Quella linea sempre più sottile tra difesa e sicurezza interna
Allorché si parla di Difesa, e del modo in cui un qualsiasi Stato provvede ad assolvere questo obbligo, la prima distinzione che viene fatta è quella che tradizionalmente suddivide la difesa in “difesa esterna ” e “difesa interna”.
La prima, affidata alle Forze Armate, è centrata sul territorio e gli spazi aereo e marittimo nazionali ma può altresì essere proiettata in altre parti del mondo in cui il paese ritenga opportuno difendere suoi interessi di particolare rilievo e comunque minacciati. La seconda invece rimane confinata strettamente entro i limiti delle nostre frontiere ed è affidata ai vari corpi di Polizia, primi fra tutti i tre più grandi di essi , vale a dire Polizia di Srtato, Carabinieri e Guardia di Finanza.
Si tratta però di una distinzione che si è rivelata da tempo più tradizionale che reale. Già la cosiddetta ” Legge dei principi” che fissava negli anni ‘70 del secolo scorso i compiti delle Forze Armate elencava infatti, dopo la difesa vera e propria il concorso alle forze dell’ordine in caso di necessità.
Un principio che trovò una estesa applicazione negli ” anni di piombo”, allorchè i soldati vennero utilizzati per conferire spessore e potenziale intensità di fuoco ai posti di blocco, nonché per sostituire poliziotti e carabinieri in compiti secondari in modo da permettere loro di dedicarsi pienamente al nucleo duro delle funzioni di istituto.
A partire dagli anni ‘80 poi, cioè dal momento in cui l’Italia ricomincio a proiettarsi oltre le frontiere nel quadro della gestione internazionale delle crisi, i Carabinieri si videro affidare sempre più di frequente compiti intesi a coprire la zona grigia del peacekeeping.
Quella cioè in cui il successo dell’operazione rendeva ridondante l’impiego di forze con struttura e compiti esclusivamente militari mentre nel contempo la situazione rimaneva ancora tanto fluida da richiedere comunque una presenza ed una garanzia di sicurezza di forze internazionali.
Nacquero così dopo le prime esperienze, le Multinational Special Units (MSU) che pur essendo multinazionali ebbero sempre nei Carabinieri il loro reale punto di forza. Crescevano nel frattempo – l’appetito viene mangiando! – anche le occasioni in cui le Forze Armate e soprattutto la loro componente di terra, l’Esercito, erano chiamate a contribuire alla sicurezza interna del paese.
Spariva inoltre con la definitiva abolizione della leva una delle distinzioni fondamentali fra forze dell’ordine, quasi interamente composte da personale di carriera e le Forze Armate costituite prevalentemente da giovani coscritti.
Cresceva quindi in parallelo l’affidabilità di Esercito, Marina ed Aeronautica, in grado di mettere in linea anche nei compiti “di polizia ” veterani con alle spalle due, tre o più missioni all’estero, spesso condotte in teatri operativi particolarmente agitati .
Una altra distinzione svaniva infine con l’apertura all’arruolamento delle donne nelle FFAA , ove la loro presenza raggiungeva rapidamente valori percentuali molto simili a quelli esistenti nella Polizia di Stato.
L’offensiva del terrorismo fondamentalista islamico, iniziata con l’attacco alle torri gemelle del 2001 e sostanzialmente tuttora in corso , ha poi ulteriormente accelerato il processo di progressiva fusione della sicurezza interna con la sicurezza esterna.
Il punto culminante lo si è raggiunto con l’affermarsi in Siria ed Iraq del Daesho (ISIS, o Califfato che chiamar si voglia), cioè di un organismo capace di attentare nel medesimo tempo, con i medesimi procedimenti e con le stesse forze ai diversi aspetti della nostra sicurezza nazionale.
Anche la reazione si è fatta di conseguenza più integrata e non è per niente un caso il fatto che fra le missioni che gli italiani svolgevano in Iraq sino a poco tempo fa ve ne fosse una affidata ai Carabinieri. Parimenti il concorso di personale militare ai compiti di polizia ha raggiunto livelli tali da equivalere per numero al totale di soldati impiegati in tutte le missioni all’estero.
A questo punto viene comunque spontaneo porsi una domanda, cioè chiedersi quale senso abbia, considerata la attuale situazione, continuare a preservare la tradizionale distinzione fra forze di polizia e forze militari. Una distinzione che probabilmente mantiene una validità, anche se ridotta rispetto al passato, per quanto concerne Marina ed Aeronautica ma che appare del tutto superata quando ci si riferisce a Polizia di Stato, Carabinieri ed Esercito.
Forse è prematuro parlare di una totale fusione a breve scadenza di queste tre componenti. Si tratta di tre complessi di grande tradizione, ciascuno dei quali è abituato a difendere – anche con ferocia, allorché ritenuto indispensabile – la propria individualità e le caratteristiche acquisite nel corso di una lunga storia.
Vi è da prevedere quindi che le resistenze da vincere nel caso in cui si decidesse di procedere verso una reale integrazione sarebbero fortissime. Incominciamo comunque a pensare al problema e ad abituarci progressivamente all’idea, in maniera da essere pronti quando saranno proprio i problemi creati da una sicurezza artificialmente frazionata ad imporci una soluzione unitaria.
Almeno in prima istanza l’ipotesi più ragionevole sembrerebbe quella di imperniare sull’Arma la nuova struttura. I Carabinieri sono infatti soprattutto forze di polizia ma hanno sempre combattuto, e anche molto bene, in ogni conflitto come attestano gli episodi del Podgora nella Prima guerra mondiale e di Culqualbert nella Seconda. Quali forze di polizia essi dovrebbero quindi essere in condizione, in una prima fase, di costituire un tutto unico con la Polizia di Stato.
E’ un’ipotesi che è già stata ventilata ed auspicata, tra l’altro con diverse possibili soluzioni prospettate, ma poi non se ne è mai fatto nulla.
Probabilmente la maggiore difficoltà da superare sarebbe in questo caso la “militarizzazione” dei poliziotti che troverebbe fortissime resistenze, soprattutto sindacali ma non solo. In una seconda fase poi si passerebbe alla unificazione di Carabinieri ed Esercito, in un certo senso tornando all’antico cioè a quando gli uni erano la prima Arma dell’altro . Vi è da chiedersi però, considerati gli attuali rapporti di forza, con la bilancia che già pende dalla parte dei Carabinieri, nonché le dimensioni ancora maggiori che essi assumerebbero con l’incorporazione della PS , se convenga di più fare assorbire i Carabinieri nell’Esercito, o l’Esercito nei Carabinieri.
La seconda soluzione sembra presentare maggiori vantaggi, soprattutto perché l’Arma ha dimostrato nel corso della storia repubblicana del paese di sapersi muovere sulla scena italiana molto meglio della forza armata di terra che si è invece lasciata progressivamente ingabbiare nel ruolo di “Cenerentola della Difesa nazionale” quasi senza reagire.
Ma chiudiamo qui questa provocazione lasciando spazio al dibattito!
Foto: Strade Sicure/Esercito Italiano
Giuseppe CucchiVedi tutti gli articoli
Entrato alla Scuola Militare di Napoli nel 1955, il Generale Cucchi ha avuto una lunghissima carriera conclusa nel 2008 come Direttore Generale dell'Intelligence Nazionale. Dopo il definitivo pensionamento ha lavorato due anni per le Nazioni Unite come esperto nell'ambito della crisi del Mali/Sahel. Attualmente insegna management alla Università LUISS di Roma ed alla Business School della Università di Bologna.