La “guerra” di Washington contro Erdogan passa da Cipro

La crisi fra Stati Uniti e Turchia sta aprendo scenari sino a poco tempo fa non ipotizzabili. La conferma di ciò arriva anche dal recente “John S. McCain National Defense Authorization Act – NDAA” approvato dal Congresso e firmato dal presidente Trump, nel quale vi è sezione (la 1277) dedicata ai rapporti con Cipro.

Più precisamente, il testo prevede una serie di approfondimenti atti a chiarire lo stato dei rapporti bilaterali tra Nicosia e Washington nei settori “della difesa e della sicurezza”, nonché gli eventuali passi da intraprendere per rafforzare le capacità di difesa dell’isola.

L’aspetto più interessante, però, riguarda la richiesta di analizzare le possibili conseguenze dell’abolizione del “divietod’esportazione di articoli e servizi per la difesa” imposto nel 1987 e ancora in vigore, con particolare riferimento a come ciò impatterebbe sulle relazioni tra le parti e, soprattutto, come inciderebbe sulla capacità degli USA e dei loro alleati di raggiungere i propri obiettivi nel Mediterraneo orientale.

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La notizia di questo parziale cambio di rotta è stata accolta con particolare entusiasmo da HALC (Hellenic American Leadership Council), che in questi mesi, come ha scritto il quotidiano greco Ekathimerini, ha collaborato attivamente con l’AJC (American Jewish Community) per far uscire dall’isolamento Cipro e, soprattutto, bloccare la fornitura di F-35 alla Turchia.

A tal proposito, Endy Zemenides, Direttore Esecutivo dell’HALC, ha dichiarato al Financial Mirror che: “questa misura dell’NDDAA ci avvicina all’eliminazione del controproducente embargo militare alla Repubblica di Cipro e alla promozione strategica di Cipro, che è stata dichiarata un obiettivo dell’Amministrazione Trump da parte dell’Assistance Secretary of State Wes Mitchell.

Come si può capire da quanto sopra, quindi, vi è stata una decisa operazione di lobbying da parte delle comunità greca ed ebraica per spingere l’Amministrazione statunitense a riconsiderare la propria posizione, che inizialmente aveva lo scopo di evitare che materiale d’armamento di fabbricazione americana potesse essere impiegato per ostacolare gli sforzi di pacificazione dell’isola.

FILE - This Jan. 28, 2018 file photo, Turkish troops take control of Bursayah hill, which separates the Kurdish-held enclave of Afrin from the Turkey-controlled town of Azaz, Syria. Nearly a month into Turkey's offensive in the Syrian Kurdish enclave of Afrin, hundreds of thousands of Syrians are hiding from bombs and airstrikes in caves and basements, trapped while Turkish troops and their allies are bogged down in fierce ground battles against formidable opponents. (DHA-Depo Photos via AP, File)

Così facendo, però, Washington ha finito semplicemente per avvantaggiare lo schieramento turco, dato che Ankara ha potuto continuare a rifornire d’armi la cosiddetta Cipro Nord, mentre Nicosia si è trovata costretta a rivolgersi ai più svariati produttori (Brasile, Francia, Jugoslavia, Russia e Grecia per citarne alcuni) e ha accumulato un discreto gap tecnologico.

Per quanto riguarda direttamente la Turchia, invece, è interessante notare come anche nel NDAA (sezione 1278) sia stata inserita un’esplicita richiesta ad Ankara affinché proceda all’immediato rilascio di “tutti i cittadini degli Stati Uniti ingiustamente detenuti”, richiamando a tal proposito le basi stesse dell’Alleanza Atlantica, nata per “difendere i principi di democrazia, libertà individuale e rule of law”. Ancora più interessante, però, è la sezione 1282 titolata “Report sullo status delle relazioni fra gli Stati Uniti e la Repubblica di Turchia”, in cui il Congresso chiede, entro 90 giorni l’approvazione del documento, che venga realizzato uno studio sui rapporti tra i due paesi con particolare riferimento a:

  • Presenza militare e diplomatica americana in Turchia, con particolare riferimento alle azioni militari condotte dalla base aerea di Incirlik o da altrove;
  • La possibilità che Ankara acquisti dalla Russia il sistema missilistico S400 e gli effetti che tale compravendita potrà avere sugli altri sistemi d’arma statunitensi attalmente utilizzati o richiesti dalla Turchia come:
    • F-35 Lightning II, per cui viene richiesta anche una valutazione dei rischi operativi e di intelligence causati dallo schieramento dell’S400;
    • Sistema Patriot
    • Elicottero CH-47
    • Elicottero d’attacco AH-64 (Apache)
    • Elicottero UH-60 Black Hawk
    • F-16 Falcon

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Come si può immaginare, comunque, l’attenzione del Congresso e dell’Amministrazione è rivolta soprattutto allo scottante tema dell’F-35, la cui consegna all’Aeronautica Turca è sempre più improbabile in seguito al peggioramento dei rapporti con la Casa Bianca e alla storica scelta di Erdogan di rivolgersi a Mosca per la propria difesa aerea.

Non è un caso, quindi, che proprio su questi due aspetti si sia concentrata l’attenzione del Congresso, che infatti chiede ulteriori approfondimenti circa il peso e il ruolo delle industrie turche all’interno del processo di produzione e assemblaggio del velivolo di Lockheed Martin, nonché le conseguenze di un’eventuale ritiro/eliminazione di Ankara dal programma F35. Secondo Bloomberg, infatti, almeno 10 aziende turche partecipano alla realizzazione di parte della componentistica per conto terzi.

Nella conclusione della sezione, infine, viene altresì proposto di identificare “sistemi di difesa aerea e missilistica potenzialmente alternativi che potrebbero essere acquistati dal Governo della Repubblica di Turchia”, proprio allo scopo di evitare l’arrivo dell’S-400. In ogni caso, le due Camere hanno espressamente dichiarato che nessun F-35 potrà essere venduto ad Ankara senza che vengano prima realizzati gli approfondimenti sopra evidenziati.

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La risposta turca non si è fatta attendere ed è arrivata per bocca del Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu che ha ricordato come al suo Paese non siano mai stati venduti i sistemi Patriot e che pertanto non ha avuto altre opportunità se non rivolgersi direttamente alla Russia.

Riguardo l’F-35, infine, egli ha fatto sapere che qualora Washigton decidesse di bloccare la cessione del caccia multiruolo alla Turchia, questa si rivolgerà ad altri Stati oppure sceglierà la strada della produzione nazionale.

La vicenda resta quindi estremamente intricata e non è facile prevedere quale potrà essere l’esito finale. È certo, comunque, che un eventuale blocco delle vendite dell’F-35 ad Ankara costituirebbe non solo un importantissimo precedente, ma anche un serio problema per Erdogan, che attualmente può contare solamente sugli alleati di comodo russi e sulla parziale apertura proveniente da alcuni ambienti tedeschi potenzialmente disposti ad offrire intanto una linea di credito per evitare il collasso dell’economia turca.

Foto: TASS, Lockheed Martin, Limes, Ansa e AP

 

Triestino, analista indipendente e opinionista per diverse testate giornalistiche sulle tematiche balcaniche e dell'Europa Orientale, si è laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Trieste - Polo di Gorizia. Ha recentemente pubblicato per Aracne il volume “Aleksandar Rankovic e la Jugoslavia socialista”.

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