SUPERAV/ACV: un mezzo anfibio anche per le forze italiane?

Nel 2006 Iveco Defence Vehicles, società del gruppo CNH Industrial, decise di sviluppare in proprio un nuovo blindato anfibio, con l’intento di ampliare e completare la propria gamma di veicoli da combattimento in configurazione 8×8 che già comprendeva la blindo pesante “Centauro” ed il VBM, Veicolo Blindato Medio, che successivamente sarebbe stato denominato “Freccia”.

Non esisteva, in quel momento, alcun requisito operativo né una specifica richiesta proveniente dalle forze anfibie nazionali, Reggimento San Marco e Reggimento Lagunari, ma appariva evidente la necessità da parte di questi reparti di dare un sostituto agli M113, VCC 1 e VCC 2 che erano stati impiegati nelle operazioni in Iraq e che apparivano irrimediabilmente superati da un punto di vista operativo e fisicamente prossimi al termine della vita utile.

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La casa di Bolzano non intendeva limitarsi a creare una versione anfibia del VBM, ma voleva realizzare un mezzo dotato di elevate doti marine, in grado di operare in sicurezza anche con mare forza 3 ed oltre, senza per questo rinunciare ad una eccellente mobilità a terra e ad un livello di protezione elevato, sia balistica che sotto scafo, contro mine ed ordigni esplosivi improvvisati.

Il nuovo veicolo doveva inoltre possibilmente risultare aviotrasportabile a bordo di velivoli del tipo C-130, fattore che imponeva limiti di sagoma e di peso assai stringenti.

Per soddisfare questi molteplici e contrastanti requisiti era necessario creare un mezzo in cui pesi e volumi fossero attentamente studiati e distribuiti, per consentire una navigazione sicura in mare aperto. Da questa configurazione base, caratterizzata da un peso a vuoto di 15 tonnellate, si sarebbero poi potuti aggiungere elementi addizionali di protezione ed allestimenti particolari, sulla base dei requisiti dell’acquirente, per un peso massimo di 24 tonnellate in configurazione anfibia.

Agli inizi del 2009 il prototipo, denominato SUPERAV (Surface Performance Amphibious Vehicle), era pronto. Faceva tesoro dell’esperienza maturata con gli altri veicoli 8×8 della casa di Bolzano, dei quali manteneva molte caratteristiche, come la trasmissione con schema ad H, le ruote, i riduttori ed i gruppi già impiegati su Centauro e VBM. Cambiava il propulsore, costituito ora da un 6 cilindri in linea CURSOR 13 da 540 CV associato ad un cambio automatico ZF dotato di sette marce avanti ed una retromarcia.

Estesamente modificato rispetto al VBM era invece come dicevamo lo scafo, che assumeva una conformazione più compatta ed alta dettata dalle necessità del requisito anfibio. Risultava inoltre più stretto, per rientrare nella sagoma massima consentita dal C-130. Naturalmente erano presenti sia un pannello frangiflutti anteriore abbattibile che lo snorkel, mentre il movimento in navigazione era assicurato da due eliche intubate posteriori che consentivano una velocità massima di circa 5,5 nodi.

La configurazione generale del mezzo era quella classica, con il gruppo propulsore posto anteriormente ed il vano di trasporto nella parte centro-posteriore dello scafo. Nonostante le limitazioni dimensionali di cui si è detto, il volume disponibile all’interno del SUPERAV consentiva comunque, in virtù della maggiore altezza, di ospitare dodici uomini più il pilota, almeno nella versione APC più semplice.

I tre membri dell’equipaggio, pilota, capocarro e mitragliere, trovavano posto anteriormente sul lato sinistro, uno dietro l’altro, sfruttando lo spazio lasciato libero dal motore in linea, più alto ma più stretto rispetto al propulsore con configurazione a V impiegato sugli altri blindati Iveco DV.  Nel vano posteriore trovavano invece posto dieci soldati equipaggiati, destinati ad appiedare grazie alla tradizionale rampa posteriore abbattibile.

Nonostante il peso a vuoto piuttosto contenuto il SUPERAV vantava buoni livelli di protezione grazie all’utilizzo di soluzioni progettuali specifiche, di blindature avanzate ed alla marcata conformazione e V dello scafo. Anche lo schema di trasmissione “ad H”, infine, costituiva di per sé un ulteriore fattore di sicurezza in caso di esplosione sotto pancia.

 

Le incertezze della Difesa

 Come dicevamo Iveco DV aveva anticipato un possibile requisito ufficiale della Difesa che, in modo informale, sembrava riguardare una necessità complessiva di 72 veicoli per la Marina e di altrettanti per l’Esercito.

Inutile precisare che queste ottimistiche previsioni, che miravano ad equipaggiare completamente con un Veicolo Blindato Anfibio (VBA) entrambi i reparti d’assalto delle nostre forze anfibie, non ebbero alcuno sviluppo, essenzialmente a causa della cronica carenza di fondi per gli investimenti militari.

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Successivi documenti ufficiosi delle due Forze Armate interessate riducevano realisticamente l’esigenza complessiva del VBA ad un numero di macchine sufficiente ad equipaggiare una compagnia assalto del San Marco ed una di Lagunari, per un totale compreso tra 30 e 40 macchine, per le quali peraltro non esisteva alcun requisito ufficiale né alcuna assegnazione preliminare di fondi.

Ancora una volta toccava all’industria, lasciata in uno stato di completa incertezza, cercare di sbloccare l’impasse.

Iveco DV, congiuntamente ad Oto Melara (oggi Leonardo) tramite la società consortile CIO, presentava pertanto nel 2012 ad Esercito e Marina un prototipo di VBA destinato alla Forza da Sbarco italiana, sviluppato con fondi privati ed ottenuto accoppiando allo scafo del SUPERAV una nuova torretta HITFIST OWS a comando remoto prodotta dalla Oto Melara a La Spezia.

Purtroppo, per evidenti e perduranti ristrettezze economiche, neanche in quella sede si giunse all’approvazione da parte dello Stato Maggiore Difesa di un’Esigenza Operativa già manifestata da Marina ed Esercito, né tantomeno venne emesso un requisito tecnico-operativo che fornisse certezze all’industria e consentisse di completare il processo di sviluppo ed omologazione del veicolo anfibio, anche per possibili sbocchi all’esportazione.

Ad aumentare l’incertezza complessiva della situazione contribuiva anche, con il passare degli anni, l’emergere di una nuova necessità operativa. Se, infatti, i veicoli della famiglia M-113 erano stati almeno al momento di fatto rimpiazzati nei reparti anfibi dal VTLM Lince, estesamente impiegato con successo in Afghanistan sia dal San Marco che dal Serenissima, si andava tuttavia manifestando sempre più l’urgenza di rimpiazzare nel medio periodo gli AAV-7 in dotazione ai due reparti, mezzi di buone caratteristiche marine ma assolutamente inadatti al combattimento per la grande mole, la protezione inadeguata e la mobilità a terra insufficiente.

L’accento era ora posto su di una piattaforma in grado di operare in modo ottimale sia in mare, partendo dal bacino allagabile delle navi anfibie, che a terra, continuando l’azione in profondità dopo la presa di terra senza soluzione di continuità. Le recenti esperienze operative dei teatri esterni imponevano infine elevati livelli di protezione, anche antimina e contro gli IED.

In mancanza di concrete prospettive immediate ed in presenza di possibili sviluppi concettuali del requisito iniziale, per quanto non formalizzato, il VBA, in quella particolare configurazione, non ebbe seguito, venendo di fatto abbandonato, anche in attesa dei nuovi interessanti sviluppi che stavano maturando dall’altra parte dell’Atlantico.

 

Un veicolo per i Marines

Sin dalla fine degli anni novanta del secolo scorso il Corpo dei Marines degli Stati Uniti aveva avvertito la necessità di rimpiazzare i cingolati anfibi LVTP7 ormai invecchiati e concettualmente obsoleti, nonostante vari programmi di aggiornamento che li avevano portati allo standard AAV7 con nuovi motori, trasmissioni, armamento e protezioni addizionali.

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Il sostituto doveva garantire significativi miglioramenti nella mobilità, sia in acqua che a terra, maggiore potenza di fuoco ed un livello molto elevato di protezione e capacità di sopravvivenza sul campo di battaglia.

Il programma, noto inizialmente come AAAV per Advanced Amphibious Assault Vehicle e successivamente ridenominato Expeditionary Fighting Vehicle (EFV), diede vita ad alcuni prototipi realizzati dalla General Dynamics che dovevano rappresentare il vertice della tecnologia del settore dei veicoli anfibi e facevano ricorso a soluzioni costruttive innovative e complesse.

Mosso a terra su cingoli ed in acqua con idrogetti, il mezzo, dotato di torretta armata di cannoncino automatico Mk 44 Bushmaster da 30 mm, doveva fornire elevatissime doti marine per soddisfare i rigidi requisiti dell’USMC che ne prevedevano la messa a mare a grande distanza dalla costa, da raggiungere ad una velocità massima di oltre 20 nodi. A terra l’EFV doveva poi poter cooperare strettamente con i carri M-1 e viaggiare a 72 chilometri all’ora, trasportando 17 uomini completamente equipaggiati e 3 membri di equipaggio.

Lo sviluppo del mezzo si protrasse per vari anni, evidenziando però numerosissimi problemi tecnici e continui aumenti di costo. Dopo varie traversie il programma venne infine cancellato nel 2012 per i costi elevati ed il mancato raggiungimento delle prestazioni previste.

Questo insuccesso portò i Marines a programmare, in sostituzione dell’EFV, l’acquisizione di due mezzi differenti.

Il primo, denominato MPC per Marine Personnel Carrier, sarebbe stato un trasporto truppe ruotato in grado di garantire adeguata protezione e mobilità tattica ad un nucleo di 8-9 marines e sarebbe giunto a terra a bordo di mezzi da sbarco tradizionali o a cuscino d’aria.

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L’altro veicolo, designato ACV, Amphibious Combat Vehicle, avrebbe dovuto invece svolgere almeno in parte il ruolo del defunto EFV, ossia trasportare le truppe a terra in condizioni di relativa sicurezza e ad alta velocità.

Durante un’operazione di sbarco un numero limitato di ACV sarebbe partito direttamente dai bacini delle navi anfibie poste a non meno di 12 miglia dalla costa per trasportare sulle spiagge, alla velocità di almeno 8 nodi, la prima ondata di Marines, che avrebbe conquistato e reso sicura la testa di ponte. Successivamente un numero superiore di MPC sarebbe sceso dai mezzi da sbarco per rinforzare la prima aliquota e proseguire l’azione in profondità.

E’ in questa fase che i Marines, alla ricerca di un mezzo che rispondesse ai requisiti del programma MPC, iniziano a manifestare un interesse crescente nei confronti del SUPERAV.

Per avere maggiori possibilità di successo in caso di un possibile futuro concorso ufficiale, la casa di Bolzano decise pertanto di scegliere un partner locale e strinse un accordo di partnership con BAE Systems, un’azienda di grande esperienza nel settore che avrebbe eventualmente  agito come prime contractor nel mercato statunitense.

Nell’agosto del 2112 l’USMC rilasciò un primo contratto di 3,5 milioni di dollari a quattro compagnie, tra cui il team Iveco DV/BAE Systems, per lo studio preliminare di un mezzo e la verifica iniziale delle sue caratteristiche anfibie e di protezione.

Il SUPERAV, che tanto aveva impressionato i Marines per le sue superiori doti marine, risultava, nella configurazione iniziale, troppo piccolo per le specifiche esigenze americane, che richiedevano il trasporto di almeno 10 soldati completamente equipaggiati e muniti di vaste dotazioni e rifornimenti per alcuni giorni.

Per meglio rispondere a tali requisiti lo scafo venne pertanto modificato, divenendo più largo e più alto rispetto alla versione precedente. Il peso massimo passava di conseguenza dalle 24-25 tonnellate a 29-30, rendendo necessaria l’adozione di un motore CURSOR 16 più potente per una migliore mobilità.

Tra il 2013 ed il 2014 il concetto operativo dell’USMC basato sul doppio requisito di due mezzi complementari doveva però fare i conti con le restrizioni finanziarie, le difficoltà tecniche già evidenziate dal precedente programma EFV e con i rischi della budget sequestration.

Il Corpo decise pertanto di rinunciare all’MPC e di mantenere l’ACV come progetto prioritario, sostanzialmente rivisto però alla luce delle nuove limitazioni budgetarie e delle concrete possibilità tecnologiche.

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Nel gennaio del 2014 pertanto l’allora Comandante dei Marines, Generale Amos, annunciò l’adozione di un approccio incrementale alla sostituzione degli AAV7 che prevedeva una prima fase, denominata ACV 1, finalizzata all’acquisizione in tempi rapidi di un mezzo basato su tecnologie mature e concepito essenzialmente per operare a terra, svolgendo anche il ruolo previsto inizialmente proprio per l’MPC, ma con maggiori capacità anfibie che gli consentissero di muovere  in acque interne e litoranee.

La capacità di navigare autonomamente in mare aperto sarebbe stata preferenziale, ma non essenziale. Gli ACV 1 infatti sarebbero stati trasportati di norma dalle navi alla spiaggia tramite mezzi da sbarco, dai tradizionali LCU ai veloci LCAC e fino ai nuovi Joint High Speed Vessel.

Il requisito relativo ad un veicolo di superiori doti marine in grado di navigare ad alta velocità rimaneva valido, ma alla luce delle difficoltà contingenti sarebbe stato demandato ad una successiva e piuttosto nebulosa fase ACV 2.0.

Come misura tampone veniva infine deciso un ulteriore ammodernamento di parte della flotta di oltre mille AAV7 in servizio: 392 veicoli avrebbero ricevuto una nuova trasmissione, corazzature addizionali, migliore protezione da mine e IED e sedili sospesi anti esplosione per il personale trasportato.

Tale rinnovata impostazione complessiva era favorita anche da una revisione concettuale delle dottrine operative dei Marines, nelle quali perdevano rilevanza o addirittura erano accantonati quegli scenari di assalto anfibio diretto su costa presidiata dal nemico (stile Tarawa o D-Day) che imponevano una grande velocità di trasferimento in acqua.

Di conseguenza il compito di proiettare a terra il più velocemente possibile aliquote importanti della forza da sbarco sarebbe ricaduto per molti anni ancora essenzialmente sui vettori aerei, quali i convertiplani MV-22 Osprey e gli elicotteri pesanti CH-53K.

La fase ACV 1, che complessivamente avrebbe riguardato 6-700 veicoli, venne ulteriormente suddivisa in due successivi stadi incrementali.

Il primo, denominato ACV 1.1, sarebbe stato costituito da circa 200 veicoli ruotati anfibi di progetto sostanzialmente derivato dagli studi già effettuati per l’abortito MPC. Tali mezzi, realizzati in configurazione trasporto truppe, sarebbero stati dotati di eccellente mobilità a terra e di elevata protezione balistica, con scafo a V per minimizzare gli effetti delle esplosioni di mine ed ordigni improvvisati. Destinati ad entrare in servizio intorno al 2020, sarebbero stati armati di mitragliatrice pesante da 12,7 mm o di lanciagranate automatico da 40 mm in torretta a comando remoto.

Del peso di circa 30 tonnellate a pieno carico, l’ACV 1.1 avrebbe dovuto trasportare 10-13 marines oltre a tre membri di equipaggio, possedere doti di galleggiamento simili a quelle degli AAV7, navigare per almeno tre miglia con mare forza 3 e muovere alla velocità di 6 nodi in acque calme.

Il successivo stadio ACV 1.2 avrebbe riguardato circa 490 mezzi da realizzarsi oltre che in versione trasporto truppa anche nelle varianti speciali per posto comando, manutenzione e recupero e supporto di fuoco previste negli organici degli Assault Amphibian Battalion.

Nei programmi iniziali i mezzi previsti nella fase 1.2 avrebbero dovuto possedere maggiori doti anfibie e di velocità in acqua rispetto agli ACV 1.1, mentre non era escluso il ritorno ad una configurazione su cingoli.

Successivamente, per ovvie considerazioni di ordine economico, logistico ed operativo, i requisiti dei due stadi della fase 1 furono sostanzialmente amalgamati in un unico veicolo, che avrebbe avuto sin dall’inizio caratteristiche più avanzate, anche per poter accelerare la sua distribuzione ai reparti. Era comunque fatta salva la possibilità di inserire negli ACV 1.2 tutti i miglioramenti che l’esperienza operativa dei mezzi precedenti avrebbe suggerito.

 

La gara per l’ACV

Su questa base nel novembre del 2014 i Marines rilasciarono un bando ufficiale (Request for Proposal – RFP) con il quale si richiedeva all’industria, ossia sostanzialmente alle stesse ditte che avevano sviluppato i prototipi della gara dell’MPC, precise informazioni su costi, caratteristiche e tempistiche per la il rinnovato ACV1.1.

Dopo un esame preliminare dei progetti presentati dai vari candidati, il 24 novembre del 2015 vennero individuati due finalisti per la fase di sviluppo avanzato (EMD – Engineering and Manufacturing Development): il team formato da BAE Systems ed Iveco DV con il rinnovato SUPERAV e quello costituito da SAIC e Singapore Technology Kinetics che presentava il Terrex 2.

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Entrambi i concorrenti avrebbero prodotto per la valutazione finale 16 prototipi, che sarebbero stati sottoposti nei due anni successivi ad estese sperimentazioni, test distruttivi e verifiche molto complete.

Nonostante il ruolo di prime contractor rivestito dal partner BAE Systems (massicciamente presente negli USA), l’azienda bolzanina era fortemente coinvolta nella produzione dei prototipi, per i quali forniva, oltre ovviamente al progetto di cui era proprietaria, motore, cambio, trasmissione, sospensioni ed impianto frenante, in aggiunta alle protezioni antimina, compresi gli speciali sedili per il personale trasportato.

Molte componenti, come è nella tradizione di Iveco DV, erano realizzate completamente in sede, partendo dalla fusione o da elementi grezzi, come nel caso del motore, delle trasmissioni, dei trasferitori di coppia, delle sospensioni e degli ammortizzatori.

BAE Systems, dal canto proprio, avrebbe realizzato negli Stati Uniti i gusci dello scafo tagliando e saldando le lamiere balistiche, vi avrebbe installato le componenti giunte dall’Italia e provveduto ad aggiungere armamento, dotazioni elettroniche e protezioni balistiche addizionali.

I severi test di valutazione finale e le prove operative evidenziarono la superiorità del SUPERAV sull’altro concorrente, soprattutto nella mobilità a terra, nella protezione e nelle caratteristiche anfibie. Venne valutata positivamente anche la buona capacità di trasporto di 13 soldati equipaggiati più i tre membri di equipaggio, che consentiva ad un solo mezzo di trasportare una squadra organica di marines, attualmente appunto di 13 uomini e di 12 nel prossimo futuro.

Concordemente ai programmi iniziali ed alle rigide tempistiche imposte dai Marines, il 19 giugno 2018 il progetto di Iveco DV/BAE Systems veniva proclamato vincitore, ricevendo un contratto iniziale del valore di 198 milioni di dollari per la produzione dei primi 30 esemplari a basso ritmo (fase di Low Rate Initial Production), con consegne a partire dal 2019.

Si concludeva così per l’USMC un’autentica saga che aveva visto protrarsi per molti anni un programma di acquisizione ritenuto essenziale, ma bersagliato continuamente da mutamenti di specifiche, nuove direttive, concessioni di fondi altalenanti ed improvvisi colpi di scena.

Grande e comprensibile era la soddisfazione a Bolzano per il raggiungimento di un risultato commerciale e di immagine per certi versi storico, che aveva visto l’affermazione in un mercato tradizionalmente difficile ed estremamente esigente e selettivo.

In quell’occasione il CEO di Iveco Defence Vehicles, Vincenzo Giannelli, teneva infatti a dichiarare che “questo accordo rappresenta una pietra miliare nella nostra trasformazione in player globale. Attraverso la partnership con BAE Systems in questo programma il nostro know-how e la nostra eccellenza tecnica sono stati riconosciuti e vengono ora posti al servizio dei Marines degli Stati Uniti. E’ per noi un privilegio contribuire a realizzare il futuro dei loro mezzi anfibi da combattimento”.

Determinante ai fini del successo finale era risultata infatti la completa e fattiva collaborazione con BAE Systems, che aveva dato vita ad un team monolitico ed affiatato, in grado di agire sempre unitariamente.

Ai 30 esemplari attualmente commissionati ne seguiranno, in base ad opzioni future, altri 30 da realizzarsi con le medesime modalità dei primi,  per proseguire quindi con la produzione a pieno ritmo (Full Rate Production) di 148 mezzi, suddivisi in due tranche di 56 e 92, da completarsi entro il 2023.

Gli esemplari di serie non dovrebbero discostarsi molto dai prototipi, ricevendo rispetto a questi solo modifiche di dettaglio, ad ulteriore conferma della maturità del progetto italiano.

Il valore complessivo dell’intera fornitura dei 208 esemplari di ACV 1.1, di cui 4 destinati a prove distruttive, dovrebbe raggiungere 1,2 miliardi di dollari, dei quali circa 400 milioni destinati in quattro anni allo stabilimento bolzanino, che continuerà a produrre e fornire per i veicoli di serie le stesse componenti realizzate nei prototipi.

I Marines hanno già identificato il primo reparto che rimpiazzerà i propri AAV7 con l’ACV: si tratta del 3rd Assault Amphibian Battalion, parte della 1° Marine Expeditionary Force di Camp Pendleton, in California, che riceverà i primi mezzi nel 2020 per raggiungere la piena capacità operativa nel 2023.

Nei programmi dei Marines all’ACV 1.1 seguirà, come abbiamo visto, l’acquisizione nei successivi sei anni di 490 esemplari previsti nella fase 1.2, parte dei quali da prodursi nelle versioni  speciali per posto comando, recupero, ambulanza ed appoggio di fuoco, quest’ultima munita della stessa torretta installata su alcuni Stryker dell’US Army e dotata di mitragliera da 30 mm.

Con ogni probabilità anche questi mezzi verranno realizzati dallo stesso team BAE Systems/Iveco DV, il cui progetto iniziale già oggi soddisfa gran parte dei requisiti previsti per l’ACV 1.2.

Per Iveco DV si prefigura quindi una partnership intensa e proficua con il Corpo dei Marines per molti anni a venire!

 

Un’occasione da non perdere

Il SUPERAV for ACV 1.1 mantiene come abbiamo visto l’impostazione generale del veicolo originale, con le modifiche e le migliorie rese necessarie dalle specifiche del concorso statunitense, dalle esperienze maturate e dal progredire delle sperimentazioni pratiche.

Rispetto alla precedente variante, che possiamo considerare ormai non più destinata ad essere prodotta, il mezzo che si è affermato negli USA è più pesante, raggiungendo le 30 tonnellate di cui 4 di carico utile, più grande ed alto (279 cm al cielo dello scafo contro 231), ha un maggior volume interno e superiori capacità di trasporto di personale (13+3 uomini anziché 12+1) e materiali.

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Le caratteristiche di protezione balistica ed antimina sono state ulteriormente migliorate con il ricorso a soluzioni avanzate, così come le doti marine, con la possibilità di raggiungere la velocità di 6 nodi in acque calme e di navigare agevolmente con condizioni di mare superiori a forza 3.

Straordinaria la mobilità a terra consentita dal più potente turbodiesel Iveco Cursor 16 da 700 HP, un propulsore a 6 cilindri in linea che garantisce un ottimo rapporto potenza/peso. E’ associato ad un cambio di origine statunitense Allison 4800 SP, preferito al tradizionale sistema della ditta tedesca ZF, e dispone di sette marce avanti e due retromarce. La velocità massima su strada può raggiungere i 105 chilometri orari, con un’autonomia di oltre 700 chilometri.

Nuovi anche gli pneumatici, ovviamente del tipo run-flat e muniti di sistema centralizzato di regolamento della pressione di gonfiaggio, che ora sono i più grandi 16.00R20 per consentire una migliore distribuzione dei pesi a terra e garantire una pressione specifica più bassa su superfici soffici.

Le caratteristiche avanzate del mezzo e la virtuale assenza di concorrenti nello specifico settore aprono grandi possibilità commerciali presso gli attuali utilizzatori degli AAV-7 e derivati.

Paesi come la Spagna, la Corea del Sud, il Brasile o il Giappone potrebbero individuare nel SUPERAV la soluzione tecnico-tattica ideale per rimpiazzare le loro flotte di cingolati anfibi ormai invecchiati.

Iveco DV, che già fornisce per gli ACV americani le protezioni contro le mine e gli IED e le soluzioni costruttive idonee a ridurne gli effetti, vanta una lunga tradizione anche nella produzione di blindature avanzate e di piastre aggiuntive di materiale ceramico.

Sarebbe pertanto agevole utilizzare direttamente tali materiali e le tecniche innovative possedute per completare gli scafi del mezzo senza il ricorso a componenti strutturali o balistiche esterne.

Il lungo sodalizio con Leonardo consentirebbe inoltre di soddisfare ogni possibile requisito dell’acquirente in relazione all’armamento da installare ed alla suite elettronica richiesta, che potrebbe includere differenti soluzioni per il comando, il controllo e le comunicazioni.

Il veicolo potrebbe pertanto essere munito di armi di vario calibro in postazioni protette o a comando remoto, accoppiate a sistemi di osservazione, puntamento e tiro di crescente sofisticazione, ed esservi installati apparati radio di vario tipo, sistemi di navigazione comando e controllo evoluti, jammer anti IED e sistemi d’allarme laser.

E’ evidente che una versione interamente di produzione nazionale dell’ACV dovrebbe interessare soprattutto le forze anfibie italiane, San Marco e Lagunari.

Entrambi i reparti hanno urgente bisogno di quel VBA, Veicolo Blindato Anfibio, che prima o poi dovrà portare alla sostituzione degli AAV-7, oltre a ricoprire, nelle operazioni a terra, il ruolo di mobilità protetta affidato un tempo agli M113 e derivati e che non può realisticamente ricadere solo sui VTLM Lince.

Attualmente è in corso presso l’azienda Goriziane un ulteriore aggiornamento della flotta degli AAV7A1, che prevede una serie di misure idonee a migliorare la protezione contro gli effetti delle mine e degli IED, ma è evidente che questa rappresenta una soluzione tampone e che non è opportuno affidare ai grandi cingolati anfibi ruoli tattici a terra di primo piano.

In altre parole i due reparti della Capacità Nazionale di Proiezione dal Mare necessitano di un veicolo in grado di assicurare al personale trasportato livelli di sicurezza almeno paragonabili a quelli forniti alle Brigate Medie, in particolare nelle Peace Support Operations.

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In tale contesto appare evidente che l’acquisizione di almeno un primo lotto di ACV rappresenterebbe un’opportunità quanto mai interessante ed economicamente vantaggiosa per il nostro Paese. Gran parte degli ingenti costi di sviluppo del veicolo, comprendenti anche test balistici e di resistenza alle esplosioni, prove di navigazione e sopravvivenza in mare, lunghe percorrenze su terreni vari e verifiche di resistenza all’usura, sono infatti già stati sopportati dal cliente statunitense di lancio.

Le omologazioni conseguite negli USA potrebbero facilmente essere estese alla produzione destinata all’Italia, con minime modifiche ed aggiunte, sostanzialmente quelle relative alle protezioni laterali.

L’intrinseca flessibilità produttiva dello stabilimento di Bolzano, i sofisticati macchinari impiegati e le qualifiche e competenze avanzate delle maestranze consentono inoltre di realizzare, con processi di produzione molto accurati ma poco automatizzati, anche piccoli lotti costruttivi di mezzi pienamente rispondenti alle necessità dell’acquirente, con un livello di lavorazione quasi artigianale.

Un eventuale VBA nazionale basato sul progetto dell’ACV 1.1 potrebbe essere prodotto già dal 2019 utilizzando, con poche integrazioni, la stessa linea di montaggio attualmente utilizzata dal VBM, riducendo ulteriormente i costi di industrializzazione e consentendo una produzione a basso ritmo che potrebbe favorire le ridotte disponibilità finanziarie della Difesa.

Si tratta di una straordinaria finestra di opportunità, che però dovrebbe essere colta, almeno per un piccolo ordine iniziale, nell’arco dei prossimi 4-5 anni, per poter sfruttare al massimo le sinergie e le economie di scala derivanti dal contratto statunitense.

Foto Iveco DV

 

Alberto ScarpittaVedi tutti gli articoli

Nato a Padova nel 1955, ex ufficiale dei Lagunari, collabora da molti anni a riviste specializzate nel settore militare, tra cui ANALISI DIFESA, di cui è assiduo collaboratore sin dalla nascita della pubblicazione, distinguendosi per l’estrema professionalità ed il rigore tecnico dei suoi lavori. Si occupa prevalentemente di equipaggiamenti, tecniche e tattiche dei reparti di fanteria ed è uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti nel difficile settore delle Forze Speciali. Ha realizzato alcuni volumi a carattere militare ed è coautore di importanti pubblicazioni sulle Forze Speciali italiane ed internazionali.

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