I jihadisti crescono in Germania e in Europa

Ad aprile il servizio di intelligence nazionale della Germania (Bundesamt für Verfassungsschutz, BfV) riferiva che il numero di salafiti nel Paese è raddoppiato in soli cinque anni. Ad oggi, sebbene le stime siano ferme ai primi mesi del 2018, sono oltre 11.000 i salafiti in Germania, rispetto ai 5.500 del 2013.

Non può essere considerato, questo, un dettaglio da poco per chi conosce l’ideologia salafita insita nell’islam d’importazione: il salafismo ha come obbiettivo sostituire l’ordine costituzionale con la  Sharia, separarsi dalla società impura occidentale, e non integrarsi. Hans-Georg Maaßen (nella foto sotto col ministro dell’Interno, Horst Seehofer), il capo della sicurezza interna in Germania (da ieri passato ad altro incarico dopo aver negato vi fossero stati gli attacchi razzisti su vasta scala a Chemnitz denunciati dal governo), a dicembre 2017 commentava i 10.800 salafiti come il “massimo storico” per la Germania.

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Il quotidiano Bild ha riportato che dei 5,93 milioni dei beneficiari di indennità di disoccupazione in Germania, 2.03 milioni (34,3%) sono stranieri. E quasi la metà di questi (959.000) proviene da paesi non europei. I più numerosi sono i siriani (588.301) e i turchi (259.447).

La presenza islamica in Germania si fa sempre più importante e più pericolosa. Il rapporto annuale dell’Ufficio federale della Costituzione (Bfv) – l’intelligence tedesca -, presentato solo qualche settimana fa dal ministro dell’Interno Horst Seehofer e dal presidente del BfV, a Berlino, non ha portato buone nuove.

l BfV è arrivato, infatti, a stimare addirittura che la Germania è diventata la patria di oltre 25.000 islamisti, dei quali quasi 2.000 rappresentano “un’immediata minaccia per gli attentati”. Dopo la presentazione del rapporto del BfV, il ministro dell’interno,Horst Seehofer (nella foto sotto) ha chiesto che il governo si desse da fare con le espulsioni degli islamici affermando che  “oggi non abbiamo più nulla sotto controllo in nessuna area”.

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Eppure solo un anno fa lo Spiegel denunciava un’invasione di jihadisti, camuffati da rifugiati, così come sarebbero decine i membri di uno dei gruppi più violenti della Siria, i qaedisti di Jabhat al-Nusra, nel mirino delle autorità tedesche. E nonostante circa venticinque siano stati identificati, sono in tantissimi che ancora sfuggono alle indagini.

La BKA – la polizia criminale tedesca – intanto ammetteva che oltre 410 migranti entrati nel Paese come richiedenti asilo tra il 2015 e il 2016 risultano indagati in quanto membri di gruppi jihadisti.

Il ministero dell’Interno ha riferito che solo 10 degli oltre 750 gefährer (persone potenzialmente molto pericolose) islamici che risiedono in Germania sono stati espulsi durante l’ultimo anno. I parlamentari hanno chiesto al governo di far rispettare una legge già esistente che impone il rimpatrio per quanti rappresentano un rischio per la sicurezza.

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Ma i potenziali terroristi islamici a spasso non sono un problema solo tedesco. Con il paravento dell’immigrazione, l’islamizzazione d’Europa avanza sui barconi.

Le cifre dei primi mesi del 2018 raccontano, certo, un leggero cambio di rotta rispetto agli anni passati: sbarchi diminuiti grazie alle politiche scaturite dai vari cambi di governo sul fronte europeo.

Se con gli sbarchi su tutte le coste europee, tra l’1 gennaio e il 31 agosto 2018, sono arrivati via mare in Europa circa 74 mila migranti, non vuol dire che il pericolo dell’immigrazione cavallo di Troia del jihadismo sia un fenomeno del passato.

In 19 mila sono sbarcati in Grecia e 35 mila in Spagna. Paese quest’ultimo che solo nei primi otto mesi del 2017 aveva registrato tre volte il numero di migranti dell’anno precedente, e si aspettano le stime di un 2018 che non promette bene. Ma non è un caso che la Spagna sia di nuovo meta privilegiata di sbarchi: perché terra di frontiera tra islam e Occidente. Terra califfale per eccellenza, ch’è irrinunciabile provare a riprendersela.

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Terra che paga il conto non solo di un nevrotico secolarismo che presta il fianco all’islamizzazione, ma di un’immigrazione selvaggia che ha partorito quegli immigrati di seconda generazione che hanno già firmato attentati.

Ma nei primi sei mesi del 2018, più di 8.000 migranti sono finiti nel piccolo stato balcanico della Bosnia-Erzegovina, venti volte di più di quelli arrivati l’anno precedente. Migliaia di persone dormono nelle città vicine al confine, nella speranza di entrare nell’Unione Europea attraverso la Croazia. L’ondata è spiegata da un aumento di arrivi via terra e via mare, attraverso la Turchia e il Mediterraneo orientale.

Il problema, dunque, sussiste. “Quando i migranti arrivano in Europa, si muovono liberamente”, ammise al Times il premier del governo di Tripoli, Fayez al-Sarraj, in un quanto mai inequivocabile riferimento al caos delle frontiere aperte all’interno dell’Unione Europea. “Se, Dio non voglia, ci sono dei terroristi tra i migranti, questo interesserà tutta l’Unione europea”. Ma tra i leader europei chi ha il coraggio di ammetterlo?

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L’eurodeputato inglese Steven Woolfe aveva provato a sollevare la questione, ma senza troppa eco. “Il problema è duplice. Innanzitutto, i potenziali terroristi utilizzano la rotta dei migranti nel Mediterraneo come un modo per entrare in Europa senza alcun controllo. In secondo luogo, con la mancanza di frontiere europee a causa degli accordi di Schengen, una volta nel Vecchio Continente, essi sono in grado di muoversi liberamente da un paese all’altro. I confini forti sono una necessità”.

Specie se persino quelli di Frontex – l’agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli stati dell’Ue – hanno avvertito che i jihadisti stanno approfittando della crisi migratoria per entrare in Europa e pianificare attacchi in tutto il continente. Impossibile conoscerne la reale entità e potenziale.

Già gli attacchi di Parigi del novembre 2015 avevano dimostrato che l’immigrazione incontrollata è strumento del terrorismo islamico. Nel frattempo le cose sono solo peggiorate. Tra false dichiarazioni di nazionalità, assenza totale di documenti d’identità, mancanza di controlli approfonditi o sanzioni per coloro che presentano false dichiarazioni, il rischio che personaggi pericolosi per la sicurezza di tutti noi traggano vantaggio da tutto ciò ha smesso da tempo di essere un’ipotesi remota.

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In un’intervista datata 31 agosto 2017 al quotidiano spagnolo El Mundo, Gilles de Kerchove (nella foto a lato), il coordinatore antiterrorismo dell’Ue, diceva che sono più di 50 mila i jihadisti ora a spasso per l’Europa. E si riferiva a quelli in qualche modo certificati come tali.

“Tre anni fa era facile identificare qualcuno che si era radicalizzato. Ora, la maggior parte dei fanatici maschera le proprie convinzioni. Non siamo in possesso di dati precisi, ma non è difficile fare calcoli approssimativi. Non è un segreto che nel Regno Unito – i dati sono stati pubblicati – ce ne siano dai 20 mila ai 35 mila. In Francia, 17 mila, in Spagna più di 5 mila.

Dal Belgio in quasi 500 sono andati in Siria e ci sono circa 2 mila radicali. Non vorrei azzardare una cifra specifica, ma sono decine di migliaia, più di 50 mila”.

L’Europol, l’ufficio europeo di polizia, ha identificato almeno 30 mila siti web jihadisti attivi, ma la legislazione dell’Unione Europea ha abrogato l’obbligo previsto per gli ‘Internet server provider‘ di raccogliere e conservare i metadati – compresi i dati relativi alla localizzazione dei jihadisti – dei loro utenti a causa delle preoccupazioni sulla tutela della privacy. De Kerchove ha dichiarato che questo ostacola le capacità della polizia di identificare, controllare e dissuadere i jihadisti.

Foto:  Twitter, Global Look Press, DPA, Getty Images Europe, The Daily Star, EPA e Frontex

 

Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli

Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.

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