Il jihadismo cresce nelle carceri spagnole
Ancora un caso di radicalizzazione islamica nelle carceri, ancora una rete jihadista che mette in discussione l’efficacia delle procedure di sicurezza negli istituti penitenziari in Europa.
Un catastrofico fenomeno che coinvolge mezza Europa e sintetizzabile nel rapporto ufficiale sulle carceri del senatore francese Jean-René Lecerf che, nel 2015, citava uno studio secondo il quale in quattro dei più grandi penitenziari francesi, oltre il 50 per cento dei detenuti è musulmano. Ma questa volta siamo di fronte ad una operazione che rappresenta un unicum nel panorama Europeo.
In Spagna la polizia ha smantellato in ottobre una rete jihadista che operava dall’interno di più di una dozzina di carceri spagnole. La rete, presumibilmente collegata allo Stato islamico, è stata creata e gestita da uno dei jihadisti più implacabili nel sistema carcerario spagnolo – e sotto il naso delle autorità carcerarie.
Per il processo di reclutamento e indottrinamento, la rete jihadista combinava l’interazione fisica tra detenuti con una relazione epistolare che gli permetteva di stabilire una comunicazione con i detenuti disseminati in diverse prigioni, ma sempre in contatto tra di loro.
Servendosi di complici ben piazzati, i terroristi islamici, legati spesso anche all’Isis, venivano riuniti costituendo vere e proprie squadre dietro le sbarre. E in questo modo era stato forgiato l’embrione di quello che sarebbe diventato il “Fronte delle prigioni” jihadista.
La cosa sottolinea come la maggior parte degli individui indagati, lungi non solo dal raggiungere gli obiettivi del reinserimento sociale, ma dall’essere coinvolti nello stesso, sono rimasti attivi nella militanza jihadista, irrobustendo il processo di radicalizzazione, e proprio durante la loro permanenza in carcere.
Le indagini suggeriscono come si sia ben al di là del mero proselitismo religioso. Un po’ come era successo nella prigione francese di Osny nel 2016, quando un detenuto ha aggredito alcune guardie o come quando nel 2018 a Liegi, un uomo, approfittando dei giorni di permesso dalla galera ha ucciso due poliziotti e un civile.
Si trattava di individui in carcere perché legati al terrorismo islamico e che dietro le sbarre non hanno fatto che irrobustire le loro convinzioni. È l’esistenza stessa del gruppo, pertanto, ad essere intesa come potenziale rischio per la sicurezza pubblica. E ancor di più considerando l’imminente rilascio di molti dei soggetti indagati.
Le indagini sul caso spagnolo sono partite da un singolo detenuto e hanno svelato l’attività criminale del “Fronte delle prigioni” estesa a diciassette galere, ovvero il 55% degli istituti di pena che ospitano detenuti legati al terrorismo islamico in Spagna.
Come raccontano le informazioni fornite direttamente dal ministero dell’Interno, al vertice della piramide del “Fronte” venticinque jihadisti per le diciassette galere – oltre la metà delle trenta carceri spagnole attrezzate per ospitare detenuti jihadisti. Tra i membri della rete c’erano terroristi, detenuti ‘comuni’ radicalizzati poi in prigione e molti cittadini spagnoli convertiti da poco all’islam.
Il leader del “Fronte”, l’uomo da cui sono partite le indagini, è Mohamed Achraf (nella foto sotto), un marocchino di 44 anni il cui vero nome è Abderramane Tahiri, che stava scontando una condanna a 14 anni per aver progettato attentati con camion contro obiettivi di alto profilo a Madrid – tra cui la Corte Suprema spagnola e la stazione metropolitana Principe Pio.
Già a settembre era stata sollecitata l’allerta circa l’imminente rilascio di Achraf il 14 ottobre, ben quattro anni prima dell’espiazione completa della pena. Ad oggi, comunque, le indagini sono state segretate e non si sa se il terrorista sia stato rilasciato o rimesso in carcere. La prima volta le manette intorno ai polsi gli sono state strette nel 2008, e ha scontato la maggior parte della sua pena rimbalzando da una prigione all’altra – un protocollo standard volto a impedire, in teoria, agli islamisti di stabilire un punto d’appoggio in ogni struttura e radicalizzare gli altri detenuti.
Nel febbraio 2018, Achraf è stato trasferito nel penitenziario di Campos del Río a Murcia, dove è rimasto in isolamento. Già nel 2004 Abderramane Tahiri adottò il nome di battaglia, nel 2005 fu estradato dalla Svizzera – dove era fuggito dopo il rilascio dal carcere, cercando invano asilo sostenendo di essere palestinese – e dal suo ingresso in carcere fino ad oggi, è stato un prigioniero “speciale” tra i terroristi islamici.
Il che ha significato che la sua permanenza dietro le sbarre è stata in un “regime di isolamento”, eppure niente gli ha impedito di fondare una rete fondamentalista “coesa, permanente, stabile e strutturata” nella prigione di Topas (Salamanca), dove fu imprigionato per la prima volta.
Il suo scopo era quello di promuovere il Jihad. Da lì ha mantenuto una corrispondenza intensa con i detenuti di altre carceri, in particolare, a Las Palmas II, Teixeiro, Estremera, Villena, Algeciras, El Puerto de Santamaria III, Ocaña io, Zuera, Mansilla de las Mulas, Soto del Real, Huelva, Murcia II, Maiorca, Valencia, Albolote, Córdoba e Villabona.
In una delle lettere intercettate, con autorizzazione giudiziaria, si può leggere: “ho creato un nuovo gruppo. Sono disposti a morire per Allah in qualsiasi momento. Aspettiamo di essere rilasciati dalla prigione per poter iniziare a lavorare. Abbiamo uomini, abbiamo armi e abbiamo obiettivi. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la pratica”. Avevano una propria iconografia e slogan, ben strutturati con ordini di azione precisi e metodi di allenamento e addestramento. Tra i suoi adepti due dei condannati per gli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004.
Le indagini hanno trovato la loro svolta esecutiva il primo ottobre, quando la polizia anti-terrorismo ha perquisito la cella di Achraf. Il quotidiano di Murcia La Verdad, citando fonti della polizia, ha riferito che Achraf sarà probabilmente processato per nuovi reati di terrorismo e, piuttosto che essere rilasciato in anticipo, sarà trattenuto in detenzione preventiva. Ma come già fatto notare le informazioni relative al pericoloso terrorista sono, per ovvie ragioni, solo nelle mani dei procuratori.
La storia di militanza jihadista in Spagna per Achraf è piuttosto lunga. Durante una precedente detenzione, scontata tra il 1999 e il 2002 nel penitenziario di Topas a Salamanca, organizzò una simile rete jihadista – chiamata “Martiri per il Marocco” – che operava all’interno e attraverso almeno cinque prigioni spagnole. La rete era composta da quattro cellule che, secondo i procuratori, erano “perfettamente strutturate e connesse tra loro”.
Dopo l’attentato di Madrid del 2004, l’operazione antiterrorismo – Operazione Nova – gli investigatori avevano già trovato corrispondenza tra Achraf e altri jihadisti, inclusa una lettera che affermava: “i musulmani ora hanno due posti in cui andare: prigione o jihad”.
Nel febbraio 2008, Achraf è stato condannato a 14 anni di prigione per “aver promosso e diretto un gruppo terroristico”. Durante il suo processo, la corte ha appreso come Achraf, che parlava di sé come di un “Emiro”, avesse usato una moschea di fortuna in una palestra del carcere per “indottrinare” altri detenuti nell’ideologia islamica e, in particolar modo, alla pratica germinata in seno al salafismo, il takfirismo – i takfīrī considerano i propri atti di violenza come una forma legittima di jihād, utile al raggiungimento dei loro scopi religiosi e politici, e per punire gl’infedeli.
Data la storia di Achraf e i suoi precedenti sforzi di fare proselitismo e indottrinare i detenuti durante il suo primo periodo di detenzione in carcere, non è ancora chiaro come sia stato possibile che le autorità spagnole abbiano creato, in qualche modo, le condizioni che hanno permesso al terrorista di stabilire un’altra rete jihadista, ancora più grande, durante la sua seconda prigione.
Risulta però evidente che la rete di Achraf potrebbe essere solo la punta di un pericoloso iceberg. L’ultima analisi dei dati ufficiali delle prigione ha rilevato che sono più di 150 i detenuti che stanno scontando le pene, in 28 diverse carceri spagnole, per crimini legati al jihad. Quasi la metà (72) dei detenuti legati al jihad sono marocchini, seguiti dagli spagnoli (57).
Altri detenuti provengono da Algeria, Argentina, Bangladesh, Belgio, Brasile, Bulgaria, Danimarca, Egitto, Francia, Messico, Paesi Bassi, Pakistan, Portogallo, Arabia Saudita e Turchia. Inoltre, altri 120 detenuti per crimini non legati alla jihad sono monitorati per “fanatismo islamista”, secondo il quotidiano El País , che citava fonti del ministero dell’Interno. Dei circa 270 detenuti monitorati per tendenze jihadiste, solo 20 stanno partecipando a programmi di deradicalizzazione, secondo l’agenzia di stampa spagnola EFE.
Il ministero dell’Interno ha ammesso che “la maggior parte delle persone indagate, lungi dall’essere deradicalizzata, non solo sono rimaste attive nella militanza jihadista, ma sono diventate ancora più radicali durante la loro incarcerazione”.
Foto: Ministero Giustizia Spagnolo, EFE, Perè Duran e Reuters
Lorenza FormicolaVedi tutti gli articoli
Giornalista nata a Napoli nel 1992, si occupa di politica estera, in particolare britannica, americana e francese ma è soprattutto analista del mondo arabo-islamico. Scrive per Formiche, La Nuova Bussola Quotidiana, il Giornale e One Peter Five.