Il boom fondamentalista islamico che sfida la Francia

L’Institut Montaigne, apprezzato think-tank liberale, guidato da un manager potente e stimato come Henri de Castries (ex numero uno della compagnia d’assicurazione Axa) e dal sociologo franco-tunisino Hakim El Karoui, nipote dell’ex primo ministro di Tunisia, Hamed Karoui, consigliere dell’ex presidente Ben Alì e, per un certo periodo, perfino banchiere “chez Rothschild” – proprio come Macron – ha pubblicato in settembre un rapporto destinato a far discutere a lungo.

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La “platform de réflexion”, per dirla alla francese, ha lavorato intensamente alla stesura di un terzo rapporto sulla diffusione del salafismo in Francia e in Europa. Dopo quello pubblicato nel 2016 sull’islam di Francia e un’opera nel 2017 sulla politica araba della Francia, l’Istituto Montaigne ha deciso di dedicare l’attenzione ad un aspetto taciuto dell’islam: la dimensione ideologica.

A finire sotto la loro lente d’ingrandimento è stato il progresso dell’ideologia islamica tra i musulmani in Francia, ma non solo. Il rapporto, “La fabbrica dell’Islamismo” (vedi il sito dell’Institut Montaigne), in oltre seicento pagine indaga sull’origine, la natura, l’estensione, la dimensione e i sintomi di un problema che ha contagiato le esistenze dell’Occidente in maniera sempre più prepotente negli ultimi trent’anni. E non è un dettaglio il fatto che il rapporto sia frutto di uno studio soprattutto del territorio francese.

La crescita del salafismo francese è, d’altra parte, a dir poco impressionante: erano poche migliaia i fedeli e i seguaci all’inizio degli anni ’90, oggi sono almeno 50mila con un balzo del 900%, si nota nel report. Percentuale che non fotografa perfettamente la realtà, siamo dinanzi, al contrario, ad una sottostima visto e considerato che si parla solo di adepti dichiarati e frequentatori delle moschee, e non anche dei simpatizzanti o di quanti agiscono nel silenzio o dei dissimulatori – come il concetto islamico di ‘taqiyya’ predica.

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Eppure l’enorme zona grigia dell’islam sembra un fenomeno a scomparsa o a tempo, nell’immaginario europeo, esistendo unicamente al cospetto di fatti di cronaca, e sparendo quando certe notizie scadono. Il think tank, invece, con un’indagine accuratissima, ci mette davanti all’invasione di donne velate, protagoniste indiscusse dei nostri orizzonti, e prova a spiegarci il perché.

Il quadro tutt’altro che impressionista dei vari processi che hanno caratterizzato le fasi di sviluppo dell’islam in Francia e in Occidente, e nel dettaglio l’influenza di salafiti, fratellanza musulmana e UOIF, indebolito, quest’ultimo, dalla crescente influenza del wahhabismo, soprattutto tra i giovani, costringe il lettore a fare i conti con l’affermazione sempre più prepotente dell’islam nelle nostre metropoli. Se non si vende più alcol nei quartieri a forte presenza musulmana, infatti, non è perché si è al cospetto di una epidemia di astemi.

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Hakim El Karoui, l’autore del rapporto, ci spiega l’indole fondamentalista e separatista del musulmano europeo: ha come obiettivo quello di “separarsi dalla società impura” occidentale per costruirne una nuova, diversa, fondata sulla religione islamica. Sono i giovanissimi – hanno dai 15 ai 25 anni – che alla fonte di internet e delle librerie s’abbevverano di salafismo. Fonti che, oltre a fornire una visione complessiva del mondo, determinano qual è il comportamento corretto da tenere in ogni aspetto dell’esistenza. E allora velo e alcool, per fare gli esempi più visibili, non sono che l’espressione di una identità che ‘deve’ essere differente dalla nostra.

L’Institut Montaigne cita i più noti di questi cattivi maestri che influenzano i giovani musulmani cittadini d’Europa. Rashid Al-Afasy, imam della Grande Moschea di Kuwait City con i suoi 14 milioni di follower; Aid Al-Qarni, 20 milioni di follower, predicatore e scrittore, autore di una fatwa contro il presidente siriano Assad; Salman Al-Aodah, 15 milioni di follower, teorico della jihad contro gli Stati Uniti, e decine di altri incitatori all’odio, quasi tutti sauditi o quatarioti. È su internet che lor signori spopolano e agiscono incontrastati, ed è su internet che i due paesi arabi sopracitati, che più hanno investito milioni di euro in Francia – comprando palazzi e grandi alberghi e finanziando un numero imprecisato di moschee -, sono onnipresenti.

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Ma a questi due grandi attori de “le marché mondial de l’islamisme”, s’è aggiunta, da quando Erdogan governa, anche la Turchia. Il sultano di Istanbul vuole far pesare a tutti i costi il numero dei suoi concittadini emigrati in Europa: sono oltre tre milioni in Germania, 500mila in Francia.

Scopo dell’islam è quello di rendere la religione, e il progetto politico custodito in essa, viva e forte nella società. E tutto concorre a preservare una civiltà islamica che non può e non deve assomigliare a quella europea. È per questo che l’islam in Europa, e in Francia in particolare, investe il codice comportamentale (velo, barba), le abitudini culinarie (prodotti halal, alcool), standard economici (finanza islamica), e i rapporti con il prossimo (la separazione indiscussa e indiscutibile tra musulmani e non musulmani, e quindi il rifiuto totale dell’altro).

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Ma un ruolo da professionisti del salafismo lo giocano sia personaggi come Abdelhadi Doudi, l’imam di Marsiglia, che i libri. Il rapporto denuncia non solo l’importanza del libro islamico come uno degli strumenti principali del proselitismo politico-religioso, ma anche dello studio della cultura e delle lingue occidentali. Tant’è vero che il proselitismo islamico ha gradualmente abbandonato l’arabo per usare lingue come francese o inglese per raggiungere le nuove generazioni di musulmani europei.

Inoltre, è nelle scuole francesi che i giovanissimi imparano a denunciare la decadenza del mondo occidentale, caratterizzata dai comportamenti troppo libertini delle donne e dall’accettazione dell’omosessualità: è là che viene proposto alla comunità dei «veri credenti» di separarsi fisicamente dalla popolazione miscredente. Il 32% degli studenti musulmani intervistati, contro il 6% dei cristiani, ha una visione assolutista della religione. E per assolutismo s’intende l’affermazione della religione sulle leggi civili e scientifiche. Ed è a scuola che i ragazzi imparano che “halal” non è una mera questione alimentare. In essa è iscritto il desiderio di distinguersi da un mondo impuro anche quando mangia.

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Il think tank propone allora l’introduzione di una “tassa halal” sui prodotti alimentari e altri servizi per i musulmani che consentirebbe all’associazione di essere autosufficiente. E non solo. Alla fine del lavoro emerge che l’islamismo è “un’ideologia contemporanea potente ma scarsamente conosciuta”.

Eppure  El Karoui, nonostante tutto quello che l’indagine condotta gli ha svelato, si dice certo che non si possa rispondere all’ideologia islamista con la paura, ma bisogna farlo con la ragione e “immaginare una strategia multi-dimensionale: una nuova organizzazione dell’islam, in Francia e in Europa”, possibile solo “attraverso la promozione di un discorso alternativo da parte dei musulmani europei”.

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Ma non esiste un islam ‘diverso’ perché l’islam è solo quello che viene fuori dal rapporto “la fabbrica dell’islamismo”, El Karoui non riesce a credere che non può esistere un’alternativa che non sia anche negazione della religione islamica stessa. Alle conclusioni del think tank ha inteso replicare anche il rappresentante del Senato francese per il dipartimento francese della Vandea, Bruno Retailleau.

Il quale ha affermato che “l’istituzionalizzazione o nazionalizzazione dell’islam francese è pericolosa perché è contraria alla legge di Francia, che prevede la separazione tra religione e stato. E una tassa halal statale sarebbe incostituzionale”.

Ma far convivere i valori e la laicità della République con la seconda religione del Paese è una sfida tremenda che anche Macron, si sa, s’è messo in testa di vincere. E mentre i milioni di follower degli imam più radicali aumentano e alimentano “l’alarmante propagation de l’idéologie islamiste” come ha fatto sapere l’Institut Montaigne nel suo studio, il suo stesso autore è convinto che l’islam possa essere capace di sconfessarsi. Come se la dimensione ideologica esplicata nel rapporto non fosse una componente della religione. Intanto, “la fabbrica dell’islamismo” è stato consegnato personalmente al presidente Macron, prima di arrivare nelle varie redazioni.

da Nuova Bussola Quotidiana

Foto: AFP, Le Point, Ministero Difesa Frances

Vignetta di Ben Garrisiono

 

 

Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli

Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.

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