Il fardello della leadership italiana in Libia
da Il Messaggero/Il Mattino del 5 settembre 2018
Solo nei prossimi giorni sarò possibile comprendere se la tregua stabilita ieri sera reggerà, ponendo così fine alla recente battaglia di Tripoli che in Italia ha avuto ripercussioni sia per il rischio che potesse crollare il governo libico di accordo nazionale (GNA) con le inevitabili conseguenze per gli interessi nazionali sia per le immancabili polemiche di politica interna.
L’annuncio che Roma non avrebbe inviato forze militari in Libia a sostegno del governo di Fayez al-Sarraj da un lato potrebbe rafforzare il fronte degli oppositori del GNA togliendo deterrenza al ruolo dell’Italia, ma dall’altro permette a Roma di restare un arbitro non troppo sbilanciato della crisi libica.
Del resto l’Italia già da tempo appoggia militarmente (circa 400 i militari schierati nella nostra ex colonia) il governo libico voluto dall’Onu, con la missione sanitaria a Misurata e quella della Marina che dal porto di Abu Sittah coordina le operazioni della Guardia costiera libica equipaggiata anche con motovedette donate dall’Italia.
E’evidente poi che un intervento diretto dell’Italia negli scontri avrebbe offerto il destro al generale Khalifa Haftar per denunciare nuovamente il neocolonialismo italiano, dipingendo al-Sarraj come un fantoccio di Roma.
Inoltre, la partecipazione di truppe italiane ad azoni belliche comporterebbe rischi che vanno valutati in modo realistico: sarebbe un autogol partire con le bandiere al vento se poi, dopo i primi caduti in battaglia, venisse a mancare la tenuta politica e sociale necessaria a continuare le operazioni.
Limiti pesanti tenuto conto che il ruolo dell’Italia ci obbliga a essere protagonisti, non comparse, specie dopo che Donald Trump ha riconosciut, nell’incontro con Giuseppe Conte alla Casa Bianca la “leadership italiana” in Libia.
Una responsabilità che impone attivismo, eventualmente anche militare, e talvolta anche di correre qualche rischio. Così un eventuale appoggio alle forze di al-Sarraj, qualora dovesse rendersi in futuro necessario, potrebbe esprimersi meglio con operazioni segrete condotte da forze speciali che al fianco delle milizie governative individuino e “illuminino” bersagli da colpire con ordigni aerei di precisione.
Operazioni sulla falsariga di quelle più volte attuate da statunitensi e israeliani, o dai franco-britannici proprio in Libia dove nel 2011 loro truppe prive di uniforme affiancavano i ribelli anti-Gheddafi.
Sul piano politico è poi evidente che la complessità della crisi libica non può risolversi nel dualismo tra i governi di Tripoli e Tobruk. C’è chi rimprovera il governo italiano di non aver “coltivato” rapporti adeguati con la Cirenaica e chi, al contrario, sottolinea come le recenti visite di ministri italiani in Egitto (principale sponsor di Haftar) avrebbero indebolito indirettamente al-Sarraj.
Pragmaticamente, con Tobruk abbiamo sempre tenuto le porte aperte ma, inevitabilmente, gli interessi energetici e la necessità di fermare i flussi migratori illegali impongono a qualunque governo italiano rapporti privilegiati con Tripoli, il cui esecutivo instabile resta l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale.
Pur se a bassa visibilità, l’intesa tra Roma e Washington sulla Libia sembra dare buoni frutti anche sul fronte dell’intelligence: i droni decollati dall’Italia hanno tenuto d’occhio gli sviluppi della battaglia di Tripoli anticipando il rapido esaurimento degli scontri intorno alla capitale poichè i ribelli non avrebbero più capacità offensiva dopo il contrattacco delle fazioni che sostengono al-Sarraj, rafforzate da una parte delle milizie di Misurata.
Una prospettiva confermata dall’accordo quadro per il cessate il fuoco raggiunto con la mediazione varata dall’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salameh,
Del resto gli scontri sono determinati più dalla richiesta dei ribelli di avere accesso alla spartizione dei proventi dell’export petrolifero e degli aiuti internazionali, che da motivazioni politiche.
Circa queste ultime va precisato che la Francia non è il nostro unico rivale in Libia ad avere potenzialmente interesse a mettere in difficoltà al-Sarraj. Anzi, il caos di questi giorni dimostra come il progetto di Parigi di indire elezioni in dicembre sia un’utopia, rafforzando invece il piano italiano che prevede prima la conferenza di pace e poi il voto.
A contrastare l’influenza italiana contribuiscono anche le milizie legate ai Fratelli Musulmani fedeli all’ex premier di Tripoli, Khalifa Ghwell, spettatore non disinteressato degli scontri di questi giorni che ha le sue roccaforti tra Tripoli e Misurata e gode di appoggi importanti in Qatar e Turchia.
Foto: Reuters, AFP e AP
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.