo, cercando di omettere sostanza e realtà dei fatti, l’operazione anti sbarchi di illegali dell’Australia denominata No Way (in sintesi nessuna possibilità di sbarco illegale sul suolo australiano). Prima della formazione del nuovo governo e delle dichiarazioni sul successo di tale iniziativa da parte del ministro Salvini, tenuto comunque conto di contesti diversi, non si erano registrate particolari evocazioni critiche sulla civile, democratica Australia e sulla operazione No Way lanciata nel lontano 2013.

La disinformazione si discosta dalla realtà anche per quanto riguarda l’analisi e l’impatto sui paesi di accoglienza del potenziale tasso di criminalità dei flussi migratori incontrollati.

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Assodato che la stragrande maggioranza risultano migranti economici e non profughi e rifugiati da tutelare, diviene quasi una costante omettere, nel caso italiano, tutto ciò che può incidere sulla sicurezza interna e quindi giustificare pienamente una normale azione di risposta adeguata da parte dello Stato.

Alcuni esempi potranno forse chiarire meglio il concetto. Fra le tante nazionalità accolte risulta difficilmente comprensibile perché in Italia affluiscano tanti nigeriani (Nigeria, non Niger) paese detentore di uno dei più alti tassi di criminalità fra i Paesi africani. Ricordo nei miei quasi 15 anni trascorsi in Africa sub sahariana come gli stessi africani raccontassero di temere in particolar modo i nigeriani capaci di impiantare ovunque potenti e violente mafie locali dedite al traffico di droga, allo sfruttamento violento della prostituzione, di esseri umani.

Dalle recenti statistiche italiane negli ultimi anni la mafia nigeriana è proliferata tanto da divenire anche da noi una delle più violente e potenti nei settori criminali di competenza. Anche non volendo fare nessi è indubbio che una minoranza violenta. o costretta alla violenza, dei migranti nigeriani illegali sbarcati in Italia sia andata a rinvigorire le fila della criminalità organizzata.

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Chi se non il governo ha la responsabilità di prevenire e di conseguenza adottare risposte adeguate inclusi respingimenti, espulsioni e azioni repressive al fine di arginare e combattere il fenomeno criminale?

Altro caso di specie anche se non di diretto impatto criminale. Perché il nostro paese dovrebbe accoglier tanti irregolari provenienti da Pakistan, Sri Lanka e Bangla Desh, magari parte di quelli respinti dall’Australia, chiaramente non vittime di guerra né tantomeno provenienti da paesi o aree vicine e depresse?

In mancanza di politiche comunitarie, di ripartizioni concordate e di massicci ri-accompagnamenti nei paesi di origine a livello europeo, non credo si possa oggettivamente negare a un paese la legittima tutela dei propri interessi primari e controllo e difesa dei propri confini da entrate illegali.

Foto: Frontex, AP, Lapresse, AFP, CNN, Marina Militare e Guardia Costiera Libica

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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